mercoledì 9 dicembre 2015 - alessandro tantussi

Economia e misericordia. Basta con "la logica del profitto"

Economia e misericordia, prima ce la prendiamo con il profitto, poi con le imprese che chiudono perché non fanno profitti. Se non si crea ricchezza... la misericordia serve a poco, invece di redistribuire il reddito si distribuisce solo la miseria. 

Chissà com'è che vanno sempre di moda i discorsi caritatevoli, con rispetto parlando anche quelli del Papa, i discorsi "buoni" contro la "logica del denaro" e la “logica del profitto”... per poi ascoltare i lamenti per le imprese che chiudono e gli strali contro gli "incapaci" che le hanno gestite.

Bisognerebbe, una buona volta, che ci mettessimo d'accordo e la smettessimo di inveire contro il profitto ed il danaro “sterco del diavolo”.

Il denaro ed il profitto non sono lo sterco dl diavolo, sono strumenti, nulla di più. Ma anche nulla di meno.

Né idoli né demoni, consideriamoli dei semplici strumenti, gli arnesi che hanno consentito agli uomini, grazie alla loro intelligenza, di distinguersi ed evolversi in modo decisamente superiore rispetto a tutte le altre specie viventi.

Il primo sbaglio, storico e filosofico, è quello della "lotta" contro il profitto combattuta da certe ideologie politiche e da certo pauperismo tuttora imperante. Pauperismo sempre augurato agli "altri", ça va sans dire, quale consegue quell'atteggiamento "etico" di voler umanizzare uno strumento: l'impresa. 

Dire che l'impresa deve uscire dalla logica del profitto, che deve fare del bene, come se fosse una "persona" buona e misericordiosa... è una stupidaggine colossale.

Tutto quello che fa l'impresa, perfino quando fa del "bene", è (e deve essere) finalizzato allo scopo dell'impresa, portare un vantaggio a chi (unico proprietario o milioni di azionisti) l'ha messa su investendo soldi, lavoro ed intelligenza. L'impresa è un mezzo, che la società utilizza per raggiungere un fine (il progresso, la produzione di beni e servizi, la piena occupazione ecc ecc) pagando un prezzo: il profitto (che ovviamente si deve poter perseguire solo all'interno delle regole fissate dalla società). 


Punto e a capo.

Lasciamo perdere le buone intenzioni, la misericordia e la beneficenza che vorrà fare (se lo vorrà) chi diventa ricco grazie ai profitti della propria impresa, l'impresa non fa beneficenza. La generosità è un attributo degli uomini, non degli strumenti, e comunque la ricchezza, per poter essere distribuita, deve pur essere creata, altrimenti si distribuisce la miseria.

Ovvio che la società civile nel suo complesso non abbia alcun interesse a che l'impresa e i suoi proprietari conseguano un profitto e che diventino ricchi, ma ha interesse che si realizzi la formazione di ricchezza e lo sviluppo economico per elevare il benessere di tutti, per la produzione di beni e servizi, per l'occupazione, per il progresso tecnologico/scientifico/medico che affranca gli uomini dalle difficoltà della fame, delle malattie, della fatica... 
Per ottenere tutto questo, cioè la ricchezza e l'evoluzione della specie umana (condizioni che storicamente sono state ottenute) il mezzo-impresa deve essere strutturato al meglio per ottenere il proprio degli scopi, ostacolato il meno possibile dai discorsi/tasse/burocrazia/impicci, ed è stupido chiedere all'impresa il contrario, sarebbe come chiedere al coltello di non essere affilato per non tagliare.

L'impresa DEVE cercare il profitto, ed è così che si realizza l'interesse della società civile, quel miglioramento della qualità della vita che l'attività economica, operando all'interno delle regole che la società stessa pone come paletti, ha consentito alla specie umana.
Le imprese che credono di (o si spacciano per) essere la San Vincenzo De' Paoli non producono né ricchezza né beneficenza.

Chiudono, rovinano azionisti, dipendenti, creditori e consumatori. E dunque continuiamo pure ad inveire contro il profitto, ma allora poi non ci lamentiamo se chi lo produceva si stufa, smette di farlo e chiude bottega.

 

Foto: Cunningham/Flickr




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