lunedì 10 dicembre 2018 - Talco Web

Donne che amano troppo: la psicologia femminile di Robin Norwood

“Quando essere innamorate significa soffrire, 
stiamo amando troppo”
(Robin Norwood, Donne che amano troppo)

“Quando giustifichiamo i malumori, il cattivo carattere, i tradimenti del partner, stiamo amando troppo. Quando siamo offesi dal suo comportamento, lo giustifichiamo e pensiamo sia colpa nostra, stiamo amando troppo. Quando cerchiamo di aiutarlo in tutti i modi diventando la sua terapista, stiamo amando troppo. Quando la relazione con lui mette a repentaglio il nostro benessere emotivo, la nostra salute e la nostra sicurezza, stiamo decisamente amando troppo”.

Quante donne possono ritrovarsi nelle parole della psicoterapeuta e scrittrice Robin Norwood? Moltissime. Il libro “Donne che amano troppo”, ormai bestseller da 5milioni di copie vendute, è diventato una pietra miliare per le donne che soffrono, amando in modo incondizionato i loro partner a tal punto da rinunciare a sé stesse. Nutrono la speranza di cambiare un uomo attraverso il loro affetto, assumendo il ruolo di moglie, fidanzata e madre, entrando in una spirale di amore-dipendenza da cui, uscirne, può diventare difficile. Ma perché le donne, pur riconoscendo il loro partner inadeguato, non riescono a lasciarlo? Perché diventano succubi dei suoi voleri, talvolta subendo soprusi e violenze? Robin Norwood individua le ragioni per cui le donne si innamorano dell’uomo sbagliato e spendono, inutilmente, le loro energie per cambiarlo.
Di seguito un breve riepilogo del concetto della scrittrice ma consiglio una lettura approfondita del libro, una guida di pace, benessere e serenità rivolta a tutte le “donne che amano troppo”.

Le donne che amano troppo, in realtà, non amano affatto: sono dominate dalla paura, paura di restare sole, di non essere degne di amore, di essere ignorate, abbandonate, portandole morbosamente ad attaccarsi a qualcuno che ritengono indispensabile per la loro esistenza. Questo porta ad attuare una serie di meccanismi inconsci di “controllo” per tenere l’altro nell’area del proprio possesso. Secondo la Norwood, queste paure nascono dall’infanzia, nelle prime relazioni familiari, con il padre e la madre, esperienze di violenza, terrore e abbandono, là dove, insomma, vi è un trauma infantile non risolto, che verrà riproposto nelle relazioni future. Se una bambina è stata trascurata dal padre, tenderà a cercare un uomo che faccia altrettanto, che sia freddo e distaccato, perché in maniera inconscia, riproporrà gli stessi schemi, fino a quando non sarà riuscita a superare quell’esperienza. Più avrà un rapporto di dipendenza affettiva e di amore non corrisposto, più le dinamiche si ripeteranno, portandola ad accettare qualunque compromesso pur di avere una rassicurazione, attenzione e giudizio positivo da parte del partner.

Da qui la discesa verso la sofferenza, degradazione e depressione. Più cerchiamo di controllare il nostro rapporto sfuggente, meno riusciremo a farlo.

La soluzione per uscire da questa spirale è lavorare su sé stesse. “Nessuno può amarci abbastanza da renderci felici se non amiamo davvero noi stesse, perché quando nel nostro vuoto andiamo cercando l’amore, possiamo trovare solo altro vuoto“. Accettare la propria situazione, capire in maniera cosciente che stiamo consumando le nostre energie per qualcun altro, quando in realtà, dovremmo incanalarne su di noi. Non possiamo cambiare gli altri, ma possiamo cambiare noi stesse attraverso la piena consapevolezza e l’accettazione della realtà in cui viviamo, senza negarla. “L’accettazione è l’antitesi della negazione e del controllo. È la disponibilità a riconoscere la realtà per quello che è senza sentire il bisogno di cambiarla. Questo è il segreto di una felicità che non mira alla manipolazione di cose o persone che ci circondano, ma alla capacità di sviluppare una pace interiore anche di fronte alle difficoltà e provocazioni”.

Amare troppo è calpestare, annullare se stesse per dedicarsi completamente a cambiare un uomo “sbagliato” che ci ossessiona, naturalmente senza riuscirci. Molte donne commettono l’errore di cercare un partner con cui sviluppare una relazione senza prima avere sviluppato una relazione con se stesse; corrono da un uomo all’altro, alla ricerca di ciò che manca dentro di loro. Amare in modo sano è imparare ad accettarci e amarci prima di tutto, per poter in seguito, costruire un rapporto gratificante e sereno con un uomo “giusto” e adatto a noi. I problemi che riscontriamo con i nostri partner, sono dati da problemi non risolti nell’infanzia. Se nasciamo in “famiglie disturbate” inteso come genitori che non hanno saputo risolvere i propri problemi personali, li rivivremo, facendoci crescere con delle insicurezze che andremo a colmare in futuro, innescando relazioni dannose per la nostra salute, mentale e fisica. Se la nostra famiglia nega i problemi esistenti all’interno delle mura familiari e non si prende carico di risolverle, esse, automaticamente peseranno sulla nostra vita. È necessario, prendere atto del nostro passato per cambiare in meglio il nostro futuro. Alcuni esempi presenti in famiglie disturbate sono: comportamenti compulsivi da parte di un genitore (pulire, stirare, lavorare, bere, giocare d’azzardo, fare ginnastica); abuso di droghe o alcol; comportamenti sessuali scorretti da parte di un genitore verso i figli; violenza fisica o psicologica verso un membro della famiglia; litigi e tensioni costanti; atteggiamenti severi verso i figli; assenza di manifestazioni di affetto; mancanza di dialogo familiare.

Perché allora liberarci di un partner che ci fa soffrire è tanto doloroso e difficile? Più una relazione ci fa star male, più ci ricorda i nostri dolori infantili. Se si ama troppo, vuol dire che si sta cercando di superare le vecchie paure, rabbie, frustrazioni e sofferenze dell’infanzia. Smettere, vuol dire rinunciare ad una occasione preziosa di trovare sollievo e rimediare ai torti subiti in passato. Lasciarlo vuol dire ritrovarci soli con le nostre paure, indifese, incapaci di reagire. Vuol dire non saper ricreare gli stessi schemi da cui siamo dipendenti che se obbiettivamente sono una fonte di disagio, diventano per le “donne che amano troppo” un campo sentimentale che già conoscono e sanno gestire.

Quello che manifestiamo all’esterno è un riflesso di ciò che esiste nel nostro profondo, quello che pensiamo del nostro valore, del nostro diritto alla felicità e che crediamo di meritare nella vita. Se siamo state maltrattate da piccole cresciamo pensando che nessuno ci merita. Se siamo state abbandonate cercheremo un uomo inaffidabile. Se uno dei nostri genitori è un alcolista, molto probabilmente cercheremo un partner alcolizzato, o dipendente da stupefacenti.

È necessario che ognuna di noi capisca che non possiamo e non dobbiamo risolvere i problemi del nostro partner e che lui stesso deve essere responsabile delle sue azioni e scelte. Se ci assumiamo il compito di risolvere i suoi problemi, lo liberiamo dalle sue responsabilità personali. Se a voi tocca pensare al suo benessere e i vostri sforzi falliranno, lui darà a voi la colpa. È importante instaurare una relazione sana, dove entrambi sono autonomi.

Il mito “dell’amore come sofferenza” fa parte della nostra cultura romantica. Pensiamo ai film struggenti, proposti come amori immortali o alle canzoni popolari, opere liriche, letteratura classica, telenovelas. Siamo sempre circondate da numerosi esempi di amori che non ricambiano, relazioni immature che vengono esaltate al massimo. Da questi modelli culturali ci propongono un amore basato sulla misura della sofferenza, portando il nostro pensiero a credere che se soffri, ami veramente. Implicitamente, accettiamo che la predisposizione a soffrire in nome dell’amore sia positivo. È probabile che presentare questo tipo di amori pieni di dolore possa essere una rappresentazione più teatrale e drammatica per raccontare una storia, ma dobbiamo anche essere consapevoli di come la nostra società influisce in maniera pericolosa sulla nostra visione dell’amore, superando l’idea che una relazione frustrante sia eccitante e appagante.

Il bisogno innato di una donna di aiutare un uomo ed essere succube, deriva anche dal pregiudizio culturale in cui siamo cresciute. In primis, bisogna analizzare il ruolo che le donne hanno occupato nella storia. Hanno avuto sempre un ruolo inferiore rispetto agli uomini e non è un caso che con il tempo, vi sia stata la rivoluzione femminista, volta all’emancipazione della donna nella società. L’obbiettivo è sempre stato quello di assumere importanza e rilevanza, come soggetto autonomo e non dipendente alla figura maschile. Un lavoro che tutt’oggi dobbiamo continuare a fare per avere la nostra indipendenza emotiva. 

Anche i mass media hanno un ruolo rilevante in tutto questo: rincarano ogni volta la necessità del ruolo femminile come donna che deve accudire il marito. Le riviste femminili pubblicizzano articoli su “come aiutare il vostro uomo a diventare…” ma mai hanno il ruolo inverso “come aiutare la vostra donna…”. Anzi, spesso le riviste maschili presentano articoli su come far si che “la donna diventi…” volto a plasmare il pensiero femminile agli interessi dell’uomo, rimarcando la sua totale sudditanza.

Anche il pensiero etico cristiano rincara la dose. Insegna che è dovere di una donna rispondere con compassione e generosità quando qualcuno ha dei problemi. Non giudicare, ma aiutare, diventa per le donne, un obbligo morale.

Tra le favole per bambini che la Norwood esalta vi è “la bella e la Bestia” per il suo significato profondo. Qui, la Bella, accetta la Bestia nella sua essenza e non tenta di cambiarla ma anzi a sviluppare il meglio che c’è in lui. Accettare un individuo senza la volontà di cambiarlo è l’aspetto più profondo dell’amore e molto difficile da realizzare. Dobbiamo desiderare di essere felici, ma non ponendo la nostra felicità al di fuori, nelle mani di qualcun altro o da fattori esterni, ma dentro di noi, prendendoci la responsabilità di cambiare in meglio la nostra vita.

La scrittrice identifica le “donne che amano troppo” come aventi un comportamento tipico della malattia. Malattia è un termine che identifica una deviazione della salute con un insieme di sintomi specifici e progressivi riscontrabili nelle vittime che rispondono a specifiche forme di terapia. Se inizialmente vi è una fase critica, in cui i sintomi iniziano ad essere evidenti, il peggioramento porta ad una fase cronica in cui il corpo inizia a deteriorarsi a causa dei continui pensieri negativi, allo stress, fino alla depressione, portando il soggetto alla mancanza di obbiettività. È necessario, fin da subito, chiedere aiuto e avvicinarsi ad un terapeuta, meglio se donna in questo caso, che possa aiutarci nel processo di riabilitazione e guarigione.

È importante capire che amare troppo può uccidere e che in certi casi, se la malattia diventa cronica togliersi la vita o lasciarsi morire lentamente, diventa l’unica soluzione. Una soluzione pericolosa! Non dobbiamo prendere le nostre decisioni sbagliate come errori irrimediabili, ma come lezioni da cui imparare qualcosa di quello che la vita vuole insegnarci. Parlare a sé stesse, ascoltare le proprie emozioni è fondamentale per capire le dinamiche che attuiamo con il nostro partner e i meccanismi inconsci derivati dalla nostra infanzia. Chiedetevi: “Siete soddisfatte e appagate della vostra vita? Meritate qualcosa di meglio di quello che avete?” Sono le prime domande che sorgono e possono dare inizio al cambiamento.

Di seguito i punti salienti che la Norwood consiglia per prendersi cura di sé:

  1. Amatevi;
  2. Accettate pienamente voi stesse;
  3. Datevi la precedenza su tutto;
  4. Smettetela di dirigere e controllare gli altri;
  5. Affrontate i vostri problemi e manchevolezze personali con coraggio;
  6. Coltivate i vostri interessi;
  7. Sviluppate il vostro lato spirituale;
  8. Diventate “egoiste” (inteso come “egoismo sano” verso voi stesse)
  9. Coltivate la vostra autostima;
  10. Apprezzate la vostra serenità
  11. Cercate un partner con cui condividiate valori, interessi e fini.

Focalizzare l’attenzione su di sé e incanalare le energie sulla vostra vita porterà ad una nuova consapevolezza di chi siete. In futuro, dopo aver attuato questi cambiamenti, sarete pronte per incontrare l’uomo giusto e vivere una relazione sana e felice. Forse, dopo la lettura del libro, potrete finalmente sostenere a gran voce: “Invece di una donna che ama qualcun altro tanto da soffrirne, voglio essere una donna che ama abbastanza se stessa da non voler più soffrire”. N.B. Nel libro si parla di relazioni uomo-donna, ma come sostiene Jung, in ognuno di noi vi è una parte maschile e una femminile (Anima e Animus). Le stesse dinamiche relazionali potrebbero riscontrarsi anche in una relazione omosessuale, gay o lesbica. Il principio è lo stesso: chi ha avuto una infanzia tormentata, ricerca partner che assumano ruoli familiari e dinamiche ricorrenti a noi note, portando alla creazione di relazioni dipendenti. Assumersi le proprie responsabilità non più come vittime, ma come artefici del proprio destino è la via della guarigione. Per l’approfondimento di altri libri scritti dall’autrice:

“Donne che amano troppo” di Robin Norwood, Feltrinelli, 2013

“Lettere di donne che amano troppo”, di Robin Norwood, Feltrinelli, 2015

Un pensiero al giorno (per donne che amano troppo)”, di Robin Norwood, Feltrinelli, 2007 “Guarire coi perché” di Robin Norwood, Feltrinelli, 2015




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