mercoledì 28 ottobre 2009 - Damiano Mazzotti

Economia: cicli e crisi storiche

La lettura di un classico dell’economia può aiutarci ad affrontare anche gli scenari futuri più cupi. Per questo motivo troverete qui di seguito una sintesi snella di un libro di Hyman P. Minsky.

La nostra economia occidentale “dipende dal livello, dalla stabilità e dalle prospettive dei profitti. I profitti sono l’allettamento che stimola gli affari e sono il flusso che determina se le decisioni prese nel passato furono opportune oppure no alla luce del modo in cui funziona oggi l’economia. Il flusso di profitti aggregati è l’anello di congiunzione tra il passato e il presente e l’allettamento di profitti futuri determina il flusso dei profitti presenti” (Hyman P. Minsky, Potrebbe ripetersi? Instabilità e finanza dopo la crisi del ’29, Einaudi, 1984, p. 89).

 

Del resto la moneta moderna non è più solo un semplice mezzo molto adatto a facilitare le transazioni, ma è soprattutto “un tipo particolare di obbligazione che compare man mano che vengono finanziate posizioni in beni capitali” (p. 97). Come affermò Keynes, “Nella realtà esiste una quantità enorme di attività reali che costituiscono la nostra ricchezza capitale: edifici, stock di merci, beni in corso di fabbricazione e di trasporto, e così via. Non di rado, però, i proprietari nominali di queste attività hanno preso a prestito moneta per poterne entrare in possesso… Una parte considerevole di questo “finanziamento” avviene attraverso il sistema bancario, il quale interpone la propria garanzia tra i depositanti, che gli prestano moneta, e i clienti mutuanti, ai quali presta moneta con cui finanziare l’acquisto di attività reali”. È per questo motivo che in una società dove non c’è ricambio nelle classi dirigenti i politici, i banchieri e gli imprenditori finiscono per passare la loro esistenza fianco a fianco per ricambiarsi i favori. Negli ultimi anni si è invece sviluppata la moneta virtuale che rappresenta solo se stessa: è la fiche scambiata nei giochi d’azzardo matematico-finanziari che hanno salassato l’economia reale e le tasche dei più ingenui. Inoltre “L’innovazione finanziaria, unita alle interazioni per cui il maggior investimento porta a maggiori profitti, comporta che i prezzi della produzione corrente crescano” (p. 126).

Bisogna poi considerare che le società “che operano in posizione finanziaria speculativa sono vulnerabili su tre fronti: il primo riguarda il rischio della crescita dei tassi d’interesse che comportano impegni di pagamento superiori ai flussi di cassa del contante dei clienti; il secondo fronte consiste nel fatto che il valore di mercato delle attività può diventare inferiore al valore dei loro debiti; il terzo è prettamente psicologico è prende in esame i livelli di indebitamento permessi dalla comunità finanziaria (la struttura di un debito può venire improvvisamente rivalutata e non accettata), e viene quindi riconsiderato l’impegno di quanta moneta può essere scambiata oggi (un fattore certo), in cambio di una certa previsione di moneta domani (un fattore incerto).

Come nel periodo 1929-1933, il problema economico fondamentale di molte aziende di oggi è quello finanziario: bisogna “far fronte agli impegni di pagamento dei debiti assunti negli anni di prosperità con i flussi di contante generati dai redditi della depressione”, sempre più scarsi (Minsky, p. 77). Inoltre “Le passività sono una approssimazione degli impegni di pagamento; naturalmente la lunghezza della scadenza delle passività e il tasso di interesse sulle passività determineranno i flussi di contante richiesti per ogni periodo” al fine di ripianare il debito (p. 83).

Le economie degli ultimi anni sono riuscite ad evitare grandi depressioni solo aumentando la disoccupazione, l’inflazione, il debito pubblico e quello privato delle aziende e dei cittadini. E ora non si può più sfuggire alla stretta finale del “boa economico”, che mangia raramente, ma quando mangia può ingoiare prede molto più grandi della sua corporatura grazie all’elasticità delle fauci e della pelle. La stagflazione, che è un insieme di disoccupazione e inflazione, è il sintomo del cattivo impiego dei beni capitali e può sfociare facilmente in una megadepressione: la diminuzione del valore nominale dei beni capitali e strumentali che avviano una serie incontrollata di fallimenti aziendali e bancari. Perciò “La stagflazione è il sostituto di una grossa depressione”: è la semplice tristezza dovuta all’aumento dei prezzi (l’inflazione). Quindi è anche una soluzione a breve termine che cerca di alleviare gli eccessivi impegni di pagamento dovuti ai troppi debiti contratti in passato. E si arriva alla vera depressione con i tentativi delle società con un reddito diminuito di far fronte ai loro impegni vendendo attività, che “incide negativamente sulle altre organizzazioni inizialmente abbastanza liquide o solvibili e ha un effetto destabilizzante sui mercati finanziari” (p. 211). Quindi ci sono “due strade che portano alla bancarotta: un’esecuzione rapida, rivalutando le attività al valore di mercato o realizzando perdite nello sforzo di assumere posizione, e un lento dissanguamento, man mano che le perdite si accumulano in conto reddito” (p. 375).

Dunque “L’adeguatezza dei flussi di contante dal reddito rispetto al debito, l’adeguatezza delle possibilità di rifinanziamento rispetto alla posizione e il rapporto tra attività finanziarie non protette e attività finanziarie protette sono le determinanti della stabilità del sistema finanziario” (p. 182). E la questione vera è che in economia “Così come non esiste una cosa come un pasto gratuito, allo stesso modo non esiste un affare certo rispetto al futuro” (p. 42). Per iniziare a riformare la nostra economia bisogna ridurre e semplificare “l’instabilità dovuta a una struttura finanziaria pesantemente gravata dal debito” (p. 92). Forse la scelta migliore per la politica monetaria è quella “di impedire le perdite più gravi dei prezzi delle attività che portano alle depressioni profonde piuttosto che impedire le condizioni di disordine o di quasi-crisi” (p. 215). Poi bisogna affidare il lavoro finale a dei veri professionisti: dei veri politici “tagliatori di teste”, senza scheletri negli armadi e senza conti segreti all’estero, che devono eliminare gli amministratori incapaci. Tutto questo deve essere fatto prima della diffusione del panico finanziario che è la vera causa delle depressioni gravi e profonde che distruggono anche l’economia reale e la vita sociale.

Per evitare problemi più grossi servirebbe “una ristrutturazione alla base del sistema finanziario in modo da promuovere organizzazioni più piccole e più semplici che siano orientate verso il finanziamento diretto più di quanto non lo siano ora” (p. 274). E bisogna tenere presente che “L’attività bancaria è un fenomeno pervasivo, non qualcosa che possa essere affrontato soltanto sulla base della legislazione relativa a quelle che chiamiamo banche. L’esperienza del controllo dell’emissione di banconote è probabilmente destinata a ripetersi in futuro; molti accorgimenti per controllare pratiche analoghe possono risultare inefficaci o deludenti per il riapparire delle pratiche proibite in forme nuove e non proibite” (Henry Simons, in G. Bellone, Il Mulino, 1972).

Nel 2007 e nel 2008, con vari titoli finanziari si è avuto “il caso in cui, emersa l’insolvenza del sistema, i pezzi di carta hanno cominciato ad essere presentati all’incasso. I governi hanno reagito in parte accollandosi il debito, e quindi restituendo una parziale fiducia verso il nuovo debitore (lo stato), e in parte monetizzando con l’espansione di M2. Poiché la crisi non è finita, ci saranno altre valanghe di pezzi di carta presentati all’incasso e, a quel punto, o si dice "non pago", come vogliamo noi, o si monetizza il debito, creando iperinflazione” (La Rouche, Movisol.org 1-10-2009).

E concludo con una nota per i burocrati dell’economia: “Temo che gli economisti non potranno mai diventare dei meri tecnici applicando una teoria convenuta adatta per tutte le stagioni all’interno di una struttura istituzionale che non muta e non deve mutare” (Minsky, p. 164).

 P. S. Il primo assioma implicito dell’economia è questo: “Soltanto ciò che è finanziato può avvenire” (Minsky). Invece il grande economista Ludwig Von Mises disse: “Non c’è modo di evitare il collasso finale di un boom indotto dall’espansione creditizia. La scelta è solo se la crisi debba avvenire prima come risultato dell’abbandono volontario di un’ulteriore espansione del debito o più tardi con la totale catastrofe del sistema monetario coinvolto” (http://mises.org).




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