mercoledì 19 luglio 2017 - Marina Serafini

Estremo

Metti che sei in un isola di poco più di 20 km di lunghezza e 30 di larghezza. E che ti trovi a 4000 km dalla città in cui solitamente vivi, su questo pezzetto di terra e roccia in mezzo alle grosse onde oceaniche, sempre schiaffeggiata dal vento...

Qui nemmeno l'idea di cosa sia il sovraffollamento, il traffico, lo smog asfissiante; qui non ci sono squillanti e inopportune sveglie al mattino, a ricordarti le varie tappe che ti scandiscono il giorno; qui non c'é la fila dal benzinaio (ce ne sono due per miracolo), e non devi prendere il ticket per fare i tuoi acquisti. Un ambiente limitato, con pochi abitanti e pochissime risorse.

Circondato dall'acqua piú blu che abbia mai visto finora.

Metti che é notte e che ti ritrovi su uno sperone di roccia a 6 metri dall'acqua scura, che romba e soffia sotto di te, gonfiando e trascinandosi gravemente sugli scogli sottostanti, e ti stai destreggiando (male, per la verità) con una canna da pesca molto lunga, leggera si, ma comunque di faticosa gestione, intanto che le ventate la spostano e sembrano volertela togliere di mano.

Spegni la lampada e osserva.

Ti accorgerai che non esiste la notte buia, ma un chiarore diffuso che rende tutto realmente visibile: vedi le pietre, gli oggetti, vedi gli occhi brillanti dei grossi pesci pelagici che navigano lì intorno; vedi la riccia barba spumosa delle onde che si espande quando incontra la costa...

E tu sei lì in mezzo al nulla, come direbbero alcuni, ma assolutamente al centro di tutto.

Il frastuono del vento e del mare coprono i suoni di chi sta cercando di dirti qualcosa, poco piú indietro, e ti accorgi che il cielo é un pó roseo, nonostante sia giá tarda notte.

Il tuo amico ha esultato, e ora si affanna nel portare su un grosso pesce, che lotta per salvare la sua libertá, e con essa la propria vita.

Tu non hai pescato un granché, ma non conta: sei dentro lo spettacolo e te la stai godendo alla grande!

Poso la canna e mi stendo sul dorso: la roccia é dura e piena di asperità che la rendono tutt'altro che comoda. Ora ho gli occhi diretti verso il cielo e ravviso l'origine di quel chiarore: ci sono miriadi di stelle lassú, sembrano brillanti di vario taglio, cuciti in ordine sparso su un lungo drappo elegante, esteso all'infinito.

Lascio penzolare liberamente i miei piedi nel vuoto, mentre guardo lassú, e non ho davvero bisogno di altro. Penso alla cittá da cui sono arrivata, e a quanto sembra lontano da qui quel mio modo di accompagnarmi alla vita.




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