venerdì 5 luglio 2013 - UAAR - A ragion veduta

Egitto, verso una democrazia compiuta o un regime militare?

Nel­l’E­git­to scon­vol­to da im­po­nen­ti ma­ni­fe­sta­zio­ni di piaz­za e l’in­ter­ven­to dei mi­li­ta­ri la si­tua­zio­ne si fa con­vul­sa. Le pro­te­ste po­po­la­ri per chie­de­re le di­mis­sio­ni del pre­si­den­te isla­mi­sta Mu­ha­med Mor­si, che han­no por­ta­to in piaz­za mi­lio­ni di per­so­ne, sono sfo­cia­te in for­ti ten­sio­ni e scon­tri con di­ver­si mor­ti. L'altro ieri l’e­ser­ci­to ha im­po­sto a Mor­si un ul­ti­ma­tum e lo ha quin­di de­sti­tui­to, so­spen­den­do la Co­sti­tu­zio­ne e dan­do un in­ca­ri­co ad in­te­rim al pre­si­den­te del­la cor­te co­sti­tu­zio­na­le Adli Man­sour. Sono sta­ti ar­re­sta­ti de­ci­ne di espo­nen­ti dei Fra­tel­li Mu­sul­ma­ni e oc­cu­pa­ti te­le­vi­sio­ni e me­dia vi­ci­ni a Mor­si: un vero e pro­prio gol­pe. Il ri­schio di una de­ri­va mi­li­ta­re dopo la pre­si­den­za isla­mi­sta è pal­pa­bi­le.

La co­mu­ni­tà in­ter­na­zio­na­le ri­ma­ne col fia­to so­spe­so. Non man­ca­no ap­pel­li per la pa­ci­fi­ca­zio­ne e la sal­va­guar­dia dei di­rit­ti, come quel­lo di Am­ne­sty In­ter­na­tio­nal. Le for­ze ar­ma­te e la po­li­zia egi­zia­na han­no spes­so vio­la­to i di­rit­ti uma­ni, la li­ber­tà di espres­sio­ne e as­so­cia­zio­ne ha su­bi­to un duro col­po, si ri­schia­no rap­pre­sa­glie e sono nu­me­ro­si gli epi­so­di di vio­len­za ses­sua­le ver­so le don­ne du­ran­te le ma­ni­fe­sta­zio­ni, de­nun­cia il se­gre­ta­rio ge­ne­ra­le di Am­ne­sty, Sa­lil Shet­ty.

An­che Hu­man Rights Wat­ch la­men­ta l’ar­re­sto di mem­bri del­la Fra­tel­lan­za mu­sul­ma­na e del par­ti­to di Mor­si e la chiu­su­ra del­le tv isla­mi­ste da par­te dei mi­li­ta­ri. Ma met­te sot­to la len­te an­che le vio­la­zio­ni dei di­rit­ti sot­to la pre­si­den­za dei Fra­tel­li mu­sul­ma­ni. Con­tro i gior­na­li­sti non al­li­nea­ti, e usan­do le nor­me re­strit­ti­ve di Mu­ba­rak. Con la man­ca­ta li­ber­tà di re­li­gio­ne per i mu­sul­ma­ni scii­ti e i cri­stia­ni cop­ti e l’in­ten­si­fi­car­si dei pro­ces­si per bla­sfe­mia. Con abu­si di po­li­zia e mi­su­re re­strit­ti­ve, non­ché con la li­mi­ta­zio­ne del­la li­ber­tà di as­sem­blea e as­so­cia­zio­ne.

La pri­ma ri­vo­lu­zio­ne del 2011, che ha por­ta­to al crol­lo del re­gi­me di Ho­sni Mu­ba­rak, esor­dì lai­ca e con una lar­ga par­te­ci­pa­zio­ne po­po­la­re e di gio­va­ni. I Fra­tel­li Mu­sul­ma­ni si ac­co­da­ro­no solo in un se­con­do mo­men­to, uscen­do allo sco­per­to dal­la clan­de­sti­ni­tà e met­ten­do in cam­po tut­to il po­ten­zia­le of­fer­to dal­la pro­pria rete di or­ga­niz­za­zio­ni so­cia­li. E vin­se­ro le ele­zio­ni. Una di­na­mi­ca che ri­cor­da quel­la del­l’I­ta­lia dal 1943 in poi, dove le for­ma­zio­ni par­ti­gia­ne cat­to­li­che era­no una mi­no­ran­za, ma poi fu la De­mo­cra­zia Cri­stia­na a vin­ce­re le ele­zio­ni. Al po­te­re è ar­ri­va­to il pre­si­den­te Mor­si del par­ti­to Li­ber­tà e Giu­sti­zia, brac­cio po­li­ti­co dei Fra­tel­li Mu­sul­ma­ni. L’e­se­cu­ti­vo di Mor­si, come ha spie­ga­to l’o­rien­ta­li­sta Oli­vier Roy sul Cor­rie­re del­la Sera, si è di­mo­stra­to inet­to e in­ca­pa­ce di go­ver­na­re, in­te­res­sa­to piut­to­sto a oc­cu­pa­re i po­sti di po­te­re. Roy mi­ni­miz­za tut­ta­via la por­ta­ta del­l’i­sla­miz­za­zio­ne pro­mos­sa dai Fra­tel­li Mu­sul­ma­ni.

Mo­ham­med El Ba­ra­dei, con un con­tri­bu­to pub­bli­ca­to an­che su Re­pub­bli­ca, fa il pun­to sul­la si­tua­zio­ne dram­ma­ti­ca del­l’E­git­to, pre­ci­pi­ta­ta a cau­sa del­l’i­nef­fi­cien­za del go­ver­no. La giu­sti­zia e la si­cu­rez­za non fun­zio­na­no, la vio­len­za e la cri­mi­na­li­tà au­men­ta­no, l’e­co­no­mia col­las­sa. Oc­cor­re, fa sa­pe­re il lea­der del­l’op­po­si­zio­ne, ri­for­ma­re la Co­sti­tu­zio­ne egi­zia­na e crea­re “un’al­lean­za po­li­ti­ca tra i Fra­tel­li mu­sul­ma­ni, i qua­li pro­ba­bil­men­te rap­pre­sen­ta­no meno del ven­ti per cen­to del­la po­po­la­zio­ne, e gli al­tri par­ti­ti — com­pre­si quel­li di orien­ta­men­to isla­mi­co”. Gli isla­mi­sti per­do­no voti, e “mal­gra­do tut­ti i loro slo­gan al­ti­so­nan­ti” non rie­sco­no a ri­sol­ve­re i pro­ble­mi, per­ché non han­no “in­di­vi­dui qua­li­fi­ca­ti” come gli al­tri par­ti­ti: “la sha­ria non dà da man­gia­re”, con­clu­de.

Nel­l’E­git­to di Mor­si si sono vi­ste ri­pe­tu­te vio­la­zio­ni dei di­rit­ti uma­ni, fa­vo­ri­te dal­l’e­mer­ge­re del­l’ag­gres­si­vo in­te­gra­li­smo isla­mi­co e dal­l’ap­pro­va­zio­ne di una Co­sti­tu­zio­ne che non ri­co­no­sce­va pie­ni di­rit­ti. A far­ne le spe­se so­prat­tut­to le don­ne, i non cre­den­ti, le mi­no­ran­ze re­li­gio­se. Sono di­ven­ta­ti en­de­mi­ci gli epi­so­di di vio­len­ze e abu­si ses­sua­li che han­no col­pi­to le don­ne, spes­so giu­sti­fi­ca­te da una cul­tu­ra tra­di­zio­na­li­sta, pa­triar­ca­le e ma­schi­li­sta. An­che gli atei sono sta­ti og­get­to di pro­ces­si e con­dan­ne per bla­sfe­mia, come di­mo­stra il caso del­l’at­ti­vi­sta Al­ber Sa­ber.

I Fra­tel­li Mu­sul­ma­ni han­no pre­sto oc­cu­pa­to pra­ti­ca­men­te tut­te le po­si­zio­ni di po­te­re. Ne­gli ul­ti­mi mesi del 2012 la pre­te­sa di Mor­si di at­tri­buir­si po­te­ri qua­si il­li­mi­ta­ti, qua­si come il suo pre­de­ces­so­re, ha por­ta­to allo scon­tro con la ma­gi­stra­tu­ra ed è sta­ta du­ra­men­te con­te­sta­ta nel­le stra­de. Tra le scel­te im­prov­vi­de, la re­cen­te no­mi­na a go­ver­na­to­re di Lu­xor di Adel Mo­ha­med al Kha­yat, già espo­nen­te del mo­vi­men­to in­te­gra­li­sta Ja­maa Isla­miya: pro­prio l’or­ga­niz­za­zio­ne in­te­gra­li­sta che nel 1997 com­pì nel sito ar­cheo­lo­gi­co di Deir el-Ba­ha­ri un mas­sa­cro di tu­ri­sti. La no­mi­na, ol­tre allo scon­cer­to de­gli ope­ra­to­ri tu­ri­sti­ci, ha dato vita a una dif­fu­sa pro­te­sta po­po­la­re: alla fine al Kha­yat si è di­mes­so.

Nel­le scor­se set­ti­ma­ne la gen­te è tor­na­ta di nuo­vo in piaz­za, ma­ni­fe­stan­do una lar­ga e tra­sver­sa­le op­po­si­zio­ne al pre­si­den­te. Ha for­ni­to spun­ti e nuo­va lin­fa an­che il mo­vi­men­to che in Tur­chia si è op­po­sto al­l’i­sla­mi­smo di Er­do­gan. È il mo­vi­men­to ta­mar­rod (“ri­bel­lio­ne”), gio­va­ne e lai­co come quel­lo che die­de il la alle ri­vol­te in piaz­za Tah­rir. E che ha avu­to un suc­ces­so tra­vol­gen­te, tan­to da rac­co­glie­re in po­chi mesi ben 22 mi­lio­ni di fir­me per chie­de­re un pas­so in­die­tro a Mor­si (l’o­biet­ti­vo era 15 mi­lio­ni). Ma in que­sta si­tua­zio­ne di in­sta­bi­li­tà il ri­schio di una de­ri­va mi­li­ta­re esi­ste.

L’an­no scor­so ci sia­mo in­ter­ro­ga­ti sul­la de­ri­va egi­zia­na, so­spe­sa tra due fuo­chi: da una par­te gli isla­mi­sti alla con­qui­sta del po­te­re con il ri­schio che ve­nis­se im­po­sta una teo­cra­zia e di ve­de­re sof­fo­ca­ti i di­rit­ti uma­ni (come in par­te av­ve­nu­to) e dal­l’al­tra l’oc­chiu­ta stret­ta dei mi­li­ta­ri, mol­ti di loro vec­chi ar­ne­si del vec­chio re­gi­me, che ri­schia­va di por­ta­re a un re­gi­me au­to­ri­ta­rio. En­tram­be so­lu­zio­ni da scon­giu­ra­re, per­ché avreb­be­ro se­gna­to la fine del­le li­ber­tà e del­lo sta­to di di­rit­to.

I mi­li­ta­ri sem­bra­no per il mo­men­to es­ser­si li­mi­ta­ti a un in­ter­ven­to cir­co­scrit­to, per ri­pri­sti­na­re una si­tua­zio­ne di cal­ma nel pae­se. Mor­si si è de­fi­ni­to fino al­l’ul­ti­mo un di­fen­so­re del­la de­mo­cra­zia: in ef­fet­ti è vero, quan­to ac­ca­du­to nel­le ul­ti­me ore è sta­ta una vio­la­zio­ne del­le re­go­le de­mo­cra­ti­che, per­ché piac­cia o no è sta­to elet­to dal­la mag­gio­ran­za. Come il Fron­te isla­mi­co di sal­vez­za na­zio­na­le in Al­ge­ria, che vin­se le ele­zio­ni nel 1991 e ven­ne mes­so fuo­ri leg­ge dai mi­li­ta­ri. Si ri­pro­po­ne il pro­ble­ma di come com­por­tar­si quan­do gli in­tol­le­ran­ti che han­no un’e­spli­ci­ta agen­da li­ber­ti­ci­da rag­giun­go­no il po­te­re de­mo­cra­ti­ca­men­te e co­min­cia­no si­ste­ma­ti­ca­men­te a vio­la­re i di­rit­ti uma­ni. La sfi­da (in par­te per­sa in Al­ge­ria) è di co­strui­re ora una de­mo­cra­zia com­piu­ta, che ri­spet­ti tut­ti e che sia, quin­di, real­men­te lai­ca. Come non era il re­gi­me di Mu­ba­rak e come non po­te­va es­se­re quel­lo di Mor­si.




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