sabato 7 dicembre 2013 - Osvaldo Duilio Rossi

Essere un altro #5

Immagina che uno sconosciuto, entrato in casa tua, dimostri di poter contestare la tua identità.

Chi è? Cosa vuole ottenere? Come riesce a manipolare le informazioni sulla tua vita? Ma soprattutto: tu chi sei?

Un romanzo a puntate sulla fragilità dell'identità nell'era di Internet.

 

La gente fa schifo ovunque. Girando il mondo sono giunto alla conclusione che gli esseri umani sono tutti uguali, che hanno le stesse debolezze e gli stessi pregi. Ma ho anche imparato che il senso di tutti gli sforzi che facciamo deve essere orientato al miglioramento di noi stessi perché altrimenti che campiamo a fare? Già di per sé il tempo non migliora nulla, ma invecchia solamente, perciò gli sforzi che facciamo ogni giorno devono farci migliorare, altrimenti staremo sempre peggio. E a nessuno piace stare male. Come si dice in gergo: una macchina pulita marca meglio di una macchina sporca. Però se tutti ci sforzassimo di migliorare, lavando l’auto, non saremmo più uguali. Finché lo sporco copre la carrozzeria ci somigliamo, grigi e lerci, ma quando fatichiamo per rimuovere la morchia affiorano le forme e il colore di serie che ci distinguono per come siamo veramente. Finché lo sporco ci uniforma dentro e fuori, siamo disposti anche a farci rubare l’auto e a rubare la prima che ci capita sotto mano, ma quando fatichiamo per lustrarla, tocca impegnarci anche per conservarla. perciò migliorare sembra impossibile e la maggior parte di noi molla prima di cominciare, preferendo sbracare.

Lo dico con cognizione di causa: anch’io ero sciatto e abbrutito. Quando vivevo in Spagna, alloggiato in affitto nella stanza di un appartamento condiviso con due ragazze, ero un individuo piuttosto negativo. Ma non quanto una delle due coinquiline. L’altra era una grande lavoratrice prussiana, scappava di casa la mattina verso una banca e tornava la sera tardi per cenare da sola e andare a dormire, per poter ricominciare l’indomani. Invece la vera balorda era una russa perdigiorno che sperperava i soldi dei genitori ricchi con la scusa dell’università. Soldi investiti in notevoli quantità di superalcolici, fumo e tapas consumati insieme al suo ragazzo punk belga. Era brutta e aveva una personalità volgare e cattiva, che ostentava con vanitose espressioni di disprezzo, rabbia e disgusto nei confronti di chiunque non le fosse amigo: «Sei stata ammessa a corte», diceva. La russa e il punk avevano adibito la casa a un salotto libertino o a un porto di mare.

In quel periodo passavo la gran parte del tempo a riposarmi da una disavventura imprenditoriale, così me ne stavo spesso in camera mia o al cinema, anche se presi presto l’abitudine di frequentare spiaggia, giardini pubblici e ramblas pur di non sopportare la presenza costante e molesta della russa, che sbraitava, scopava sonoramente, intasava il gabinetto, fumava e litigava di continuo con chiunque, protetta dal punk.

Fu la bancaria a lamentarsene formalmente con la padrona di casa e da quel momento entrammo in uno stato di conflitto perenne. La russa venne redarguita dalla padrona, che però non menzionò l’identità di chi si era lamentato, così la stronza pensò che fossi stato io a fare la spia e iniziò a tendermi stupidi dispetti, tipo farmi trovare l’uscio della mia camera cosparso di finissimi aghi da cucito oppure far sparire le provviste dal frigorifero oppure spaccare i posacenere per informare la padrona che ero stato io. Fortunatamente la vecchia non ne tenne conto, avendo capito con quali soggetti stava trattando: io un signore, la russa una balorda. Ne scaturì una denuncia per percosse esposta nei miei confronti, ma in realtà era stato il punk o qualcun altro a farle un occhio nero durante un’orgia selvaggia. Alla presenza della polizia, che era piovuta in casa per l’occasione, la padrona ci comunicò che eravamo tutti ospiti sgraditi e che ci sfrattava in blocco, ma credo che la contabile venne recuperata subito dopo. La russa, ubriaca come al solito, coprì la vecchia di insulti, si accapigliò con un agente, fece in modo che il punk rimediasse un montante allo stomaco, minacciò i poliziotti per abuso di potere dopo aver chiesto loro di testimoniare a suo favore, pretese un’indennità per il recesso anticipato e promise che avrebbe traslocato l’indomani.

Quel pomeriggio dormivo inchiavardato nella mia camera quando fui svegliato dalle urla selvagge della russa che era rincasata ubriaca insieme al punk e a qualcun altro. Sfasciarono subito qualche bicchiere, giusto per riscaldarsi. Doveva essere la spedizione punitiva finale. Passarono un’ora abbondante a sabotare la casa, estraendo e portando via tutti gli interruttori della luce e tutte le prese della corrente, spaccando le lampadine e scrivendo oscenità sui muri. L’intervento più ingegnoso però fu trasformare lo scaldabagno in una bomba: uno degli invitati alla festa doveva essere un elettricista o un idraulico perché rimossero il termostato in modo che, se qualcuno avesse acceso lo scaldabagno, la serpentina non si sarebbe spenta e il vapore dell’acqua bollente avrebbe fatto esplodere il boiler all’improvviso. Dalla mia stanza, immobile e silenzioso, li sentivo orchestrare tutto mentre lei canticchiava: «Piangerai… oh se piangerai…» Prima di andarsene, la balorda lanciò un paio di maledizioni verso la mia porta. Aspettai qualche minuto, spensi l’interruttore generale della corrente e abbandonai l’appartamento.

Fuggii su un’isola, dove iniziai a provare un profondo disgusto per il genere umano, per la specie intera. I singoli individui non mi interessavano più: avevo iniziato a pensare in grande, a vedere la gente per quello che è, spoglia di sovrastrutture, senza nomi e cognomi, senza etnia, senza cultura… solo la massa di gente, che è il senso ultimo del genere umano. I nudisti mi aprirono gli occhi. Infantili e repressi, glabri come bimbi, esibizionisti come discoli, soddisfatti di un costume adamitico ostentato senza naturalezza, ma per sfogare le frustrazioni di vite sciatte, concentrate in uffici crepuscolari con dirigenti spietati e lividi. I nudisti ostentano la propria bruttezza per vendicarsi.




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