mercoledì 30 marzo 2011 - Paolo Maria Coniglio

Endometriosi, una brutta gatta da pelare

“ Ogni mese è un continuo morire e rinascere.

Il mio corpo giovane sembra intrappolato

in quello di un’anziana signora

che sta aspettando l’arrivo della morte.

Muoio lentamente

per poi cercare timidamente di rinascere,

ma con l’avanzare della malattia

mi chiedo se sono proprio queste le tonalità

che desideravo per la mia vita.

A volte il dolore è così forte e prolungato

che non riesco più a riprendermi.

Mi sembra di essere un piccolo bozzolo indifeso

che attende, come per miracolo,

la sua rinascita

per vivere finalmente libera

come una farfalla

che brilla con i suoi mille colori

rimasti per tanto tempo inespressi.”

da un pensiero della paziente Loria Orsato

Di endometriosi si parla ancora poco e poche sono le persone che la conoscono a fondo, comprese le Istituzioni che ancora oggi in Italia non la riconoscono come una malattia invalidante e disabilitante che persiste per tutta la vita e che necessita di continui controlli, sottovalutandola.

Oggi le cose stanno cambiando, grazie anche a una rete di Associazioni di pazienti diffusa in tutto il mondo, che si è fatta promotrice di educazione, sostegno e ricerca, in collaborazione con medici sensibili al problema e motivati a sconfiggerlo. 

L'endometriosi è una malattia subdola, tenace e in parte ancora misteriosa, ma cronica che colpisce le donne in età riproduttiva in tutto il mondo. Non è quindi una malattia rara

Il nome deriva dalla parola "endometrio", il tessuto che riveste la superficie interna dell'utero e che cresce e successivamente si sfalda ogni mese durante il ciclo mestruale.

Nell'endometriosi il tessuto simile all'endometrio si localizza al di fuori dell'utero, in altre aree del corpo.

In tali sedi il tessuto endometriale si sviluppa in "noduli", "tumori", "lesioni", "impianti", o "escrescenze". Tali formazioni possono essere causa di dolore, di sterilità e di altri problemi.

Esse si localizzano più frequentemente nell'addome interessando le ovaie, le tube di Falloppio, i legamenti dell'utero, il setto retto-vaginale (area tra la vagina e il retto), la superficie esterna dell'utero e il peritoneo (tessuto di rivestimento della cavità peritoneale). Talvolta queste lesioni si trovano anche nelle cicatrici addominali post-chirurgiche, sull'intestino o nel retto, su vescica, reni, ureteri (canali che da ciascun rene aggettano in vescica), vagina, cervice e vulva (genitali esterni). Lesioni endometriosiche sono state trovate anche all'esterno dell'addome, nel polmone, nel braccio, nella coscia e in altre zone, anche se si tratta di casi rari.

Come il rivestimento interno dell'utero, anche le lesioni endometriosiche sono di solito sensibili agli ormoni sessuali prodotti dalle ovaie ed in particolare agli estrogeni. Pertanto, le formazioni endometriosiche subiscono un andamento ciclico di sviluppo, di sfaldamento e perciò di sanguinamento. Diversamente dalla superficie interna dell'utero, però, il tessuto endometriale al di fuori di esso non ha modo di fuoriuscire all'esterno del corpo. Il risultato è un ristagno interno di sangue, con decomposizione del tessuto sfaldato a partire dalle lesioni, infiammazione delle aree circostanti e formazione di tessuto cicatriziale.

L’esito infiammatorio è inevitabile:

l’infiammazione infatti è la risposta che il nostro corpo mette in atto ogni volta che subisce un trauma. È un modo comodo di reagire, perché è immediato e non dipende dal tipo di trauma. Una scheggia conficcatasi in un dito, un attacco batterico o virale o, come nel caso dell’endometriosi, sangue in sede anomala: il nostro organismo ha messo a punto un sistema rapido di attacco al nemico qualunque forma esso assuma. Il processo infiammatorio, però, se non viene disinnescato altrettanto velocemente, tende a cronicizzare. Le cellule dell’infiammazione mettono in campo anche le cosiddette citochine, molecole rilasciate nell’ambiente circostante il punto di attacco del nemico, che hanno la funzione di mediatori dell’infiammazione. Cellule e molecole danno origine ad un meccanismo di autoamplificazione del messaggio infiammatorio. Se la flogosi (= infiammazione) non viene messa sotto controllo in tempo, il suo esito ultimo è la cronicizzazione dello stimolo infiammatorio che danneggia il tessuto sano.

La risposta dell’organismo a lesioni e danneggiamenti tissutali è la cicatrizzazione cioè la produzione di tessuto fibroso meno elastico e meno funzionale di quello originario. Spesso questo meccanismo di riparo produce aderenze tra i diversi organi della cavità addominale, ostacolandone i movimenti e la corretta funzionalità.

Tutto questo produce dolore. La non sincronizzazione della risposta agli estrogeni tra l’endometrio eutopico (cioè quello che fisiologicamente riveste la cavità uterina) e l’endometrio ectopico (cioè quello fuori posto, quello delle lesioni patologiche) renderebbe ragione, almeno in parte, del dolore cronico legato all’endometriosi, presente cioè in molti giorni del mese se non addirittura tutti i giorni. Anche la formazione di aderenze è causa di dolore.

Altre complicazioni, dipendenti dalla localizzazione delle lesioni, possono essere la rottura di tali lesioni (che può essere causa di diffusione delle cellule endometriosiche in altre aree), l'occlusione intestinale (se le lesioni si localizzano nell'intestino o nelle sue vicinanze), disturbi vescicali (se le lesioni sono a livello vescicale), stenosi (= restringimento) degli ureteri con possibile sofferenza a livello renale, e altri problemi ancora. Le formazioni endometriosiche non sono in genere maligne o cancerose: si tratta di un tessuto normale situato in una sede anomala. In questi ultimi decenni c'è stato un aumento dell’osservazione della frequenza con cui lesioni maligne si sono sviluppate da lesioni endometriosiche o sono state osservate in concomitanza con esse. Tuttavia gli studi risultano ancora contrastanti per poter arrivare ad una conclusione univoca in questo senso.

Si parla invece di adenomiosi quando le cellule endometriosiche si localizzano nel miometrio, la parete muscolare dell’utero.

Contro il dolore, che può variare da lieve ad estremamente intenso fino ad essere insopportabile, si prescrivono i FANS (antinfiammatori non steroidei) ovvero i più comuni analgesici. Molto spesso però il trattamento del dolore al momento del suo manifestarsi è insufficiente perché tale dolore tende a diventare farmaco-resistente; si ricorre allora a più potenti narcotici, su prescrizione medica.

Si usano composti estroprogestinici tipo pillola anticoncezionale somministrata per lunghi periodi. Inoltre, si usano farmaci a contenuto solo progestinico che inducono uno stato di pseudogravidanza. Per terapie a più breve termine sono in uso analoghi degli ormoni ipotalamici che inducono uno stato di pseudomenopausa. Questi trattamenti farmacologici hanno pesanti effetti collaterali, sono perciò molto faticosi da sopportare perché creano squilibri difficili da accettare per una giovane donna e notevoli ripercussioni sul fisico.

In sede di intervento laparoscopico si asportano le formazioni endometriosiche (la laparoscopia così da diagnostica diventa operativa). Infatti la diagnosi certa si può avere soltanto con un intervento chirurgico che permetta il prelievo di tessuto da analizzare. La laparoscopia è un intervento mediamente invasivo in cui, grazie a strumenti a fibre ottiche, il chirurgo si rende conto del quadro addominale e pelvico della paziente. Talvolta la laparoscopia non è possibile e si opta per una laparotomia con taglio dell’addome. Nonostante si cerchi di effettuare interventi il più conservativi possibile degli organi genitali interni, in casi più gravi si deve arrivare all’asportazione dell’utero (isterectomia) e/o delle ovaie (annessiectomia) molto spesso inaccettabili data la giovane età delle pazienti. Chirurgicamente talvolta è necessario arrivare alla resezione intestinale, all’asportazione di un rene, ecc., quando l’endometriosi abbia già intaccato quegli organi compromettendo in modo pesante la loro funzionalità e la qualità di vita della donna.

Sfortunatamente, la malattia essendo cronica quasi sempre persiste e necessita di nuovi trattamenti.

Si ritiene che nel 20-25% dei casi l’endometriosi sia asintomatica, cioè non produca nessun sintomo evidente.

Nella maggior parte dei casi (75-80%) invece i sintomi si possono presentare con una variabilità molto ampia sia nella tipologia sia nell’intensità.

I sintomi dell’endometriosi si possono distinguere in due categorie: dolore e sterilità/infertilità.

Nell’ambito dei sintomi dolorosi, quelli riscontrati più frequentemente in caso di endometriosi sono dolori prima e durante le mestruazioni (dismenorrea), dolore all'ovulazione, dolori durante o dopo i rapporti sessuali (dispareunia), dolore alla defecazione (dischezia), dolore alla minzione (disuria), dolori che si irradiano verso la zona rettale, dolore alla regione lombare. Inoltre si possono verificare: spotting (perdite di sangue nel periodo compreso tra una mestruazione e l’altra), sangue nelle feci o perdite di sangue dal retto (proctorragia), sangue nelle urine (ematuria), nausea, diarrea e/o stitichezza e altri disturbi intestinali, mal di testa, stanchezza e senso di affaticamento.

L'intensità del dolore non è in rapporto né all'estensione e/o alle dimensioni delle lesioni né alla gravità della malattia. Piccole formazioni (dette petecchiali) si sono rivelate più attive nella produzione di prostaglandine. Le prostaglandine sono sostanze sintetizzate in tutto il corpo, implicate in numerose funzioni e ritenute responsabili della maggior parte dei sintomi dolorosi in quanto mediatori dell’infiammazione: questo potrebbe spiegare la sintomatologia significativa che spesso accompagna la presenza di impianti piccoli.

I sintomi dolorosi dovuti all’endometriosi sembrano intensificarsi nel tempo, sebbene in alcuni casi si abbiano cicli di remissione e di ricorrenza.

La sterilità colpisce il 30-40% circa delle donne con endometriosi ed è un esito comune con il progredire della malattia.

Si parla di sterilità quanto è impedita la fecondazione, per cui i due gameti (ovulo e spermatozoo) non sono in grado di incontrarsi per dare origine allo zigote (la cellula fecondata).

Si parta di infertilità quando, pur essendo avvenuta la fecondazione, non si ha il proseguimento della gravidanza con l’impianto del pre-embrione nella cavità interna dell’utero.

La diagnosi di endometriosi, in genere, non è considerata certa fino a quando non viene provata dalla biopsia, cioè dall’analisi del tessuto prelevato in sede di intervento chirurgico.

Tuttavia il ginecologo può avvalersi di molti strumenti che gli permettono di formulare una diagnosi con ottima probabilità di essere confermata dall’analisi del tessuto istologico.

Innanzitutto la raccolta scrupolosa dei dati relativi alla storia personale e familiare della donna (anamnesi), l’annotazione accurata dei sintomi e di tutte le indicazioni che la paziente può offrire durante il colloquio permettono al medico di indirizzare le sue attenzioni verso un inquadramento diagnostico corretto.

La visita ginecologica – da eseguirsi per via vaginale, quando possibile, e sempre per via rettale – permette la palpazione manuale delle lesioni più importanti. Una visita adeguatamente effettuata consente di individuare le aree doloranti riproducendo gli stessi sintomi dolorosi della malattia.

Tra le analisi strumentali, l’ecografia – transvaginale quando possibile - è senz’altro la più comune e la meno invasiva. Permette di individuare cisti alle ovaie e l’adenomiosi (tessuto endometriosico che si annida all’interno della parete muscolare dell’utero).

In presenza di sintomi intestinali possono essere utili la risonanza magnetica nucleare, il clisma opaco, l’ecocolonscopia.

Se si sospetta un interessamento dell’apparato urinario, la cistoscopia permette una esplorazione della vescica, l’urografia o l’uroRMN analizzano i canali ureterali e l’ecografia dell’addome permette di rilevare dilatazioni renali e/o ureterali.

Anche TAC e raggi X possono essere di supporto per una diagnosi corretta.

Può essere utile indagare il valore ematico di alcuni marcatori come ad esempio il CA 125. Si tratta però di una misurazione non sempre indicativa di endometriosi perché questa proteina può aumentare la sua concentrazione nel sangue in presenza di altre condizioni infiammatorie o di alcune forme di cancro. Inoltre, non è detto che si innalzi in presenza di endometriosi. Pertanto di per sé non è un valore prognostico significativo.

In Italia, opera dal 1999, l’Associazione Italiana Endometriosi Onlus (AIE) che é stata fondata da e per donne affette da endometriosi ed è riconosciuta come Organizzazione di volontariato Non Lucrativa di Utilità Sociale su tutto il territorio italiano (decreto dir. n. MI 115). Ha sede a Nerviano (Milano) e partecipa al circuito internazionale dell’international Endometriosis Association, associazione internazionale presente in 66 paesi del mondo. L’AIE è tra i membri fondatori della European Endometriosis Alliance costituita nell’ottobre del 2004.

L’AIE, prima associazione di pazienti in Italia ad occuparsi di endometriosi nella prospettiva delle donne che ne sono affette, ha i seguenti obiettivi:

  • sostenere emotivamente le donne
  • informare sulla malattia
  • sollecitare le istituzioni
  • promuovere la ricerca scientifica
  • raccogliere le firme perché in Italia vengano tutelati i diritti delle donne affette da endometriosi.

I contraccettivi orali riducono i sintomi dolorosi quali la dismenorrea ed il dolore inter-mestruale e prevengono efficacemente le recidive delle cisti endometriosiche dopo la loro rimozione chirurgica.

Purtroppo, l’effetto è sintomatico e non curativo, cioè il beneficio è evidente fintanto che si utilizza la pillola, ma alla sospensione la ripresa dei sintomi è assai probabile. Di conseguenza, il concetto stesso di trattamento medico implica periodi di assunzione prolungati, a volte di anni e che comunque coprano il lasso di tempo intercorrente tra la diagnosi e la ricerca di una gravidanza.

Molte donne assumono “la pillola” per molto tempo a scopo contraccettivo senza preoccupazioni. Tuttavia, quando i contraccettivi orali sono usati a scopo terapeutico, vengono spesso gravati dei più diversi timori, incluso l’effetto sulla fertilità e sulla salute futura.

I dati riguardanti l’effetto sulla fertilità sono molto rassicuranti, così come quelli relativi alla salute futura della donna. Anzi, gli studi indicano come la pillola possa rappresentare addirittura un fattore protettivo.




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