Emma Dante al Teatro Goldoni rilegge una fiaba di G.B. Basile
La regista palermitana torna a creare un nuovo spettacolo tratto da Lo cunto de li cunti, capolavoro della prosa napoletana
(_ph©MasiarPasquali)
Letterato e cortigiano, nato a Napoli tra il 1566 e il 1575, morto a Giugliano in Campania nel 1632, Giambattista Basile, sotto lo pseudonimo di Gian Alesio Abbattutis, è accostato per il suo modo di raccontare, suddiviso in favole giornaliere, a Giovanni Boccaccio e al suo Decamerone. Soltanto che nel suo caso, l’opera si dipana in cinque giornate, da cui il titolo di Pentamerone, ossia la fiaba delle fiabe, ovvero lo trattenemiento de peccerille, secondo la prima edizione letteraria del secolo scorso (1925), frutto della traduzione di Benedetto Croce.
Il libro contiene cinquanta fiabe, raccontate in cinque giorni da dieci vecchie e brutte narratrici, rappresentanti del mondo popolare, volutamente portato sulla scena da Basile, per sottolinearne la lontananza dallo sfarzo e dagli agi della corte napoletana dell’epoca.
Dopo La vecchia scortecata e Pupo di zucchero (“Pinto Smalto” nella versione originale), la regista, attrice e drammaturga siciliana (Palermo, 6 aprile 1967), ha deciso di riscrivere la fiaba La papara (la papera) col titolo di Re Chicchinella.
Così l’autore riassume la fiaba : Lilla e Lolla comprarono al mercato una papera che cacava denari ; gli viene chiesta in prestito da una comare e, trovando il contrario, la uccide e la getta da una finestra ; quella si attacca al tafanario di un principe mentre andava di corpo, né gliela può staccare nessuno fuorchè Lolla, per la qual cosa il principe se la prende per moglie.
Emma Dante focalizza la sua attenzione sulla figura dello sfortunato aristocratico, ripetutamente irriso durante lo svolgersi della pièce, semplicemente enumerandone gli infiniti titoli nobiliari – Re Carlo III d’Angiò, re di Sicilia e di Napoli, principe di Giugliano, conte d’Orleans, visconte d’Avignon e di Forcalquier, principe di Portici Bellavista, re d’Albania, principe di Valenzia e re titolare di Costantinopoli – a partire dalla cinica regina, dalla figlia e dalla corte, cui non interessa per niente il suo doloroso stato di salute.
Ma cos’era successo al povero Re, secondo il riassunto di Emma Dante ?
Tornato dalla caccia, sentito il bisogno di andare di corpo, si infila in un vicoletto per scaricare il ventre. Non avendo in tasca di che pulirsi, si serve di una gallina accisa de frisco, con le piume morbide e setose, che giaceva abbandonata in un angolo. Purtroppo la gallina non era morta e così introduce il suo becco nel deretano del re. Nella corte reale nessuno riesce a togliergliela. Ma tutti sono contenti, perché quotidianamente il volatile espelle un uovo d’oro. E allora, tutti a rimpinzare il re, perché la gallina per continuare a vivere e nutrirsi deve divorare lentamente le viscere del sovrano. Passano i mesi, finché dopo 13 giorni di digiuno il re piomba a terra e si risveglia non più umano, ma bianca gallina.
E’ un Happy End grottesco, che dimostra la disumanità della famiglia, avidamente attratta dall’accumalarsi dell’oro,
Un plauso oltre che ai bravissimi attori, alla scelta delle musiche – tra cui si eleva l’aria dal Rinaldo, opera seria in tre atti di Georg Friedrich Handel (1685 – 1759), Lascia ch’io pianga – e alla gallina, coccolata e adottata da uno degli attori, Enrico Lodovisi, che interpreta una delle sette dame di corte e che nel libretto di sala è indicata come Odette Lodovisi.
Spigliata, esce dal buio nel finale e si conquista tre minuti di gloria, senza starnazzare, quasi conscia di interpretare un ruolo di primo piano nella riuscita della pièce.
Perfetta la durata : 60 minuti che scorrono gaiamente, senza che a nessuno venga in mente di dare un’occhiata all’orologio.
Tra i protagonisti non si può non menzionare il re – Carmine Maringola, nella vita, compagno della regista - perfettamente a suo agio con un linguaggio, che pur letteralmente di difficile comprensione, risulta intelleggibile, grazie alla ritmicità nell’esposizione.
Applausi, ripetute entrate e uscite di scena, e un sorriso di felicità nei volti degli interpreti.