Egitto, verso una democrazia compiuta o un regime militare?
Nell’Egitto sconvolto da imponenti manifestazioni di piazza e l’intervento dei militari la situazione si fa convulsa. Le proteste popolari per chiedere le dimissioni del presidente islamista Muhamed Morsi, che hanno portato in piazza milioni di persone, sono sfociate in forti tensioni e scontri con diversi morti. L'altro ieri l’esercito ha imposto a Morsi un ultimatum e lo ha quindi destituito, sospendendo la Costituzione e dando un incarico ad interim al presidente della corte costituzionale Adli Mansour. Sono stati arrestati decine di esponenti dei Fratelli Musulmani e occupati televisioni e media vicini a Morsi: un vero e proprio golpe. Il rischio di una deriva militare dopo la presidenza islamista è palpabile.
La comunità internazionale rimane col fiato sospeso. Non mancano appelli per la pacificazione e la salvaguardia dei diritti, come quello di Amnesty International. Le forze armate e la polizia egiziana hanno spesso violato i diritti umani, la libertà di espressione e associazione ha subito un duro colpo, si rischiano rappresaglie e sono numerosi gli episodi di violenza sessuale verso le donne durante le manifestazioni, denuncia il segretario generale di Amnesty, Salil Shetty.
Anche Human Rights Watch lamenta l’arresto di membri della Fratellanza musulmana e del partito di Morsi e la chiusura delle tv islamiste da parte dei militari. Ma mette sotto la lente anche le violazioni dei diritti sotto la presidenza dei Fratelli musulmani. Contro i giornalisti non allineati, e usando le norme restrittive di Mubarak. Con la mancata libertà di religione per i musulmani sciiti e i cristiani copti e l’intensificarsi dei processi per blasfemia. Con abusi di polizia e misure restrittive, nonché con la limitazione della libertà di assemblea e associazione.
La prima rivoluzione del 2011, che ha portato al crollo del regime di Hosni Mubarak, esordì laica e con una larga partecipazione popolare e di giovani. I Fratelli Musulmani si accodarono solo in un secondo momento, uscendo allo scoperto dalla clandestinità e mettendo in campo tutto il potenziale offerto dalla propria rete di organizzazioni sociali. E vinsero le elezioni. Una dinamica che ricorda quella dell’Italia dal 1943 in poi, dove le formazioni partigiane cattoliche erano una minoranza, ma poi fu la Democrazia Cristiana a vincere le elezioni. Al potere è arrivato il presidente Morsi del partito Libertà e Giustizia, braccio politico dei Fratelli Musulmani. L’esecutivo di Morsi, come ha spiegato l’orientalista Olivier Roy sul Corriere della Sera, si è dimostrato inetto e incapace di governare, interessato piuttosto a occupare i posti di potere. Roy minimizza tuttavia la portata dell’islamizzazione promossa dai Fratelli Musulmani.
Mohammed El Baradei, con un contributo pubblicato anche su Repubblica, fa il punto sulla situazione drammatica dell’Egitto, precipitata a causa dell’inefficienza del governo. La giustizia e la sicurezza non funzionano, la violenza e la criminalità aumentano, l’economia collassa. Occorre, fa sapere il leader dell’opposizione, riformare la Costituzione egiziana e creare “un’alleanza politica tra i Fratelli musulmani, i quali probabilmente rappresentano meno del venti per cento della popolazione, e gli altri partiti — compresi quelli di orientamento islamico”. Gli islamisti perdono voti, e “malgrado tutti i loro slogan altisonanti” non riescono a risolvere i problemi, perché non hanno “individui qualificati” come gli altri partiti: “la sharia non dà da mangiare”, conclude.
Nell’Egitto di Morsi si sono viste ripetute violazioni dei diritti umani, favorite dall’emergere dell’aggressivo integralismo islamico e dall’approvazione di una Costituzione che non riconosceva pieni diritti. A farne le spese soprattutto le donne, i non credenti, le minoranze religiose. Sono diventati endemici gli episodi di violenze e abusi sessuali che hanno colpito le donne, spesso giustificate da una cultura tradizionalista, patriarcale e maschilista. Anche gli atei sono stati oggetto di processi e condanne per blasfemia, come dimostra il caso dell’attivista Alber Saber.
I Fratelli Musulmani hanno presto occupato praticamente tutte le posizioni di potere. Negli ultimi mesi del 2012 la pretesa di Morsi di attribuirsi poteri quasi illimitati, quasi come il suo predecessore, ha portato allo scontro con la magistratura ed è stata duramente contestata nelle strade. Tra le scelte improvvide, la recente nomina a governatore di Luxor di Adel Mohamed al Khayat, già esponente del movimento integralista Jamaa Islamiya: proprio l’organizzazione integralista che nel 1997 compì nel sito archeologico di Deir el-Bahari un massacro di turisti. La nomina, oltre allo sconcerto degli operatori turistici, ha dato vita a una diffusa protesta popolare: alla fine al Khayat si è dimesso.
Nelle scorse settimane la gente è tornata di nuovo in piazza, manifestando una larga e trasversale opposizione al presidente. Ha fornito spunti e nuova linfa anche il movimento che in Turchia si è opposto all’islamismo di Erdogan. È il movimento tamarrod (“ribellione”), giovane e laico come quello che diede il la alle rivolte in piazza Tahrir. E che ha avuto un successo travolgente, tanto da raccogliere in pochi mesi ben 22 milioni di firme per chiedere un passo indietro a Morsi (l’obiettivo era 15 milioni). Ma in questa situazione di instabilità il rischio di una deriva militare esiste.
L’anno scorso ci siamo interrogati sulla deriva egiziana, sospesa tra due fuochi: da una parte gli islamisti alla conquista del potere con il rischio che venisse imposta una teocrazia e di vedere soffocati i diritti umani (come in parte avvenuto) e dall’altra l’occhiuta stretta dei militari, molti di loro vecchi arnesi del vecchio regime, che rischiava di portare a un regime autoritario. Entrambe soluzioni da scongiurare, perché avrebbero segnato la fine delle libertà e dello stato di diritto.
I militari sembrano per il momento essersi limitati a un intervento circoscritto, per ripristinare una situazione di calma nel paese. Morsi si è definito fino all’ultimo un difensore della democrazia: in effetti è vero, quanto accaduto nelle ultime ore è stata una violazione delle regole democratiche, perché piaccia o no è stato eletto dalla maggioranza. Come il Fronte islamico di salvezza nazionale in Algeria, che vinse le elezioni nel 1991 e venne messo fuori legge dai militari. Si ripropone il problema di come comportarsi quando gli intolleranti che hanno un’esplicita agenda liberticida raggiungono il potere democraticamente e cominciano sistematicamente a violare i diritti umani. La sfida (in parte persa in Algeria) è di costruire ora una democrazia compiuta, che rispetti tutti e che sia, quindi, realmente laica. Come non era il regime di Mubarak e come non poteva essere quello di Morsi.