mercoledì 9 novembre 2016 - Emilia Urso Anfuso

Donald Trump: un palazzinaro alla Casa Bianca

Era troppo scontata, la vincita della Clinton, per essere vera. Da tempo dubitavo che divenisse il 45° Presidente degli Stati Uniti, contrariamente alle proiezioni elettorali e ai commenti di colleghi giornalisti, analisti politici e tuttologi di ogni sorta.

 

Era scontata perché la Clinton aveva una proposta elettorale troppo buonista. A sostegno dei diritti dei migranti, a sostegno dell’ambiente, a sostegno degli scambi commerciali con l’Europa, a sostegno dei diritti civili di ogni essere umano. Troppo bello, per essere vero.

Infatti, all’ultimo minuto, ecco che quelle percentuali – seppur minime – che davano per certa l’elezione della candidata democratica, si ribaltano: Trump è il 45° Presidente degli Stati Uniti.

Voglio fare una piccola riflessione. Secondo me, più della vincita di Donald Trump. Dovremmo parlare della perdita della Clinton. Che, a mio parere, al di là del programma elettorale, oculatamente preparato per dare agli elettori l’idea di un percorso politico di forte impatto democratico, ha collezionato una serie di errori e omissioni senza pari.

Ora, le cose sono due: o, come immagino a ogni tornata elettorale – sia essa statunitense, italiana o di qualsiasi altra nazione – fin da subito si decide chi vince e chi perde, oppure, l’antipolitica ha vinto sulla politica per il solo fatto che la gente, anche negli USA, è stanca.

Stanca di una politica che, dietro la propaganda, nasconde falle e problematiche non di poco conto. Gli USA continuano a parlare di se stessi, come la più grande potenza mondiale, ma se si andasse a scandagliare meglio la situazione - politica, economica e sociale - si scoprirebbe immediatamente, e con facilità, che gli USA non stanno messi affatto bene.

La crisi economica, partita proprio dagli USA nel 2008, ha colpito gli States molto più di quanto l’effetto domino a livello mondiale abbia creato sul resto del pianeta. Ma si sa, gli USA continuano a essere i maggiori detentori di menzogne, in special modo per ciò che riguarda la politica economica e quella estera, e si reggono in piedi sempre e comunque, grazie alle tante alleanze internazionali, quella italiana in testa.

Tornando al tema centrale: il neo eletto presidente Trump, che di politica non ha mai masticato, ha vinto sulla candidata che della politica ha fatto il suo mestiere, fin dagli anni ’70 e, andando oltre, divenendo anche First Lady. Forse già all’epoca accarezzava il sogno di diventare presidente, ma i tempi non erano maturi.

A me, Donald Trump che ora siede sulla poltrona più in vista del pianeta, fa pensare tanto all’entrata in politica di Berlusconi, negli anni ’90. Ricco imprenditore digiuno di esperienza politica. Credo dovremo rassegnarci ad abituarci all’idea che, dopo il berlusconismo, è in arrivo il trumpismo.

E il trumpismo ha molto di simile con il berlusconismo. Si basano entrambi su criteri distanti dalla politica tradizionalmente intesa, ma entrambi hanno una forte valenza sulle emozioni dell’Opinione Pubblica. E negli USA, l’Opinione Pubblica conta ancora qualcosina. Non molto, ma qualcosina sì.

Inoltre, va detta una cosa: non è cosa certa che ciò che Trump ha promesso per mesi durante l’estenuante campagna elettorale, sarà realizzato. Si sa che, pur di attrarre elettori e attenzioni internazionali - in special modo in un territorio come quello statunitense, che comunque genera effetti su tutte le nazioni presenti sul pianeta – si fa di tutto e di più. Pensate per caso che, all’americano medio, interessassero maggiormente le chiacchiere pacifiste della Clinton, o l’impronta rude e violenta di Donald Trump?

Per i Cow Boy del terzo millennio, la vera svolta o meglio, il tentativo di reale rinnovamento, non poteva che essere avere Trump come presidente.

Ovviamente, tutto ciò nell’ipotesi che queste elezioni non nascondano i soliti giochi di potere e di decisioni prese a tavolino e a suo tempo. Non è che il broglio elettorale sia solo cosa nostra. Fa parte dei sistemi politici internazionali. E fa parte di una cultura politica che non permette più di decidere altro se non le decisioni già prese.

Non resta ora che attendere e vedere cosa ci dirà la storia del prossimo futuro, quella che leggeranno un giorno i nostri figli e nipoti, sugli eventuali libri di Storia, ammesso che esisteranno ancora i libri e le lezioni di Storia.

Forse, si parlerà del periodo “Trumpista”, che cambiò per sempre gli ideali comuni, tracciando una svolta nelle abitudini e nella percezione della gente comune. insomma: nulla di nuovo, andando avanti…

Foto: Gage Skidmore/Flickr




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