mercoledì 21 dicembre 2016 - Marina Serafini

Essere ingrato

Il contadino lavora la terra. Lui sa che il compito è arduo e faticoso nel tempo, ma sceglie di procedere oltre. Indossa stivali pesanti e muove e smuove la materia indurita affinché l'aria, miscelandosi insieme con lo scuro elemento, ne ingentilisca le importanti virtù. E mentre nel cielo viventi arpagoni misurano i suoi movimenti, egli si muove con lena, e nei solchi ben ben sistemati, rovescia manciate di promettenti semini.

Pensa il contadino al domani, alle tenere piante verdine che solleveranno, spostando, le zolle, per ergersi su verso l'azzurro del cielo. Crescono i teneri fili nutrendosi di quanto la terra può dare e di quanto saranno capaci di cogliere di ciò che la saggezza dell'uomo vorrà destinare.

Semina l'uomo e cura la terra, ascoltando le promesse del cielo e del luogo, e va incontro alla sera e poi alla mattina, tra gli odorosi umori del suolo e i bagliori del cielo.

Una nuova stagione è la promessa di un nuovo scambio di vita.

Si affacciano alfine alcuni germogli, sedotti dal sole e dall'aria si ergono in su, verso l'azzurro che domina tutto. Rimangono altri più indietro, gravati da una peculiare lentezza. 

Alcuni semi son stati rapiti dal vento e chissà poi di loro che cosa ne è stato... Altri ancora mangiati da individui affamati, o solo riposti in piccole tane, in attesa dei momenti più ardui.

Tra tutti ci sono anche quei semi che invece non si sono mai mossi: rimangono comodi sotto il tappeto di polvere scura; non indossano il verde mantello nè gli alti calzari. Son li che dormono fermi, indifferenti alla ricca abbondanza che è pronta a nutrirli. 

Snobbano questi la voglia di fare, assente l'istanza di vita: la fatica dell'uomo non solletica la loro esistenza e rimangono al buio, inutili e fermi.

E se i loro compari hanno dato bei frutti, loro accusano il campo, la terra, il lavoro dell'uomo, loro inveiscono contro il fato crudele che nulla ha prodotto per loro. E rimangono giù, tra sassi e radici, in un letto freddo e silente da cui potrebbero ancora, se solo ne avessero voglia, assumere ciò che serve ad ognuno di loro.

E ' ricco il mio desco di preziose vivande: festeggio con chi mi è d'intorno, godendomi il premio del lungo lavoro. Non si colma però il terribile vuoto di chi, per colpevole e stupida accidia, ha preferito rimanere a dormire...

 




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