mercoledì 27 settembre 2023 - Phastidio

Eurodebito: in Europa ne avanza, in Italia avanza

Terminato il periodo per richiedere i prestiti europei, si scopre che 93 miliardi sono rimasti inoptati. In Ue c'è poco appetito per il debito, con l'eccezione dei soliti tossici italiani

Ricordate il periodo immediatamente successivo all’insediamento del governo Meloni? Quello in cui c’era ancora brio da campagna elettorale e i nostri eroi chiedevano assertivamente altri sordi, perché c’è l’inflazione e noi non riusciamo a star dietro ai lavori. A dirla tutta, il “bisogno” italiano di più debito si era palesato nel dibattito pubblico già la scorsa primavera, quando eravamo alle prese con lo shock dell’invasione russa in Ucraina. Al che, dalle parti di Bruxelles, si replicava con pazienza: d’accordo, aspettiamo la conclusione del periodo di richiesta di fondi e sovvenzioni, fissato allo scorso 31 agosto, e poi vedremo che fare.

Ma fare cosa, riguardo ad un paese che -unico con la Romania, ma per importi ben differenti- aveva già chiesto tutti i fondi del Recovery Fund, pari al 6,8% del reddito nazionale lordo? Altro debito, forse? Senza essere in grado di spendere quello assegnato? Certo, l’Italia poteva avere interesse ad indebitarsi a tasso inferiore a quello con cui emette i Btp, ma non si trattava di un pasto gratis né di mera sostituzione delle fonti di finanziamento. Ci sarebbero state delle condizionalità da rispettare.

DATECI I SOLDI, PER LE RIFORME VEDREMO

Sembra passata un’era geologica. Mentre noi al Bar Italia discettavamo di altri fondi a debito, magari da mettere nel RePowerEU, l’erogazione della terza rata del PNRR si bloccava. Partiva il “negoziato con Bruxelles”, la revisione dei piani di spesa, da ultimo il tentativo di annacquare le riforme poste come precondizione delle erogazioni. Siamo i migliori ma c’è grossa crisi, non riusciamo a ridurre gli arretrati della giustizia civile secondo il cronoprogramma. E neppure possiamo ridurre il tax gap quanto previsto dal Recovery.

Perché le aziende hanno tensione di liquidità, potrebbero smettere di pagare dopo aver fatto la dichiarazione dei redditi, e noi dovremmo aiutarle. E insomma, ecco la traccia di quanto avrei scommesso sarebbe accaduto: prendi i soldi del PNRR, cancella le riforme e scappa, avevo titolato, ipotizzando un tentativo di depotenziare le riforme. Sia ex ante, cioè con “negoziati”, che ex post, con interventi legislativi specifici. Scrivevo, tra l’altro:

Che margini hanno i partiti e i governi italiani pro tempore per annullare le riforme richieste e scappare coi soldi del Recovery, dopo aver finto di attuarle? Detto specularmente, quale sarebbe il grado di “invasività” della Commissione Ue rispetto alle scelte del legislatore italiano? Quali margini di autotutela ha Bruxelles (e i paesi contributori netti al Recovery Fund) di fronte a iniziative nazionali che puntino a cancellarle ma solo dopo aver incassato?

E mentre attendiamo di capire se le nostre richieste di attenuazione o rallentamento delle riforme verranno accolte, dopo interlocuzioni bruxellesi sempre rigorosamente improntate a “grande cordialità”, perché “Ursula deve farsi rieleggere, non ci metterà i bastoni tra le ruote, avrà bisogno dei voti di Giorgia”, la terza rata è ora annunciata in arrivo per inizio ottobre. Non è chiaro di quale anno ma prima o poi accadrà davvero. Ma le altre? Buio pesto o più propriamente Fitto.

TIRANDO LE SOMME

Ma torniamo alla scadenza collettiva del 31 agosto. Leggiamo su La Stampa un articolo del corrispondente da Bruxelles, Marco Bresolin. In cui, tra le altre cose, apprendiamo che sono “avanzati” 93 miliardi di euro dallo stanziamento massimo teorico. Ecco, lo scorso autunno leggevamo articoli in cui si ipotizzava che l’Italia richiedesse anche questo importo, o parte più o meno ampia di esso. L’appetito viene indebitandosi, uno dei motti italiani.

Certo, la Spagna alla fine ha chiesto anche prestiti per 84 miliardi di euro e non solo sovvenzioni, ma tirando le somme

Sono quattordici (più della metà) gli Stati membri che non hanno ritenuto conveniente richiedere i prestiti per via della scarsa differenza nei tassi d’interesse oppure perché in difficoltà a impegnare un’elevata mole di risorse entro la fine del 2026. Il fatto che siano avanzati 93 miliardi, unito alle difficoltà di spesa che stanno emergendo in alcuni Paesi come l’Italia, non gioca certo a favore di chi chiede l’istituzione di un nuovo fondo finanziato con debito comune.

Quei 93 miliardi potrebbero andare in parte agli aiuti all’Ucraina nei prossimi anni, o anche ad altre spese comuni per le quali servirebbe una integrazione al bilancio comunitario per la quale non c’è particolare appetito tra gli stati europei. Oppure potrebbero rappresentare il nucleo per un futuro fondo comune per l’innovazione e la trasformazione tecnologica e ambientale. Oppure potrebbero essere cancellati e ridurre la dimensione del Recovery Fund. Lo vedremo.

Come che sia, i conti sono presto fatti. La Recovery and Resilience Facility (RRF), in italiano “Dispositivo di Ripresa e Resilienza”, prevedeva prestiti per 385 miliardi di euro. Ne verranno usati circa il 25% in meno del previsto. In Ue avanza del debito, in Italia il debito avanza.

Quello che resta è lo scoppio della bolla narrativa italiana e della connessa ubriacatura. Dateci più debito, non ci basta, svelti! E poi si scopre che ben quattordici stati membri non hanno chiesto i prestiti del Recovery. Più della metà. Noi sempre in direzione ostinata e contraria, cercando il burrone. Siamo una potenza, dovete rispettarci. Una potenza rigorosamente a debito. Ma provate a rileggere i giornali, dall’insediamento del governo a oggi. Scoprirete che in questo paese abbiamo tutti una incredibile fantasia. E forse è quello che continua a fregarci.




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