sabato 11 gennaio 2020 - Anna Maria Iozzi

Fabrizio De André: 21 anni senza il Nostro Amico Fragile

21 anni fa, l'11 gennaio 1999, in una notte fredda d’inverno, ci salutava Fabrizio De André, il cantore degli ultimi e degli emarginati. Non passa anno che in tv o in piazza non avvengano degli eventi dedicati alla sua immensa arte, tracciata con il solco del falegname. Quel falegname che ha saputo intingere, nella penna della povertà, le parole in cui ognuno di noi si identifica.

“Pensavo: è bello che dove finiscano le mie dita debba, in qualche modo, incominciare una chitarra”, recitava un verso di una sua canzone nota, una delle più belle e profonde che, al meglio, incarnano la sua anima di Amico Fragile, quell’amico che, in un caldo pomeriggio d’agosto, mentre imbracciava la chitarra sulle note di “Amico Fragile”, l’ha gettata via, per sempre.

Medici, giudici, prostitute, transessuali, matti, malati di cuore. Tante sono le immagini e le storie a cui De André ha voluto rendere omaggio con il cesello del vero intagliatore di parole, un autentico artigiano della dignità umana. È stato quello che, più di altri, è riuscito a riportare alla ribalta generi di persone relegate ai margini della società. Il profumo del mare, i carruggi della sua “città vecchia”, Genova, richiamano la sua vita di traghettatore di “Anime Salve”.

Quante parole scritte in un solo verso. Quelle parole che non hanno bisogno di essere ascoltate, ma di essere capite e applicate nella vita di tutti i giorni. Una vita da condurre in direzione ostinata e contraria.

La sua voce, calda, limpida, ammaliante, ha conquistato le vette dei nostri cuori che battono all’unisono allo scorrere incessante di quella armoniosa melodia. De André incarna lo spirito degli esseri solitari. La solitudine, diceva, è una delle più grandi forme di libertà. Chi, meglio di lui, ha navigato per sentieri oscuri alla ricerca della libertà, quella incontaminata dai guanti d’oro e d’argento, in cui i borghesi, che lui, malgrado fosse coinvolto, ha sempre snobbato e definito come un’infiammazione acuta del desiderio di avere. A lui non è mai mancata quella voglia di farsi sentire dai piani più alti della nobilità che, per farsi rispettare e riverire, ti devi chinare al cospetto. De André, al contrario, ha preferito che fossero le minoranze, quelle bistrattate, ad emergere nella società, perché, come diceva in una sua canzone, “dai diamanti, non nasce niente, dal letame, nascono i fior.”

Tanti gli omaggi e i ricordi legati a uno degli indiscussi cantautori della musica italiana di tutti i tempi. Ognuno, nel proprio cassetto della mente, fa riaffiorare quelle immagini e quei suoni di un poeta, quel dolce menestrello che, più volte, Fernanda Pivano, ha definito. I giovani si identificano nei suoi versi. E come se fossero stati scritti oggi, perché la sua mente era avanti negli anni. Quella mente che tanto ha ponderato e generato un parto di perle di saggezza da condividere davanti allo scoscio delle legna in un caminetto. E, mentre stai imbracciando una chitarra, ti assale la voglia di canticchiare quelle canzoni a un falò, in campagna, al mare, perché sono delle canzoni senza tempo, quel tempo è un signore distratto, che non ci ha discostato dal riconoscere che, senza la sua immensa umanità, molti di noi, oggi, non gli potremmo dire grazie per quello che ci ha fatto diventare e per quello che faranno le generazioni future.

 




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