lunedì 31 maggio 2021 - UAAR - A ragion veduta

È la natura, bellezza! Pillon, gli stereotipi di genere e l’Università di Bari

Il senatore leghista non perde occasione di dire la sua sui temi che gli sono cari. Peccato che gli sfuggano elementi chiave del dibattito. O meglio, peccato che non gli interessino affatto.

Pillon ha detto la sua. Figuriamoci se il senatore poteva lasciarsi scappare l’occasione di rispolverare uno dei suoi cavalli di battaglia. E così, nel criticare la decisione dell’Università di Bari di concedere agevolazioni e sconti per incentivare le iscrizioni di ragazze ai corsi di laurea in cui il tasso di frequenza femminile è inferiore al 30% (in sostanza i corsi di laurea in materie scientifiche, quelle che vanno sotto l’acronimo STEM: Science, Technology, Engineering and Mathematics), ha fatto riferimento a presunte predisposizioni “naturali” che spingerebbero i maschi verso le discipline tecniche e le femmine verso le materie legate all’accudimento.

“È la natura, bellezza!”, ci ripete per farla breve Pillon, che evidentemente del ruolo giocato dalla “cultura” non sa niente. Forniamogli allora qualche dato sul quale riflettere, sia mai che la prossima volta dica qualcosa di maggiormente sensato.

Secondo uno studio dell’Unesco, solo il 35% delle studentesse intraprende un percorso nei settori STEM, con grandi differenze tra le varie discipline: il 3% sceglie il campo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione; il 5% sceglie scienze naturali, matematica e statistica; l’8% ingegneria e costruzioni. E la ragione principale per cui le ragazze non tentano un percorso formativo-professionale in questi settori non risiede, come sostiene Pillon, in una qualche “propensione naturale”: secondo uno studio condotto da Microsoft in 12 Paesi europei è dovuta alla mancanza di modelli di riferimento femminili cui guardare. In effetti, stando ai dati dell’ultimo Global Gender Gap Report, nel cloud computing le donne rappresentano solo il 14% della forza lavoro, nell’ambito dell’intelligenza artificiale il 32%.

Il ruolo giocato dalla “cultura” lo illustra, meglio ancora di questi numeri, una storia che racconto sempre ai vari Pillon di turno. È tratta dal documentario “Bomba libera tutti” dedicato alla riflessione sugli stereotipi di genere tra i bambini e le bambine e realizzato nel 2012 da Pina Caporaso, all’epoca insegnante a Pistoia, e Daniele Lazzara. Si apre con queste parole di Caporaso: «C’è un aneddoto della mia vita di insegnante che racconto spesso e che ho voluto collocare all’origine di questa storia. In seconda elementare portammo la classe a una mostra d’arte contemporanea. Tornati a scuola scrivemmo l’elenco dei nomi degli artisti, incollandovi accanto la foto dell’opera esposta. In fondo c’era uno spazio nel quale i bambini e le bambine dovevano fingersi artisti, scrivere il proprio nome e disegnare un’opera inventata da loro. Nell’entusiasmo generale, arrivò come una doccia fredda la domanda di Matilde: “Maestra, ma l’artista può essere anche una femmina?”. Rispondendole di sì le chiesi come mai avesse fatto quella domanda. “Perché tutti gli artisti della mostra erano maschi…”».

A Pillon però, che Matilde abbia di questi dubbi, probabilmente non interessa niente.

Ingrid Colanicchia

 

 




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