martedì 11 giugno 2019 - Phastidio

FCA-Renault: un futuro italiano per lo stato imprenditore francese?

Dopo che FCA ha ritirato l’offerta di aggregazione con Renault, peraltro in un modo fulmineo che pare aver sorpreso il governo francese, siamo al momento dell’inchiostro versato e delle recriminazioni. Non so se il negoziato riprenderà e su che basi, ma mi stupisco dello stupore per questo esito.

Come sempre in questi casi, siamo già al “momento-Rashomon”, quello in cui le spiegazioni alternative proliferano. “È stato per il legame di Renault con Nissan”, “No, è stato perché i francesi sono degli sfacciati protezionisti”. Forse per tutto questo.

L’aggregazione era molto difficile già in partenza, per motivi su cui è inutile soffermarsi. Su tutto, quello delle differenti culture aziendali. La presenza dello Stato francese nella compagine azionaria di Renault, con ben il 30% dei diritti di voto, ha fatto il resto. Ma le reazioni italiane, improntate al solito pavloviano nazionalismo con pezze al culo di ordinanza, sono state più ridicolmente stucchevoli del solito.

Intanto, qui da noi pare proprio impossibile pensare che lo Stato possa essere nel capitale di un’azienda o di una banca senza che ciò causi danni incalcolabili a concorrenza e razionalità economica. Che detto dal paese che da sempre esprime una classe politica di socialisti surreali, è straniante. “Prendiamo anche noi una quota di FCA!”, è stata la ridicola replica proveniente da alcuni ambienti italiani. Il sovranismo economico è figlio dell’Italia di Alberto Sordi, alla fine.

Il punto è che la partecipazione pubblica in aziende italiane c’è stata, in altra era geologica. Ricordiamo tutte le storie di eclatanti fallimenti e di aziende decotte che tale partecipazione ha prodotto. Nelle situazioni in cui non c’era crisi, c’era la presa d’atto della insufficiente robustezza dei capitali pubblici italiani, per tenere in vita dei campioni nazionali da far giocare in Europa e nel mondo.

Ad un certo momento, la crisi era talmente grave che si è deciso di gettare la spugna. Come da migliore tradizione italiana, ciò ha prodotto un’ecatombe di valore e risorse fiscali per le parti ammalorate, e cessioni delle parti sane agli amici degli amici, con sostituzione di monopoli privati a monopoli pubblici, tali da garantire sontuose rendite a molti nostri capitani di ventura o sedicenti tali.

Torniamo al punto. Che accadrà, ora? Che si riparte daccapo. FCA resta una realtà che va bene in Nordamerica ed assai meno bene in Europa (e in Italia). C’è un evidente e persistente eccesso di capacità produttiva e la prospettiva di svenarsi per lo sviluppo di nuove tecnologie e modelli. L’approccio “modulare” alle piattaforme, che sta ormai affermandosi nel mondo, significa che non è più possibile evitare aggregazioni e collaborazioni. Su tutto, una epocale transizione tecnologica.

Quanto alla Francia, ognuno si assume la responsabilità delle proprie azioni. Se questa pressante fissazione di condizioni “politiche” si tradurrà nello scadimento delle condizioni competitive di Renault, saranno i francesi a pagare dazio (carina, questa battuta).

Su tutto, resta la crescente criticità della partnership tra Renault e Nissan-Mitsubishi, che le vicende giudiziarie di Carlos Ghosn hanno solo accelerato. Il nome del gioco resta sempre quello: che fare di “campioni nazionali” che ormai non sono più tali, in settori sempre più globalizzati ma al contempo anche sotto elevata e crescente minaccia protezionistica? C’è una spinta alla globalizzazione che ne fronteggia un’altra, uguale e contraria, alla deglobalizzazione e alla frantumazione, più che frammentazione.

Forse il tentativo di aggregazione riprenderà più avanti, anche dopo aver chiarito il ruolo di Nissan; forse la mossa di John Elkann fa parte di una strategia negoziale. Come che sia, appare chiaro a chiunque che FCA deve aggregarsi ed evolvere. Negli ultimi anni, FCA è stata una storia di successo sul fronte della generazione di valore per gli azionisti, col colpo da maestro dello spinoff Ferrari. Ma il discorso industriale, su questo lato dell’Atlantico, è rimasto di fatto congelato. Il che vuol dire che sta decadendo, ed anche rapidamente. Quindi, qualcosa dovrà necessariamente accadere.

 

Quanto a Renault, rilassatevi: è tutto e soltanto un problema dello stato e dei contribuenti francesi. Se agiranno “bene”, produrranno valore e gettito fiscale. Altrimenti, percorreranno la strada italiana delle ossimoriche aziende gioiello decotte, quelle per la cui difesa si sbattono legioni di editorialisti di sistema, al punto da invocare rinazionalizzazioni del disastro, ed amplificarlo, con conseguente distruzione di risorse fiscali.

Già nelle ore immediatamente successive al collasso della trattativa con FCA, è Renault a soffrire di più in borsa. Forse anche perché gli investitori stanno scontando la disfunzionalità del peso pubblico nelle dinamiche aziendali. Qualcosa su cui riflettere.

Quindi, è del tutto stucchevole uscirsene con la solita frase “e gli altri, allora?”. Il tempo della scuola materna ed elementare, per gli italiani, pare non finire mai. Ed i risultati sono sotto gli occhi di chi li vuol vedere.




Lasciare un commento