venerdì 29 aprile 2022 - Phastidio

Elon, benevolo signore dell’agorà libertaria

L'acquisto di Twitter da parte di Mr. Tesla resta avvolto in un mistero che parte dalla finanza e arriva alla missione immaginata (o immaginaria) per il social network

 

Dopo che Elon Musk ha annunciato la sua intenzione di acquisire Twitter e togliere la società dalla quotazione, e dopo l’accordo raggiunto a tempo di record col consiglio di amministrazione del social network, le domande continuano a eccedere ampiamente le risposte. A partire da quelle strettamente finanziarie, che tuttavia non sono le più rilevanti rispetto alle dinamiche di potere planetario che possedere questo social implica.

Partiamo dagli aspetti relativi alla vil pecunia. Tecnicamente, l’acquisizione di Twitter è un leveraged buyout (LBO). In parole povere, viene creato un veicolo (NewCo), che incorpora Twitter, togliendola dalla quotazione. Tale veicolo è dotato di mezzi propri (equity) e debito, destinato a essere sommato a quello preesistente del social.

Il “segreto” (si fa per dire) degli LBO è che l’acquirente mette ben poco equity nel veicolo di acquisizione, mentre tutto il debito aggiuntivo si scarica sulla preda (target), che deve tentare di generare abbastanza cassa per ripagarlo. Altrimenti, finisce a gambe all’aria e i cocci sono suoi e dei suoi stakeholder (creditori e lavoratori soprattutto).

Un Leveraged Buyout sui generis

Nel caso dell’acquisizione di Musk, le cose non stanno esattamente in questi termini, almeno così non pare, ad una prima ricognizione. Musk deve reperire 46,5 miliardi di dollari, di cui 13 miliardi saranno il famoso debito aggiuntivo in testa a Twitter nel nuovo veicolo, in aggiunta a quello oggi esistente, che è “spazzatura” in quanto sotto l’investment grade.

Altri 12,5 miliardi deriveranno da un cosiddetto margin loan, cioè un prestito che Musk contrae con le banche mettendo a pegno parte delle sue azioni Tesla. Infine, l’equity (i mezzi propri) del nuovo veicolo ammonteranno a 21 miliardi di dollari, e qui c’è ulteriore nebbia. Musk venderà azioni Tesla per fare cassa? Oppure prenderà a bordo altri investitori, cosiddetti Limited Partners, magari tra gli attuali azionisti Twitter, che consegnerebbero azioni avendo in concambio capitale della nuova società? Ovviamente, solo se allettati da promesse di redditività elevata.

Queste incertezze hanno appesantito le quotazioni di Tesla, perché il mercato si chiede se e quante azioni del produttore di auto elettriche Musk dovrà vendere. Se le quotazioni dovessero scendere ulteriormente, potrebbero esserci problemi col margin loan sulle azioni Tesla, nel senso che il prestito potrebbe costare molto di più o richiedere un aumento del pegno.

A questo punto, e ammettendo che questo LBO è piuttosto sui generis, resta da chiedersi se e come Twitter possa essere ristrutturata in modo da diventare ciò che sinora non è stata, cioè una macchina da soldi e cash. E qui siamo in attesa di un piano industriale (ed “editoriale”) che vada oltre le abituali visioni di Musk. Più pubblicità? E come? Account a pagamento? Su che basi? In soldoni, se la nuova società veicolo non riuscisse a reggere il peso dei maggiori oneri finanziari, Musk sarebbe sulla linea del fuoco.

Certo, Musk è l’uomo più ricco del mondo e oggi Tesla genera importanti flussi di cassa anche al netto del programma di investimenti. Ma resta che il visionario di origini sudafricane non è al momento “cash rich“, come si dice.

Di solito, un LBO viene messo in pista per mettere a grande leva i capitali del predatore, sotto l’ovvia ipotesi che ci sia potenziale per fare soldi. Nei giorni scorsi Musk, non è chiaro se per stupire come al solito, ha detto che a lui la cosiddetta “economics” dell’operazione interessa poco. Che non è esattamente il modo per attrarre investitori, in un mondo normale. Quindi ribadiamolo: tutto verte sulla capacità di spingere Twitter a generare molta più redditività e flussi di cassa liberi.

Aggiungiamo a ciò che al momento siamo in un momento di denaro non esattamente gratis, visto che la Federal Reserve sta avviando una stretta monetaria che promette di essere dolorosa, ed ecco che, come detto sopra, gli interrogativi continuano ad eccedere le domande.

One man band

Dopo l’aspetto finanziario viene quello imprenditoriale. Musk e le sue imprese sono una sorta di one-man-band. Se cade lui, viene giù tutto. Si chiama key person risk. Qualcosa che a volte viene sottostimata dai mercati. Musk è poi facile a innamoramenti e disamoramenti e anche stavolta potrebbe cambiare idea, pagando una termination fee di solo un miliardo di dollari, che potrebbe essere più che compensata da un recupero delle quotazioni di Tesla, depresse da quando è iniziata questa avventura.

C’è poi l’aspetto non meno rilevante del controllo sociale e dell’utilizzo del social in chiave di promozione di un’agenda politica globale. Musk insiste ossessivamente a parlare di promozione del free speech, eccitando le anime libertarie, ma non è chiaro in cosa ciò si sostanzi. Musk ha anche ipotizzato di imporre obbligo di registrazione e identificazione alla piattaforma ma questo sarebbe in contrasto col presunto libertarismo da free speech, oltre a impedire a voci come Anonymous di esprimersi.

La discesa in campo di Musk ha galvanizzato la destra complottista americana, che non ha ancora digerito il “complotto liberal” dell’espulsione di Donald Trump da Twitter. Nulla di sconvolgente: appena il vento cambierà in senso sfavorevole a una delle parti, sentiremo richieste di azioni antitrust e audizioni al Congresso che torneranno a sventolare lo spaventapasseri del Communications Decency Act, per tenere i social responsabili dei contenuti pubblicati, come un normale editore.

Libera manipolazione in libera agorà

A ben vedere, e anche qui non diciamo nulla di inedito, la dinamica resta quella della contrattazione e del mercanteggiamento tra potere politico ed economico. Solo che l’effetto-rete dei social network pone la politica a svantaggio negoziale strutturale. Tornando alla visione di Musk, vedremo quindi come verranno riscritti i Terms of Service, e a vantaggio di chi.

Tra gli altri suggerimenti, suggestivo quello da grande agorà virtuale planetaria i cui algoritmi diventano pubblici e finiscono su Github per essere votati dal popolo, in una sorta di uno-vale-uno globale. Affascinante, questa sorta di automanipolazione di massa. E tuttavia, non entusiasmatevi: così come non esiste l’uno-vale-uno, così anche questa suggestione sarebbe solo la foglia di fico di una manipolazione costruita altrove. Quasi quasi mi faccio scappare uno sbadiglio. Per le anime candide disposte a sposare le visioni di Musk resta comunque il miraggio del tweet editabile, che è ormai una sorta di Sacro Graal del popolo tipizzato e typizzato nel senso di prono a errori di digitazione quando non di contenuti.

Volendo guardare il mondo con le solite lenti di cinico realismo, e cioè in base ai rapporti di forza, occorre chiedersi quanto Musk sia condizionabile, per non usare altro termine più crudo ma efficace. Dai finanziatori in primo luogo ma anche dal resto del mondo. Dire che Tesla sviluppa parte decisiva dei propri ricavi in Cina, e che ciò è uno spettacolare tallone d’Achille per Musk, soprattutto in questo periodo, non è considerazione particolarmente originale ma resta vera al netto delle voci più o meno interessate e “impure” che l’hanno ricordata.

Per ora Musk può intonare il suo “Hic manebimus optime” cinese, dopo esser passato attraverso una rieducazione in chiave consumerista orchestrata da Pechino. Sapevate che le vendite cinesi di Tesla sono ormai la metà di quelle statunitensi, e la tendenza è all’aumento? Forse siamo di fronte ad una variante del celeberrimo precetto del Wandel durch Handel (cambiamento attraverso il commercio), che tanto bene ha detto alla Ostpolitik tedesca ed europea. Diciamo che, in un ipotetico prospetto destinato agli investitori in tutto quello che è il brand Musk, oltre al key person risk io metterei anche questa componente geografica di ricavi di Tesla.

Vedremo quindi, se mai arriveremo a quel punto, come il paladino della libertà di espressione Elon Musk gestirà online i “lupi guerrieri” cinesi e le mirabolanti “informative” degli account russi, che tuttavia si sono già proficuamente attrezzati anche per la “old economy” televisiva andando a presidiare con i loro trombettieri i cosiddetti approfondimenti giornalistici in Italia.

Per tutto il resto, ci sono i Musk-entusiasti, convinti che il loro idolo porterà libertà di espressione a un nuovo livello, dopo aver causato una enorme disruption immaginaria al mondo, con la cripto-predicazione anarco-ambiental-libertaria e la promozione di veri e propri scherzi di Ponzi. A proposito, ma le Tesla non si pagano più in bitcoin, giusto? O forse non è mai accaduto. Ma quando ci sono immaginazione e free speech, c’è tutto.




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