Ecuador e bolivarismo. Il caso di Manuela Saenz: l’insepolta di Paita
Il ruolo delle donne nell’indipendenza dell'America latina, per molti anni, nella storiografia ufficiale, si ridusse a quello di cucire uniformi o bandiere, a quello di cuoche o prostitute e, nella migliore delle ipotesi, infermiere o spie.
Quasi mai altre attività femminili sono state illustrate: le leader della guerriglia, come nel caso della messicana Antonia Nava, chiamata Generalessa, che addirittura creò un vero e proprio esercito con il quale ha combattuto; o la cilena Javiera Carrera, che non solo ha sostenuto i suoi fratelli, ma ha organizzato il primo Consiglio dei governatori nel suo paese; combattenti e guerrigliere per decenni furono ignorate o dimenticate. L'ecuadoriana Manuela Saenz, raggiunse fama internazionale per essere stata un’amante del Generale Bolívar, anche se fu molto più di una semplice amante, come dimostra un’importante documento storico: una lettera del Generale Sucre riguardo la battaglie di Ayacucho il 10 Dic 1824 indirizzata a Bolívar, in cui Sucre elogia le qualità militari e strategiche di Manuela Saenz che, pur essendo una donna, combatteva al pari con i migliori combattenti in battaglia, indossando la divisa degli Ussari.
Per il comportamento esemplare di Manuela Saenz in battaglia le fu rilasciato il grado di colonnella nell'esercito colombiano. Tuttavia, quest’alta carica non fu sufficiente a inserirla nel mosaico della storia, accanto agli eroi o ai fondatori delle Repubbliche latinoamericane. L'odio e la crudeltà dei suoi concittadini la perseguitarono fino alla fine dei suoi giorni. Ma la forte personalità di Manuelita Saenz, ha prevalso sui suoi nemici, facendoci intravedere la forza di un personaggio in grado di rompere le barriere sociali, morali e di genere.
I pregiudizi sulle donne che si discostano dal ruolo assegnato dai pregiudizi culturali tipicamente patriarcali, ovviamente, hanno coperto e occultato grandi verità che sfidano valori apparentemente incrollabili. Anche se la storia offre esempi di grande talento femminile, come le grandi "statiste" del passato, donne come la Regina Elisabetta I di Inghilterra o Caterina di Russia, che hanno esercitato il potere in modo molto più saggio rispetto a loro predecessori di sesso maschile; e prima di loro, altre donne hanno dimostrato capacità di leadership e coraggio in guerra, virtù considerate esclusivamente virili.
Il discorso ufficiale nella storiografia ci dice che la proclamazione dei "Diritti dell'Uomo", realizzati dalla Rivoluzione Francese, ha sensibilizzato l’America oppressa e ha lasciato intravedere il bisogno di libertà. Ma non ci dice ciò che il discorso ufficiale sui "Diritti dell'Uomo" ha la sua controparte femminile e che una donna di nome Olympe de Gouges (1748-1793) ha protestato per il disprezzo dimostrato verso i diritti delle donne. L’imprigionamento e l'esecuzione di Olympe de Gouges, da parte del dispotismo giacobino, ha dimostrato il fallimento di quel tentativo egualitario.
In questo contesto internazionale dovrà essere ricollocata la figura di Manuela Saenz, una donna che ha partecipato alla causa patriottica, e che non si è limitata ed essere la semplice amante di Bolívar. Inoltre Manuela Saenz, molto giovane, collaborò alla campagna del Perù in modo talmente valoroso che il general San Martin la decorò all'ordine dei "Cavallieri del Sole", logo della nuova nobiltà repubblicana che fu consegnata anche a 111 altre donne combattenti e patriottiche di Lima. Per dipiù Manuela Saenz scoprì un complotto contro Bolívar, si trattava di un tentativo di omicidio, perciò riuscì a salvarlo (persino più di un’occasione, essendo, tra le tante cose, una spia). Una leggenda dice che, vestita da uomo, a cavallo, con pistola in mano, entrò nelle sedi dei ribelli in difesa di Bolívar. Quindi sconvolse molti generali che la temevano e la odiavano allo stesso tempo. Lei era consapevole che la sua condotta non fu mai approvata, che uomini e donne si sentivano offesi dalle sue avventure e dal suo temperamento irruento, e lei stessa criticò l'ipocrisia di una società che, dopo pur mostrando buone maniere, nasconde molti dei vizi.
Frutto di una relazione adulterina, Manuela Saenz, nacque a Quito nel 1797 in un periodo di grandi sconvolgimenti sociali e persino scosse telluriche che prefigurarono la futura ribellione delle colonie. Un terremoto scuote la regione della città di Paita, nel Nuovo Regno di Granada fino a Quito. Con 60.000 abitanti, la città di Quito vive sotto l'influenza francese ed entrano gli echi della Rivoluzione Francese. Manuela Saenz nacque come frutto di una relazione adulterina tra un nobile di origine spagnola ed una donna della piccola nobiltà locale. Nonostante ciò, il padre riconobbe la figlia. La formazione della ragazza fu quindi affidata alle suore del Convento di Santa Caterina. Ma a diciassette anni Manuela fugge dal Convento con un giovane ufficiale, lasciando una scia di pettegolezzi. Il padre di Manuela, per non alimentare ulteriori voci e scandali, offrì sua figlia come sposa ad un ricco mercante inglese, James de Thorne, un uomo circa 20 anni più anziano di sua figlia. Ma la relazione non durò a lungo, Manuela incominciò ad interessarsi sempre più di questioni politiche, cospirazioni e campagne militari, rifiutando tutte le attenzioni del marito. Diviene l’amante del Generale Bolívar, incontrato durante una festa di ballo, e chiede il divorzio a James de Thorne. Da quel giorno divenne una “rivoluzionaria di professione”.
Nonostante le varie campagne diffamatorie, Manuela era conosciuta persino in Europa dove su di lei si alimentò una leggenda impregnata di esotismo. Le personalità che la visitarono durante il declino della sua vita, come Melville o Garibaldi, la percepirono come "una regina". Ciò indica che, al di là dalle avversità incontrate, conservava una grande personalità.
Nonostante il valore e la notorietà di cui godeva Manuela, morì in miseria e il suo cadavere venne abbandonato senza sepoltura. Si dice che probabilmente i suoi resti si trovino in una fosse comune a Paita. Forse questi versi di Pablo Neruda, nel Canto General, sono i più belli in omaggio a Manuelita:
L’INSEPOLTA DI PAITA di Pablo Neruda
Elegia dedicata alla memoria di Manuela Sáenz,
amante di Simón Bolívar
PROLOGO
Da Valparaiso per il mare.
Il Pacifico, duro cammino di coltelli.
Sole che muore, cielo che naviga.
E la nave, insetto secco, sopra l’acqua.
Ogni giorni è un incendio, una corona.
La notte si placa, si diffonde, si dissemina.
Oh giorno, oh notte,
oh navi
dell’ombra e della luce, navi gemelle!
Oh tempo, stella distrutta della nave!
Lenta, verso Panama, naviga l’aria.
Oh mare, fiore esteso del riposo!
Non andiamo né torniamo né sappiamo.
Con gli occhi chiusi esistiamo.
LA COSTA PERUVIANA
Sorse come un pugnale
tra i due azzurri nemici,
catena incolta, silenzio,
e accompagnò alla nave
di notte interrotta dall’ombra,
di giorno lì ancora la stessa,
cambia come una bocca
che chiuse per sempre il suo segreto,
e tenacemente sola
senza altre minacce
se non il silenzio.
Oh lunga
cordigliera
di sabbia e sdentata
solitudine, oh nuda
e addormentata
statua scontrosa,
chi,
chi
proiettasti
verso il mare, verso i mari,
chi
dai mari
adesso
aspetti?
Che fiore uscì,
che imbarcazione fiorita
a fondare nel mare la primavera
e ti lasciò le ossa
dell’ossario,
la caverna
della morte metallica,
il monte consumato
dai sali violenti?
E non ritornò radice né primavera,
tutto si fece nell’onda e nel vento!
Quando attraverso
le lunghe
ore
insegui,
deserto, vicino al mare,
solitudine sabbiosa,
ferruginosa morte,
il viaggiatore
ha consumato
il suo cuore errante:
non gli desti
un solo
ramo
di fogliame e freschezza,
né parete di versante,
né un tetto che ospitasse
uomo e donna nell’amore:
soltanto un volo salato
dell’uccello del mare
che spruzzava
le rocce
con schiuma
e allontanava i suoi addii
dal freddo del pianeta.
Indietro, addio,
ti lascio,
costa
amara.
In ogni uomo
trema
un seme
che cerca
acqua celeste
o fondazione porosa:
quando non vide altro che un bicchiere lunga
di monti minerali
e l’azzurro esteso
contro una inesorabile
cittadina,
cambia l’uomo la sua rotta,
continua il suo viaggio
lasciando indietro la costa del deserto,
lasciando
indietro
l’oblio.
II
L’INSEPOLTA
A Paita preghiamo
per lei, la Defunta:
toccare, toccare la terra
della bella Sepolta.
Non sapevamo.
Le balaustre vecchie,
i balconi celesti,
una vecchia città di rampicanti
con un profumo audace
come un canestro
di manghi invincibili,
di ananas,
di anoni profondi,
le mosche
del mercato
ronzano
sopra l’abbandonata sciatteria,
tra le mozzate
teste di pesce,
e le donne indio sedute
vendono
gli incerti residui
con maestà selvaggia,
– sovrane di un regno
di rame sotterraneo -,
e il giorno era nuvoloso,
il giorno era stanco,
il giorno era un perduto
viandante, in una lunga
strada confusa
e polverosa.
Fermai il bambino, l’uomo,
l’anziano,
e non sapevano dove
morì Manuelita,
né quale era la sua casa,
né dove era adesso
la polvere delle sue ossa.
In alto c’erano le colline gialle
secche come cammelli,
in un viaggio in cui nulla si muoveva,
in un viaggio di morti,
perché è l’acqua
il movimento,
la sorgente sgorga,
il fiume cresce e canta,
e lì i monti duri
continuarono il tempo:
era l’età, il viaggio immobile
delle colline pelate,
ed io gli domandai di Manuelita,
ma essi non sapevano,
non sapevano il nome dei fiori.
Al mare lo domandammo,
al vecchio oceano.
Il mare peruviano
aprì con la schiuma vecchi occhi incas
e
parlò la sdentata bocca del turchese.