Europa: suicidarsi col gas
Van Rompuy non fa in tempo a dire che l’UE deve occuparsi dei cittadini, ammettendo implicitamente che fino ad ora si è occupata solo degli interessi dei potentati economici, che i suoi solerti eurocrati dimostrano prontamente che sono lì non solo per occuparsi esclusivamente di detti potentati, ma che sono al soldo di quelli antieuropei.
La Bulgaria è stata di fatto costretta dalla Commissione a bloccare i lavori per la sua tratta del gasdotto South Stream, quello progettato per aggirare l’Ucraina e mettere al riparo l’Europa dalle crisi nei rapporti, come quella in atto, fra Russia e Ucraina. È noto, almeno per chi non si nutre di solo mainstream, che Bruxelles, manovrata da Washington, ha da sempre cercato di boicottare questa strategica via di approvvigionamento energetico alternativo, favorendo l’ipotesi Nabucco, un “gasdotto senza gas”, che avrebbe dovuto veicolare ipotetico gas caspiano dall’Azerbaigian all’Europa, passando per la Turchia.
La funzione di quell’opzione era, fra l’altro, di ovviare a possibili ricatti Ucraini, come già avvenuto in passato, ma mettendo l’Europa alla mercé di Erdogan, capo di un regime sempre meno democratico e sempre più teocratico: chissà cosa si sarebbe detto se fosse stato Putin a vietare social network e You Tube sul suo territorio, o se la magistratura russa avesse chiesto pene fino a 98 anni per semplici manifestanti? Eppure il dittatore, senza se e senza ma, e guai a chi evoca i molti se e ma, è Vladimir il Terribile: inutile, ad esempio, far notare che le Pussy Riot, da lui poi graziate, hanno avuto fortuna ad essersi esibite in una cattedrale moscovita anziché in una moschea di Istanbul.
Grazie alla crisi ucraina, mascherando dietro cavilli di diritto UE delle palesi sanzioni anti russe, si cerca quindi di ridar fiato al gasdotto più farlocco che la storia ricordi. I motivi sono molteplici: fra questi risalta la volontà atlantista di aumentare il peso e le capacità di ricatto di Ankara verso una Europa dove Washington e ampi settori dell’economia di delocalizzazione esigono che la Turchia entri. Non va, però, sottaciuto che anche l’Azerbaijan, lo sponsor dell’Atletico Madrid, tanto per far capire anche chi avesse più dimestichezza col calcio che con la geopolitica, è un paese ben poco democratico che ha una sua Crimea nel Nagorno Karabagh, che è armeno almeno tanto quanto la Crimea è russa, anzi, forse, di più. Inutile precisare che, dagli atlantisti, l’autodeterminazione del popolo armeno del Nagorno Karabagh ha ricevuto altrettanto riconoscimento di quella dei russi di Crimea.
Ma l’esportazione di democrazia non è ipotesi contemplabile quando dovrebbe essere messa in atto in paesi geopoliticamente “amici” degli USA e quindi dei suoi ascari europei, anche se gli interessi reali di questi ultimi andrebbero perseguiti in direzione opposta, e lasciamo perdere l’etica: quando mai vengono sollevate questioni di diritti umani quando si tratta dell’Arabia Saudita?
Altra ragione della sospensione “bulgara” dei lavori risiede nella volontà di esercitare una pressione sanzionatoria sulla Russia, in maniera surrettizia e infischiandosene della la volontà degli Stati Membri: nessun accordo su sanzioni reali è stato raggiunto in ambito ufficiale UE, con grande scorno della Casa Bianca. A causa di questa pigrizia nel conformarsi ai desiderata di Washington, gli uomini non eletti da nessuno che siedono a Bruxelles hanno ritenuto, bloccando i lavori del South Stream, di dover aggirare e forzare le volontà degli Stati Membri, che, purtroppo, un minimo di legittimazione popolare hanno e quindi devono render conto anche agli elettori e non solo alle lobby, soprattutto quelle d’oltreoceano.
La segreta speranza dei burattinai degli eurocrati è di arrivare a un blocco definitivo dei lavori, magari con annessa degenerazione irrimediabile dei rapporti fra Mosca e l’Europa, culminante in una guerra commerciale e, soprattutto, del gas, che, se avvenisse ora, causerebbe seri danni alla Russia e metterebbe in ginocchio l’Europa per lungo lungo tempo.
Non tutta l’Europa, però, almeno nell’immediato, ma soprattutto il “sud”: la risoluta azione anti South Stream è divenuta possibile perché la Germania, stato egemone più che membro, ha risolto i suoi problemi di allaccio con il North Stream che, passando sotto al Baltico, rifornisce direttamente Berlino mettendola al riparo da ogni problema di approvvigionamento, da crisi o ricatto, ucraino o anche turco, se l’assurda ipotesi Nabucco diventasse realtà.
Le prime avvisaglie di una crisi energetica europea ci sono già tutte. L’Ucraina, che avrebbe scelto il libero mercato, ancora non ha pagato le bollette pregresse e rifiuta di pagare a prezzo di mercato e anticipato, vista la morosità strutturale, le nuove forniture: c’è da aspettarsi che, all’arrivo dell’inverno, preleverà il suo fabbisogno dai flussi destinati all’Europa, probabilmente costringendo la Russia a chiudere i rubinetti per tutti.
Chi viene, quindi, colpito in via principale dalle sospensioni dei lavori che, anche se non definitive, comporteranno sensibili ritardi nella realizzazione del bypass (anche la Serbia ha dovuto adeguarsi), sono gli stati del sud della UE, cioè quelli maggiormente in crisi e più vulnerabili da politiche di sanzioni e contro sanzioni. Conseguenze volute ed auspicate, vien da pensare, visto che i paria dell’UE col South Stream andrebbero a controllare la via principale di approvvigionamento europeo e che, in caso di sanzioni nordiche contro la Russia, potrebbero chiamarsi fuori e addirittura approfittarne per rilanciare le proprie dissestate economie, magari spingendosi verso l’orbita dei grandi progetti Eurasiatici: eventi da scongiurare ad ogni costo.
Invece siamo di fronte ad atti che fanno buon gioco per le politiche antieuropee di Washington: un aggravarsi della situazione del sud alla lunga potrebbe andare a colpire anche i paesi virtuosi, quelli che, per ora, si stanno arricchendo sulle catastrofi economiche dell’area Euro. Naturalmente una buona campagna mediatica “rivolta frittate”, sostenuta anche dagli eurocrati, che sembrano sempre più una succursale dell’amministrazione statunitense che gli alfieri dell’Europa, sarà lanciata alle prime azioni russe di tutela per accusare Putin, dimenticando che ogni cessazione di fornitura sarebbe perfettamente in linea con le logiche di libero mercato strombazzate da Bruxelles ed andrebbe imputata alle insolvenze ucraine, nonché alla volontà di certe amministrazioni, per intenderci quelle rette da uomini nuovi insigniti di Nobel per la Pace, ma manovrate dalle lobby di sempre.
Fra i paesi del sud, vittime del boicottaggio al South Stream, il più colpito sarebbe probabilmente l’Italia, che ha già visto ridursi le quote di partecipazione ENI al progetto de quo e che subirebbe danni molto gravi da qualsivoglia ritardo o sospensione, più o meno indefinita, dei lavori. È noto, però, che l’unica arma geopolitica dell’Italia è da sempre, cioè fin dai tempi di Mattei, nel mirino dei poteri forti e adesso sta subendo uno degli assalti più violenti, che potrebbe neutralizzarla una volta per tutte.
Anche la Russia, naturalmente, subirebbe contraccolpi dalle sanzioni al South Stream, avendo un’economia troppo legata alla monocoltura dell’energia, ma sarebbero di breve durata: sono stati avviati i grandi gasdotti per la Cina, che ha più sete di energia dell’Europa, e potrebbe così dirottare verso Pechino i flussi, lasciando, quindi, a secco l’Europa che, magno gaudio statunitense, dovrebbe rivolgersi al Nabucco. Diviene, qui, necessario rilevare che il costo del gas azero, a causa della conformazione dei giacimenti caspiani, è elevato al punto che potrebbe rendere competitivo anche lo shale made in USA.
Gli “embarghi” e le “sanzioni” potrebbero, come effetto collaterale “negativo”, però, spingere la Russia a dotarsi di un apparato industriale e finanziario autonomo, com’è avvenuto con la messa in funzione di un proprio sistema di carte di credito in conseguenza del boicottaggio Visa, andando, così a cancellare o, quantomeno, a sminuire fortemente il potere contrattuale europeo, soprattutto in tema di cooperazione e sviluppo di un’area economica eurasiatica, che è ormai ben avviato e sarebbe una sciagura ci vedesse esclusi.
C’è un’ultima “coincidenza” da rilevare: il 6 giugno scorso l'agenzia stampa russa ufficiale ITAR-TASS ha annunciato che la principale compagnia energetica russa, Gazprom Neft, ha "firmato l'accordo con i suoi clienti passando dai dollari all'euro nei pagamenti contrattuali". Una notizia che dovrebbe far esultare Bruxelles, visto il pessimo stato di salute in cui versa la “nostra” valuta, invece sembra che fra gli eurocrati abbia avuto il sopravvento un tale disappunto che sono scattate sanzioni surrettizie, come se fosse una disgrazia per l’Europa. Una disgrazia, in effetti, è; anzi, è una sciagura in potenza, ma per Washington e Wall Street, non per noi. Purtroppo, però, i “nostri” eurocrati e governanti sembrano più sensibili agli interessi dell’amministrazione Obama che non a quelli dei loro amministrati.
Washington ha fondati motivi di essere preoccupata: secondo l'amministratore delegato di Gazprom, Aleksandr Djukov, ormai 9 consumatori su 10 di petrolio e gas di Gazprom accettano di pagare in euro, mentre il mega accodo con la Cina prevede pagamenti in Yuan o Rubli: una vera tragedia per coloro che hanno scatenato guerre, vedi Iraq, o isolato nazioni, Iran, ogni volta che si è paventata l’ipotesi di pagamenti in Euro. In questo quadro, però, invece di favorire la tendenza, gli europeisti atlantisti antieuropei, da bravi ascari, hanno sempre supinamente sostenuto le azioni belliche e sanzionatorie dei nemici della nostra economia. L’auspicabile cambiamento di rotta, però, potrebbe essere, ormai, tardivo: la Russia accetta gli Yuan e gli Euro, ma pare si tratti solo di una fase di transizione verso regolamenti in Rubli. Inoltre, i Brics stanno mettendo in piedi la propria “FMI”, con tanto di valute di riserva alternative al dollaro e il tutto senza passare per lo scalcinato Euro.
A fronte di ciò l’Europa continua assurdamente ad andare dietro agli USA, incurante che le sanzioni che sono sul punto di scattare non puntano alla Russia, ma al cuore del sistema bancario francese: cioè la BNP-Parisbas, che deve fronteggiare una multa di 10miliardi di dollari per aver commerciato con paesi sotto embargo statunitense. Un fatto gravissimo, vista l’arbitraria unilateralità dell’azione che, se passasse l’accordo di libero scambio con gli Stati Uniti, diverrebbe legittima e senza possibilità di controsanzioni, ammesso che esista un paese europeo capace di alzare la testa contro Washington e reagire: la forza economica l’UE l’avrebbe pure. Invece le proteste di Hollande contro la maximulta sono risibili, quasi di prammatica, e si perdono nel silenzio dei media mainstream, che è così assordante che anche in Francia si è avuta una eco inadeguata alla gravità dell’ennesimo sopruso statunitense.
L’Europa, insomma, sta suicidando i suoi cittadini col gas, soffocando in primis quelli dei paesi del sud, dimenticando però che questa forma di suicidio, talvolta, causa deflagrazioni che vanno ben oltre le intenzioni suicide e nel nostro caso il botto potrebbe esser tale da distruggere ben più di una palazzina, forse come i colpi di pistola del suicidio di giusto cento anni fa.
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