sabato 1 luglio - Giovanni Greto

Due Primedonne per Musikàmera

Milena Vukotic e Angela Hewitt emozionano l’affezionato pubblico della rassegna veneziana

Due appuntamenti musicali, ma non solo, al Teatro La Fenice.

Il primo, nelle sale Apollinee, si può definire un incontro fra la musica e la letteratura.

Nonostante sia stato ideato parecchi anni orsono – la prima risale al 2011 – e sia stato replicato una manciata di volte, lo spettacolo musicale-teatrale ha mantenuto una freschezza, un’eleganza, una scorrevolezza, assai apprezzate dal pubblico in sala.

Responsabile del progetto e del programma, il flautista fiorentino Mario Ancillotti ha coinvolto il pianista novarese Alessandro Marangoni e la carismatica attrice romana Milena Vukotic.

Si inizia con la Sonata n. 9 in do maggiore K 14 (Londra, autunno 1764) di W.A.Mozart (1756 – 1791), posta in relazione alla lettera alla cugina Anna Maria Thekla, affettuosamente chiamata Basle, allora 18enne, inviata da Mannheim il 5 novembre 1777.

La sequenza è musica ( Allegro – Allegro), testo, musica (Menuetto I – Menuetto II en carillon) – testo, musica (Menuetto I da capo), testo.

Si crea in tal modo – come ha evidenziato nella sintetica, ma esaustiva presentazione, il direttore artistico Vitale Fano – un rapporto sinergico, biografico, di grande suggestione, tra la voce recitante e la musica.

Le lettere sono importanti perché costituiscono una fonte straordinaria per scoprire la personalità dell’ enfant prodige salisburghese. Mentre la sua musica è di un livello esemplare, il suo linguaggio è decisamente scurrile. Si apprende sul web che il compositore soffriva di coprolalia e coprofagia, una notizia sconvolgente, se si pensa all’eleganza e alla pulizia della musica.

Il secondo brano mozartiano eseguito, la Sonata n. 21 in mi minore K 304, composta a Parigi tra giugno e luglio del 1778, in due movimenti, Allegro e Tempo di Minuetto, è uno dei pezzi più famosi di Amadeus, anche per un clima particolarmente cupo e malinconico. Fa parte di una serie di cinque sonate per violino e pianoforte.

Questa volta la Vukotic ha preceduto, alternandosi con, la musica, leggendo alcune parti della ‘Lettera ad un amico’ ( 3 luglio 1778) e ‘Lettera al padre’ (9 luglio 1778), inviate entrambe da Parigi, nelle quali l’autore non sa come comunicare al genitore l’improvvisa morte della madre, che lo aveva accompagnato nella capitale francese.

Applausi prolungati, in primis alla carismatica attrice, seduta in una poltroncina settecentesca, capace, anche in silenzio, a catturare lo sguardo degli astanti. Ma anche ai musicisti, attenti a commentare con trasporto le sensazioni che la lettura epistolare comunicava.

A seguire, è stata la volta di Six épigraphes antiques L 139 (1914), di Claude Debussy (1862 – 1918), in origine per pianoforte a quattro mani. Ma le deliziose sei miniature nascono dalla rielaborazione delle musiche scritte per due flauti, due arpe e celesta ed eseguite nell’unica rappresentazione scenica, il 7 febbraio 1901, delle “Chansons de Bilitis” (1894), poemetti in prosa dal carattere ellenizzante, arcaico, scritti nel 1894 da Pierre Louys (Gand, 1870 – Parigi, 1925), il quale finse che fossero stati tradotti da quelli di una poetessa greco-fenicia.

Degli originali 12 Tableau, Debussy seleziona, nell’ordine, i numeri 1, 7, 4, 10, 8 e 12. Li adatta a una scrittura pianistica e imposta liberamente i titoli di ciascuno, facendo comunque riferimento a quello specifico contesto, l’Antichità fantasticata, con la musica che appare deliziosamente sospesa, rarefatta, inducendo al sogno. Assai concentrati i musicisti, per una partitura insidiosa, poiché spesso incrocia ciascuna parte con quella del partner.

Inizia la Vukotic a leggere, in francese, ogni poemetto, seguita dal duo, in una sorta di commento musicale ad una poetica verbalità.

Finale favolistico, con una Milena Vukotic sempre più comunicativa, impegnata nella lettura di alcuni estratti da Undine (1811), un racconto romantico del poeta tedesco, di nobile antica famiglia oriunda di Francia, Friedrich de la Motte Fouquè (1777 – 1843), e che è considerato il suo capolavoro.

In esso si narra la tragica storia di Undine, figlia del re del mare, la quale abbandona il suo ambiente per cercare un amore umano che le consentirà di ottenere un' anima immortale. Lo troverà nel cavaliere Hulbrand, e lo sposerà perché le giura amore eterno. Lo zio di lei, Kuhleborn, la mette in guardia : se mai subirà un torto dallo sposo, lui morirà e lei dovrà tornare al mare per sempre. La coppia sembra felice, ma l’ex fidanzata interviene a guastare l’idillio : Hulbrand torna da lei e tratta male Undine. E’ la svolta fatale : gli spiriti dell’acqua esigono vendetta e dovrà essere proprio Undine ad uccidere il suo sposo con un bacio mortale.

Carl Heinrich Carsten Reinecke (1824 – 1910), apprezzato pianista, forse più conosciuto come maestro di celebri musicisti (Grieg, Janacek, Albeniz, Bruch) che come compositore, nel 1882 compone la Sonata op. 167, Undine, in 4 movimenti, che rappresentano altrettanti momenti della vita di questo spirito.

Il primo, l’Allegro, descrive il mondo sottomarino dove abita Undine ; il secondo, Intermezzo, rappresenta la sua infanzia con la famiglia umana che l’ha allevata da bambina; il terzo, Andante, ha per tema l’amore con Hulbrand e un episodio centrale agitato sottolinea la profezia di Kuhleborn ; il Finale, drammatico e intensamente espressivo, rappresenta il tradimento dello sposo, la vendetta degli spiriti delle acque e il dolore di Undine.

Quattro estratti favolistici, letti prima di ogni movimento, hanno consentito al pubblico di immergersi in antiche leggende germaniche, palpitando per la sfortunata protagonista.

Applausi scroscianti e lunga fila nella sala Apollinea occupata dagli artisti, per complimentarsi e fotografarsi, soprattutto con Milena, che non si è negata né agli smartphone, né agli autografi. Un anziano spettatore si è anche complimentato per una perfetta pronuncia francese.

Tre giorni più tardi, appuntamento imperdibile, quanto atteso, con la pianista canadese Angela Hewitt, ormai di casa in Italia e dal 2005 organizzatrice e protagonista del “Trasimeno Music Festival”, quest’anno dal 29 giugno al 5 luglio.

Prima di dedicarsi completamente alla preparazione dell’evento, è stata felice di esibirsi nella sala Grande del teatro, davanti ad una platea quasi esaurita.

Ha proposto un recital dell’amato Bach, Johann Sebastian, ovviamente, scegliendo cinque esempi significativi dell’insuperabile compositore, amato e studiato da molti musicisti, quasi un aiuto ad affrontare la vita con maggior serenità.

Sull’amato strumento Fazioli, che lei possiede in ogni sua abitazione, dopo averlo scoperto quasi trent’anni fa, ha iniziato a suonare, nel primo tempo, la Toccata in do minore BWV 911, composta nel 1714 circa, seguita dalla Suite francese n. 5 in sol maggiore, BWV 816 (1722 – 1723), forse la più bella e dolce delle sei, suddivisa in sette movimenti, e che come le altre, comprese le inglesi, è una Suite di danze.

L’ultima opera prima della pausa, la Fantasia cromatica e fuga in re minore BWV 903 (1720 circa), assai virtuosistica, ha consentito di evidenziare la personalità e la bravura della pianista. Esegue ogni nota con delicatezza, quasi in souplesse, con pochissimo utilizzo del pedale, diffondendo leggerezza, arricchita da una limpidezza e qualità del suono, caratteristiche che la pongono meritatamente ai vertici del pianismo mondiale.

Due le composizioni selezionate nella seconda parte.

L’Ouverture in stile francese in si minore BWV 831 (1735), conosciuta ugualmente come Partita in si minore, fu pubblicata come seconda parte del Clavier Ubung, (“la pratica della tastiera”), una serie di opere per clavicembalo e organo, la quale contiene anche il Concerto in stile italiano in fa maggiore BWV 971 (1735), che ha concluso l’appassionante recital. Entrambe le opere rappresentano il tentativo, da parte di Bach, di scrivere musica orchestrale per il clavicembalo.

Ciò che colpisce nell’artista è quel suo scivolare delicatamente sulla tastiera, non dimostrando alcuna incertezza, nemmeno nei passaggi di maggiore difficoltà esecutiva. La posizione eretta, una mano che dirige l’altra, quando questa non suona, l’assenza di vibrato e la distinguibilità nota per nota, sempre concentrata per esprimere al meglio ciò che l’autore ha lasciato scritto.

Non sono mancati i bis : il primo è una sua trascrizione per pianoforte della Cantata BWV 208 ;

il secondo, e purtroppo ultimo, l’Aria iniziale dalle Goldberg Variationen (1741 -1745) : peccato non aver potuto ascoltare anche le 30 variazioni, di cui si compone l’opera.

Dopo il concerto, ancora avvolta dal lungo abito di scena, è scesa nel Foyer per concedersi ai complimenti del pubblico e salutare con affetto i molti amici in sala, firmando dischi, spartiti di studentesse felici ed emozionate e non negando una foto a nessuno, esprimendosi ormai dignitosamente nella lingua italiana.

Foto Musikamera/Facebook




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