lunedì 10 giugno 2019 - La bottega del Barbieri

Fame, tubercolosi, violenza: nei campi libici si muore ammazzati

Migliaia di rifugiati detenuti in centri di detenzione libici nei pressi di Tripoli è in serio pericolo a causa della guerra. Lo afferma un documento interno di Onu ripreso dal giornale inglese The Guardian.

di  (*)

Secondo l’Unhcr, l’agenzia Onu per i rifugiati, e l’organizzazione, almeno 3.919 dei 5.378 detenuti (dato “ufficiale” riferito al 29 maggio, e sicuramente in difetto perché in molti campi la registrazione dei migranti è quantomeno approssimativa) sono soggetti particolarmente vulnerabili come bambini o malati.

Molti di questi migranti che cercavano di attraversare il Mediterraneo verso l’Europa sono stati ricatturati dalla guardia costiera libica che – sottolinea documento delle nazioni Unite – è “finanziata dall’Unione Europea” e riportata nei centri di detenzione.

Sempre secondo il rapporto Onu, 4.148 di quei rifugiati in Libia sono costretti a vivere in aree di forte pericolo come Tripoli o al nord-ovest. Più di un quarto di questi (27%) sono minori, tra cui molti neonati e bambini piccoli.

L’Unhcr ha lanciato un appello – sino ad oggi inascoltato – per l’evacuazione di tutti questi rifugiati. Cibo e acqua scarseggiano, infezioni e malattie come la tubercolosi si stanno diffondendo rapidamente.

Sempre The Guardian ha riferito che il mese scorso una milizia libica, non viene precisato di quale fazione, ha fatto irruzione nel centro di detenzione, Qasr bin Ghashir, nei pressi di Tripoli sparando all’impazzata tra i rifugiati, uccidendo almeno due persone e lasciando a terra più di una ventina di feriti sulla cui sorte non si hanno notizie.

Dopo il raid, molte rifugiati sono stati evacuati verso il centro di detenzione di Zintan, al nord-ovest della Libia. Ma anche qui le condizioni non sono migliori: tubercolosi, infezioni toraciche, fame hanno ucciso 22 persone negli ultimi sette mesi.

I rifugiati sono riusciti a far girare all’esterno filmati che testimoniano la presenza di montagne di spazzatura all’interno del centro con la gente costretta a dormirci accanto, tra infestazione di vermi e altri insetti. Un rapporto interno destinato all’Alto commissario Onu per i rifugiati (Acnur) ha identificato 744 delle 754 persone presenti a Zintan come persone di vulnerabili.

I dati sui decessi nel centro di detenzione di Zintan sono profondamente preoccupanti – ha dichiarato un portavoce dell’Unhcr – . Ma tanto a Zintan, quanto negli altri centri di detenzione, i rifugiati stanno sopportando condizioni di vita terribili. I detenuti sono lasciati senza cibo e acqua. Servizi igienici e docce sono rotti. Vengono negate le cure mediche e un focolaio di tubercolosi si sta diffondendo velocemente. È fondamentale che tutti queste persone vengano evacuate immediatamente”.

Giovedì scorso – nel silenzio totale del Governo italiano che continua a blaterare di “porti chiusi” ed a rifiutarsi di uscire da una campagna elettorale permanente per affrontare seriamente la questione dei rifugiati – l’Unhcr è riuscito a portare a Roma 149 rifugiati vulnerabili, tra cui 65 bambini.
Sam Turner, capo dei Médecins Sans Frontières della missione in Libia, ha raccontato: “il livello di sofferenza in centri di detenzione libici è aumentato significativamente dall’inizio di combattimento nei pressi di Tripoli. La fornitura di cibo, che era già scarsa prima della guerra, è diventata ancora più scarsa. Molte persone semplicemente non hanno niente da mangiare da giorni”.

Giulia Tranchina, una avvocata del Wilsons Solicitors specializzata in diritti umani del Wilsons Solicitors, che fa da riferimento via WhatsApp a tanti rifugiati in Libia, ha lanciato un appello ai Governi Europei e all’Italia perché smettano di finanziare quei criminali della guardia costiera libica ”a meno che non vogliano essere un giorno accusati di complicità con chi ha causato terribili sofferenze e la morte lenta di centinaia di uomini, donne e bambini”.

(*) Fonte dell’articolo: The Guardian.
Tradotto e pubblicato da “Dossier Libia. Abusi e violazioni sull’altra sponda del Mediterraneo“.




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