venerdì 27 novembre 2020 - Anna Maria Iozzi

Fabio Frizzi: “Mi racconto, nel ricordo di mio fratello Fabrizio”

“Era anche un modo per guardarmi indietro e capire, in fondo, se la mia vita di lavoro fosse una cosa che mi piaceva veramente”. 

Inizia così il racconto del maestro e compositore di colonne sonore di successo e direttore d’orchestra di fama mondiale, Fabio Frizzi che, in questa intervista esclusiva, ci parla del suo libro “Backstage di un compositore” uscito da poco, un’autobiografia tra l’amore incondizionato per la musica e gli affetti più cari. Sentire la sua voce al telefono è un colpo al cuore, perché ricorda molto quella di suo fratello, l’indimenticabile Fabrizio a cui ha dedicato il libro. Non poteva essere altrimenti, visto il grande affetto che li legava.

Ci racconta le sue esperienze di incontri di vita vissuti al fianco di importanti registi come Corbucci, Steno, Lucio Fulci, Salce. Immancabile il ricordo di suo fratello, con aneddoti divertenti, come quando, da amante del teatro, ha organizzato uno spettacolo con un compagno di scuola. Una passione che ha dovuto abbandonare per l’arrivo della tv, ma che ha sempre mantenuto nel tempo, come quella della radio. Importante l’attenzione che Fabrizio poneva nei valori della famiglia a cui era legato e che il maestro Frizzi si impegna a portare avanti.

Il periodo attuale non gli nega la possibilità di pensare alla realizzazione di alcuni progetti che, come lui definisce, “sono l’unica, vera benzina positiva della giornata”. Tante cose nel cassetto che, nonostante le difficoltà in cui sono negati i contatti e gli spostamenti, riescono a far rendere la realtà normale davanti a un computer o a un pianoforte.

 

È da poco uscito il suo libro “Backstage di un compositore”, in cui ripercorre i suoi trascorsi di vita vissuta tra l’amore incondizionato per la musica e gli affetti più cari. Com’è nata l’idea di portare in stampa questo progetto?

“L’idea è nata dalla voglia e dalla necessità di fare un bilancio. I bilanci si fanno fino a quando si è giovani. Ogni tanto, uno tira una linea e dice: cosa ho combinato fino ad oggi? È andata bene? È andata male? Posso migliorare? Chiaramente, quando si comincia a diventare grandi, i bilanci sono sempre più importanti. Era anche un modo per guardarmi indietro e capire, in fondo, se la mia vita di lavoro fosse una cosa che mi piaceva veramente. L’altro motivo era che mi rendevo conto, soprattutto in questi ultimi anni di tanti concerti e tanti giri con i miei musicisti, che le storie e gli incontri che raccontavo, erano divertenti. I miei amici erano molto interessati. Tutto sommato, visto che ho attraversato decine di anni con il mio lavoro, potrebbe essere simpatico fare una specie di romanzo della mia vita e, così, è stato”.

 

Nel libro, racconta come sono nate le collaborazioni importanti, come quella con Lucio Fulci, con cui vanta un corposo sodalizio artistico, insieme a Bruno Corbucci, Steno, Luciano Salce, i fratelli Vanzina. Che ricordi ha di questi incontri?

“Diciamo che, rispetto al mio lavoro, che è stato molto vario sulle colonne sonore, gli incontri sono stati i punti forti con i registi importanti. Aggiungerei Sindoni, con il quale ho fatto tantissime fiction e qualche film negli ultimi anni. Gli incontri, quelli ripetuti, che non avvengono per un film solo, ma perché hanno delle continuità, ti danno nuove esperienze, nuove idee, nuove prospettive e profili per poter affrontare il prossimo lavoro. Ovviamente, ognuno ha delle caratteristiche diverse, soprattutto queste sono state delle figure che hanno avuto maggiore importanza. Corbucci, giusto per citarne un paio nel dettaglio, era una persona che conoscevo da quando avevo cominciato con l’università a fare delle piccole cose in un ruolo che non mi si confà: quello dell’attore, con i musicarelli. Ci eravamo già conosciuti in quel periodo. Era l’autore, insieme ad Amendola, dei film di Mal, di cui io ero un piccolo protagonista. Ci siamo ritrovati tante volte. Abbiamo lavorato in moltissimi film insieme. Cito solo gli ultimi due della serie del Monnezza, di Tomas Milian, vestito da poliziotto. Bruno era una persona con le idee molto chiare, con una capacità di racconto straordinaria, forse uno dei migliori autori di commedie italiane. Era una persona amabilissima. Sul lavoro, c’era un rapporto piacevole e familiare. Un altro, che è forse il più importante dei miei registi con cui ho lavorato tanto, è Lucio Fulci, molto diverso, un personaggio più difficile sul lavoro. È stato interessantissimo. Un uomo che aveva una chiarezza dei tempi di fronte ad ogni progetto, dal quale ho imparato moltissimo, per quanto riguarda l’arte di mettere insieme la musica con le immagini. Ci sono stati Steno, il grande Salce, i due Fantozzi, “Vieni avanti cretino”. Sulla commedia, era uno che la sapeva lunga. C’è sempre da imparare. Anche oggi”.

 

Lei ha composto, insieme a Franco Bixio e Vince Tempera, la colonna sonora di un film cult “Febbre da cavallo”. Grande protagonista fu Gigi Proietti, scomparso recentemente. Come descrive quell’esperienza?

“Febbre da cavallo è stato molto strano, perché è un film che ci ha entusiasmato tutti e che, poi, quando uscii nei cinema, non ebbe un grande successo al botteghino. Ci avvilimmo un pochino, ma, nel tempo, negli anni, con le prime televisioni private che trasmettevano tanto cinema, pian piano, è risalito ed è diventato uno dei film più importanti fra quelli che abbiamo realizzato in quel periodo. Un’esperienza assolutamente divertente. Registrammo a Milano, in uno studio sui Navigli. Andammo su con il produttore Roberto “Picchio” Infascelli. Il tema, chiamato in quel modo così strano, con questo specie di tormentone ritmico in regia, uno dei coristi accennò, mentre prendeva un caffè, ad una cosa gutturale ritmica. Ce ne rendemmo conto e decidemmo di provarla. Fu, forse, la chiave vincente di quel tema che, ancora oggi, ci dà un sacco di soddisfazioni”.

 

È di obbligo porle una domanda inerente a suo fratello Fabrizio a cui ha dedicato il libro. Nel libro, si avvicendano molti ricordi. C’è n’è uno in particolare che le va di condividere e raccontare?

“Il motivo per cui ho dedicato il libro a mio fratello è che vivere sessant’anni di fianco ad una bella persona, cara, era la cosa più giusta che potessi fare. Il mio primo lavoro nell’editoria volevo che fosse con me. Amo ricordare Fabrizio nelle sue pagine di espressione forte. Lui era uno che amava moltissimo il teatro, tanto è vero che l’ha sempre portato di fianco a sé negli anni belli della televisione. Mi ricordo l’inizio. Andava a scuola. Forse, aveva appena finito il liceo. Decise, con un suo compagno di classe, che aveva velleità di regia, di provare a debuttare. Fece un pezzo di Dario Fo. Si chiamava “Non tutti i ladri vengono per nuocere”, che era un atto unico, molto divertente. Lui fece il protagonista. Portò tutti, amici e parenti a far vedere questa cosa in un piccolo teatro romano e andò molto bene. Di lì a poco, arrivò il provino per fare televisione e la sua vita è un po’ cambiata. Lui ha sempre avuto due grandi amori: quello della radio, che si è portato sempre con sé, e quello del teatro”.

 

Com’era il vostro rapporto lontano dai riflettori? Com’era Fabrizio nel privato? Era lo stesso di quello che appariva in tv?

“Credo che Fabrizio non sapesse mentire. Era quello che era. Non interpretava mai una parte. Ogni tanto, gli piaceva salire sul palcoscenico come attore. Aveva una grande considerazione della famiglia come possono tutti immaginare e, nonostante una raffica di impegni nel periodo culmine della sua carriera, non è mai mancato ad un incontro importante per noi. In questo, è stato un fratello eccezionale. Siamo stati i primi tifosi l’uno dell’altro”.

 

Suo fratello ha incarnato l’idea di una conduzione garbata, educata e rispettosa nei riguardi del pubblico. Che cosa le ha lasciato e che cosa direbbe se avesse avuto la possibilità di leggere questo libro?

“Ci ho pensato. Penso che gli sarebbe piaciuto. Avrebbe avuto qualche battuta ironica, perché noi abbiamo sempre amato l’ironia, come dire, per non prendersi troppo sul serio. Una delle più importanti soddisfazioni in questo dopo, pieno di desolazione, perché la mancanza si sente, è che molti amici comuni o molti suoi amici che ho ritrovato dopo, ritrovano lo spirito della famiglia. Abbiamo questo modo molto simile di prendere le cose. Penso che una vecchia parola, i valori, siano stati per lui molti importanti. Lo sono anche per me. Cerchiamo di continuare nello stesso segno”.

 

In un momento particolarmente difficile come quello che stiamo vivendo, in cui sono limitati i contatti e gli spostamenti, ha in mente dei progetti da realizzare?

“In un momento come questo, i progetti da realizzare sono l’unica, vera benzina positiva della giornata. Credo che questo valga per tutti. Anche le altre attività, come la mia, che sono ferme da molto tempo, pensino ad un investimento e ad un rimbalzo positivo nel momento in cui questa brutta cosa finirà. Devo dire che il libro è nato in un tempo, rispetto alle previsioni, proprio perché sono stato chiuso in casa tre mesi. Se non avessi avuto tutto quel tempo da destinare a un qualcosa da fare, non l’avrei fatto. Nello stesso modo, molti progetti, di concerti all’estero, di film che stanno nascendo all’estero, di spettacoli miei personali, si stanno gonfiando, sperando che ci sia la possibilità di spararli nella realtà, appena tutto sarà normale. Noi artisti abbiamo tanti svantaggi, ma anche un piccolo vantaggio: chiudendoti in una stanza, davanti a un pezzo di carta, a un computer o a un pianoforte, sembra quasi che le cose siano normali”.

 




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