martedì 8 novembre 2016 - Fabio Della Pergola

Elezioni USA | Supportare Hillary, why not?

La contesa americana ha aperto scenari inconsueti a quelle latitudini politiche.

In fondo eravamo abituati a un passaggio di consegne in alternanza fra partiti sufficientementi simili da distinguersi fra di loro quasi solo attraverso le lenti dell’ideologia europea.

Solo ad occhi socialisteggianti i democratici potevano sembrare socialisti; in realtà sono stati animati solo da una volontà (un po’ fiacca) di smorzare le punte estreme dello storico e incarognito razzismo americano, fino a integrare piano piano alcune delle minoranze etnico-religiose un po’ meno diverse di quanto non fossero i neri o i portoricani. Cioè irlandesi, polacchi e italiani (vale a dire i cattolici) e poi anche gli ebrei (ma solo un bel po’ dopo la Shoah).

Solo ultimamente qualche ispanico più incravattato è stato accolto nell’empireo della politica americana “alta”, mentre solo con Barack Obama - vale a dire un secolo e mezzo abbondante dopo la guerra di secessione fatta, secondo la mitologia corrente, “per liberare i neri dalla schiavitù” - una famiglia di colore è potuta entrare alla Casa Bianca.

Per il resto le politiche democratiche e repubblicane hanno viaggiato su binari paralleli e a scartamento fra loro ridotto, sia in economia che in politica estera.

Senza dimenticare affatto le benemerenze di Franklin Delano Roosevelt con il suo New Deal, dovremmo fare lo sforzo per ricordare che fu il democratico Bill Clinton ad abbattere il muro divisorio fra banche d’affari e banche commerciali con l’approvazione della legge Glass-Steagall, atto spregiudicato di cui stiamo ancora pagando le salatissime conseguenze.

E fu il democratico Wilson che portò l’America nella prima guerra mondiale così come fu il democratico Roosevelt nella seconda; il democratico Truman portò le truppe americane nella sanguinosa guerra di Corea e il democratico Kennedy tentò l’invasione di Cuba (finita male alla Baia dei Porci) per dare poi inizio alla partecipazione di consiglieri americani in Vietnam; il democratico Johnson ci si infilò, in quello stesso pantano indocinese, fino alla cintola. Ancora: il democratico Bill Clinton decise l’intervento nei Balcani e il democratico Obama ha dato il suo contributo, riluttante a dire il vero, all’abbattimento di Gheddafi e all’inasprimento della crisi siriana con le sovvenzioni ai ribelli.

Alla lunga lista di presidenti democratici belligeranti, ai quali peraltro va riconosciuto più di un merito (a meno che non si sia filonazisti o filostalinisti), si aggiungono i repubblicani McKinley (guerra ispano-americana del 1898), il poco battagliero repubblicano Ronald Reagan, modesto invasore di Grenada e i due Bush con l’invasione di Panama prima, dell'Afghanistan poi e soprattutto, con il doppio intervento devastante in Iraq.

Pensare quindi che con la vittoria, ancora presunta, di una democratica vinca una politica meno aggressiva sembra qualcosa che assomiglia niente più che a una vaga speranza (europea).

Né vale che sia una donna. Perché in fondo le donne in politica non sono poi così amabili, come si vorrebbe far credere, visti i precedenti di Golda Meir, Indira Ghandi, Margaret Tatcher, Benazir Bhutto o Angela Merkel.

Ma non c’è scelta se l’alternativa è un razzista, xenofobo, misogino, sessista, suprematista, bancarottiere, bugiardo, volgare, arrogante e sprezzante come “The Donald”. Con buona pace di chi interpreta la politica come pura esibizione del pelo sullo stomaco. O di Beppe Grillo che lo ritiene "meno peggio della Clinton".

Bene ha fatto quindi Bernie Sanders, il vecchio ebreo socialista, combattente tenace per i diritti di chi in America viene costantemente ignorato ed emarginato, a deporre l’ascia di guerra e a supportare Hillary Rodham Clinton, nonostante i tanti malumori della sua base. Si suppone che la sua lunga, esaltante e stupefacente cavalcata per le primarie abbia lasciato un segno nel retrocranio dei democratici.

Discutibile invece la scelta dell’altra esponente della sinistra ecologista radicale americana, Jill Stein, ebrea anche lei (sia detto per chi negli ebrei americani vede sempre e solo la "lobby" destrorsa), a voler perseguire la sua strada “dura e pura” rifiutando "il male minore" (cioè la Clinton) per un "bene più grande" di là da venire.

Di Turigliatti nel mondo ce ne sono sempre stati troppi; anche grazie a loro i popoli poi si devono sciroppare i ventenni berlusconiani o, dio non voglia, le presidenze trumpiane.




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