martedì 7 ottobre 2014 - Annalisa Martinelli

Ferrara. Premiato il coraggio di Maisa Saleh, al Festival di Internazionale

La giornalista siriana Maisa Saleh, è la vincitrice del Premio Anna Politkovskaja 2014.

Dichiarazioni forti e drammatiche quelle di Maisa Saleh, scandite con la determinazione di chi ha vissuto le situazioni in prima persona. La giornalista e attivista siriana è stata premiata all’inaugurazione ufficiale del Festival Internazionale a Ferrara, lo scorso 3 ottobre. Il sindaco Tiziano Tagliani le ha consegnato con orgoglio il Premio dedicato ad Anna Politkovskaja. Le è stato attribuito per essersi distinta tra i giornalisti per l’impegno ed il tentativo, al limite del sacrificio umano, di raccontare cosa accade nel suo Paese. In particolare– ha precisato il giornalista Lorenzo Trombetta – “è stata scelta anche per il coraggio e la modestia, il cercare quei grigi ed una certa oggettività; per l’attenzione alle storie personali che si nascondono tra il bianco e il nero”.

In realtà Maisa non ha una formazione di giornalista, lo è diventata per necessità e l’esperienza l’ha fatta sul campo. In Siria lavorava come infermiera, ma ha sentito fortemente l’esigenza di raccontare ciò che succedeva, le violenze e le ingiustizie perpetrate dal regime sanguinario degli Assad. Si doveva arrangiare a fare tutto, dalle riprese, al montaggio, alla scrittura dei testi. Ha prodotto in proprio 13 puntate “Da Damasco” per Orient TV.

Intervistata dalla giornalista di Repubblica Francesca Caferri, Maisa ha raccontato la sua storia, che ha definito una tra le tante.

 Per il suo impegno in prima linea, è stata incarcerata. Liberata dopo 7 mesi, è stata costretta a vivere in esilio, in Turchia.

 “Vorrei parlarvi della Siria prima della rivoluzione – ha esordito Maisa – la Siria che non avreste potuto conoscere nemmeno se vi foste recati come turisti. Il Regno del silenzio, la Siria di Hafez Assad.

Ci sono molte ferite mai cicatrizzate. C’è un massacro taciuto e censurato per 30 anni, è quello di Hama del 1982. Da allora scese il silenzio.

“Forse noi possiamo anche giustificare i nostri genitori – ha detto Maisa – per non aver avuto il coraggio di parlarci di questi eventi, ma il vero problema è stato che nemmeno i media internazionali hanno detto qualcosa al presidente dell’epoca Hafez Assad. Forse questo è dovuto a certi equilibri o alleanze che erano in vigore in quel periodo. A questo punto, 40 mila vittime, 40 mila storie sono state dimenticate. La dittatura nel nostro Paese è continuata per altri 30 anni. La famiglia di Assad continuava a rubare le ricchezze della Siria finché questo potere è stato ereditato dal figlio, Bashar al Assad, che ha continuato a fare ciò che faceva suo padre”.

E ancora: “L’anno 2011, anno in cui è iniziata la rivoluzione, è stata l’occasione per venire a sapere finalmente quello che accadde nella città di Hama, e per conoscere tutte quelle storie taciute, tra cui quella del fantino Adnan Qassar, arrestato e rimasto in carcere 21 anni solo per aver battuto in una gara ippica Basel Assad. Era giunta l’occasione per iniziare a porre fine a questa dittatura. La rivoluzione era nata pacificamente e non è mai stata una rivoluzione islamica.”

Adnan è stato liberato il 10 giugno 2014, grazie ad una amnistia di Bashar al Assad.

 “Tutti gli attivisti ed i giornalisti che hanno manifestato in maniera pacifica, sono stati arrestati dal regime, ed io ero una di loro. La storia si ripete. Ogni famiglia in Siria ha una storia di questo tipo. Tutto questo accade non lontano da qui.

Siria. Ecco cosa mi viene in mente quando dico questa parola. In Siria ci sono: navi da guerra, aviazione militare, artiglieria, assedio, fame, malattie, commercianti da guerra, estremismo, corruzione, terrorismo, arresti, morte, armi, torture.

La comunità internazionale è intervenuta solo quando sono stati girati dei video, quegli orribili filmati della decapitazione dei giornalisti.

In Siria le cose non sono chiare, e se abbiamo un aspetto chiaro, dietro a questo ci sono dettagli che vanno approfonditi e considerati".

I numeri hanno echeggiato nel gremito cinema Apollo, gelando il sangue e senza lasciare spazio ad interpretazioni: la Siria conta 24 milioni di abitanti. Dall’inizio della crisi: 200 mila morti; 2 milioni arrestati; 11 milioni sfollati; 100 mila dispersi; 3000 bambini sono stati privati dell’istruzione.

 




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