giovedì 13 luglio - Giovanni Greto

Due concerti del Quartetto di Venezia all’Auditorium “Lo Squero”

Successo per lo storico Quartetto veneziano, da poco rientrato in Italia da un’appagante, seppur faticosa, tournée in America Centrale.

Due concerti dell’amato repertorio beethoveniano per il QDV, protagonista nella prima stagione musicale dello Squero, per aver eseguito l’integrale dei quartetti d’archi di Beethoven in sei appuntamenti.

I 16 concerti più la Grande Fuga, erano stati definiti da Sandor Vegh, il violinista ungherese che fu maestro del QDV, la Bibbia del Quartetto.

Sono opere enormi, che ricoprono tutta la vita del compositore, ed è abbastanza strano che verso la fine della sua esistenza Beethoven abbia composto musica solo per Quartetto e non, per esempio, per pianoforte oppure per orchestra. Con questa musica, che è anche un trattato di filosofia, Beethoven riesce a raggiungere i livelli più alti della sua arte.

Nella prima parte del primo concerto si è ascoltato il Quartetto in mib maggiore op. 127, composto tra il maggio del 1824 e il gennaio del 1825.

Sin dalle prime note è subito riconoscibile l’ottimo suono del QDV. Per ottenerlo – mi aveva spiegato tempo fa il violoncellista Angelo Zaninbisogna che ciascuno dei quattro possa eseguire una nota usando la stessa intensità, lo stesso colpo d’arco, la stessa misura d’arco, la stessa intonazione, lo stesso vibrato.

L’opera è suddivisa in quattro movimenti, che rispetta nella sostanza l’organizzazione ereditata dalla tradizione.

Particolarmente struggente il primo, ‘Maestoso – Allegro teneramente’, a cui fanno seguito ‘Adagio ma non troppo e molto cantabile’, ‘Scherzando vivace’ e ‘Finale’. Sono quasi 40 minuti di musica sublime, grazie alla concentrazione e alla tensione emotiva manifestata da ogni singolo musicista.

Dopo un breve intervallo, il Quartetto ritorna sul palco per eseguire il terzo, in do maggiore, di una durata vicina a 35 minuti, dei tre quartetti Rasumovsky, che compongono l’opus 59.

In essi si riconosce la manifestazione più alta del cosiddetto secondo stile beethoveniano nell’ambito della musica da camera. Ricchi di colore romantico, ma tradizionali nella forma, i quartetti furono composti fra il 1805 e il 1806.

Il committente e dedicatario era l’ambasciatore russo a Vienna Andrea Kirillovich Rasumovsky (1751 – 1836), eccellente violinista dilettante e mecenate, che nel 1808 fondò un quartetto d’archi privato e pretese da Beethoven che ogni quartetto contenesse dei temi russi, richiesta esaudita solo nei primi due.

Applausi scroscianti, ma affettuosi, inducono i musicisti ad un bis, ancora beethoveniano. Dal quartetto op.18, n.4, eseguono il movimento Andante scherzoso quasi allegretto

Il secondo concerto è iniziato con il Quartetto in mi minore op.59 n.2 ‘Rasumovsky’, nei movimenti Allegro/Molto adagio/Allegretto/Finale. Presto.

Da segnalare come, nel movimento Finale, la viola di Mario Paladin, introduca, in onore dell’ambasciatore, un frizzante tema russo che doveva essere molto popolare e conosciuto : se ne servirà anche Mussorgsky nella scena dell’incoronazione del suo Boris Godunov.

Non ostante non sia la prima volta che lo ascolto, ho avvertito delle sensazioni diverse tra un’esecuzione e l’altra. Mi hanno affascinato, nell’Allegro, dei brevi silenzi e degli stop emozionanti. Delicato e penetrante, il Molto adagio mi ha sorpreso per le sonorità, ancora più belle e cristalline, mentre è risultata avvincente la veloce cavalcata finale. Encomiabile, infine, la cura dei musicisti negli attacchi e nei finali.

Dura circa mezz’ora il Quartetto in la maggiore op.18 n.5, composto tra il 1798 e il 1800, ma pubblicato nel 1801. Dedicato al principe Franz Joseph Maximilian von Lobkowitz, è suddiviso nei movimenti Allegro/Minuetto/Andante cantabile con variazioni/Allegro.

Trepida attesa per il brano conclusivo, che ha dimostrato la perizia dell’ensemble nell’eseguire la Grande Fuga in sib maggiore op.133, diciassette minuti di musica, collocata in origine come finale del quartetto opus 130.

Opera tra le più estreme e visionarie mai concepite, è una doppia fuga in cui si susseguono diversi episodi. E’ richiesto uno sforzo trascendentale sia ai musicisti, sia agli ascoltatori, costantemente messi a dura prova. Si tratta di un ascolto massacrante, che investe con le sue sonorità graffianti e aspre di dissonanze, che nascono dall’urto di linee melodiche spezzate e sghembe.

Sommersi da applausi liberatori e convinti, i musicisti, generosi senza finzione, hanno eseguito come bis dal Quartetto op.18 n. 6 l’ Adagio ma non troppo.

Complimenti a tutti, ricordando il nome dei due violinisti : Andrea Vio (primo) e Alberto Battiston (secondo).

Giusto il tempo di prepararsi, professionalmente e mentalmente, i quattro musicisti sono partiti per un’intensa e faticosa (quasi un concerto al giorno), tournèe in America Centrale (Guatemala, El Salvador, Costa Rica).

A tal proposito ho raccolto una cronaca sintetica e le emozioni provate, attraverso il racconto di Angelo Zanin.

C’era sempre un primo impegno istituzionale alle ambasciate, che è coinciso quest’anno con la festa della Repubblica.

Facevamo due concerti in ogni Paese.

Il primo era riservato ad un pubblico diplomatico :

ambasciatori e Istituti di cultura invitavano colleghi di altre ambasciate e poi molti italiani , imprenditori e persone che vivono e lavorano in quei Paesi. E’ stato bello e commovente conoscere molti italiani, che ci hanno fatto sempre una grande festa.

Il secondo era quello concordato con i Teatri locali : molto belli, acusticamente perfetti e, tra l’altro, costruiti da architetti italiani. Sale strapiene ed entusiasmo alle stelle!

Alla fine del concerto molti giovani musicisti venivano a salutarci e a complimentarsi con noi.

Il programma prevedeva musiche di Puccini, Cherubini e Beethoven.

Abbiamo trovato un pubblico semplice, entusiasta di noi italiani, delle nostre musiche e delle nostre performances.

Non ostante in questi Paesi ci siano molta miseria e criminalità, abbiamo incontrato sempre gente buona e simpatica. C’è una vegetazione bellissima e la frutta e la verdura sono squisite.

Dopo città del Guatemala, con un viaggio impegnativo attraverso un passo sui 3000 metri, siamo arrivati a Quetzaltenango per il secondo concerto.

Un fatto negativo è che personalmente ho sofferto molto il fuso orario per cui per 10 giorni ho continuato a svegliarmi di notte con gli orari invertiti.

Ritornati a Città del Guatemala siamo partiti per El Salvador per altri due concerti.

Da lì, in aereo, siamo arrivati in Costa Rica, forse lo stato messo un po’ meglio, e anche qui abbiamo tenuto due concerti : uno in una palazzina molto bella, sede di un ministero e con un pubblico selezionato di diplomatici e ambasciatori e uno nel Teatro Municipale che ha concluso il nostro tour.

Due ultime cose :

l’ospitalità dei tre ambasciatori è sempre stata squisita e si sono adoperati per soddisfare ogni nostra esigenza nel miglior modo possibile.

Abbiamo visto posti stupendi, anche se caratterizzati da un livello di povertà assai lontano dal nostro.

Foto Quartetto di Venezia/Facebook




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