giovedì 26 luglio 2018 - Aldo Giannuli

Diplomazia segreta: la visita di Ali Mamlouk, capo dei servizi segreti siriani, in Italia

Come sapete, mi fa sempre piacere quando un nuovo collaboratore inizia le sue pubblicazioni sul sito. Oggi sono molto contento di presentarvi questo articolo di questo promettente studente che per ora preferisce firmarsi S.A. Buona lettura! A.G.

Di S.A. Il 14 Marzo 2012 l’ambasciata italiana a Damasco chiudeva definitivamente i battenti e il nostro ambasciatore di allora, il dott. Achille Amerio, capì che non sarebbe più rientrato in Siria, dopo il suo richiamo il 7 Febbraio da parte del Ministro degli Esteri del governo Monti, Giulio Terzi.

 

Non fu di certo un’azione unilaterale: il giorno prima del richiamo infatti, l’omologo dell’ambasciata di fronte, l’americano Robert Stephen Ford riceveva la medesima notizia, ovvero la chiusura definitiva dell’ambasciata USA, dopo che l’aveva già lasciata il 24 Ottobre 2011. La situazione in Siria stava precipitando a seguito della violenta repressione operata dalle forze di sicurezza sui manifestanti inermi.

Il 29 Maggio 2012, l’Italia insieme agli altri paesi del G7 e ulteriori 6 espulsero i diplomatici siriani dalle rispettive sedi.

E non fu di certo un’azione ingiustificata: 4 giorni prima si era consumata l’ennesima strage di civili, conosciuta come il “Massacro di Houla”, area a 30 km nord-ovest da Homs, terza città della Siria conosciuta come la Capitale della Rivoluzione contro il regime di Bashar al-Assad.

Come potuto constatare dal team di osservatori ONU guidato dal generale norvegese Robert Mood, presente in Siria proprio in quel periodo per verificare l’applicazione del piano di pace dell’allora inviato ONU per la Siria Kofi Annan, 108 persone fra cui almeno 49 bambini vennero massacrati nel villaggio di Taldou dalle forze squadriste paramilitari al servizio di Assad chiamate Shabbiha (fantasmi), formate da gruppi di Alawiti (setta religiosa sincretica legata in parte allo Sciismo cui appartiene la famiglia Assad) con il compito di punire chiunque avesse osato pronunciarsi contro il loro dio-presidente durante le manifestazioni che da più di un anno divampavano nel paese e che stavano per forza di cose volgendo in resistenza armata, con la nascita dell’Esercito Siriano Libero formato da militari disertori e semplici cittadini della società civile.

Dal massacro di Houla sono passati più di 6 anni, le relazioni diplomatiche delle maggiori potenze con la Siria sono ancora chiuse in attesa che la situazione sul campo si assesti e che finalmente il governo siriano prenda seriamente parte al processo di pace delle Nazioni Unite guidato dal nostro diplomatico italo-svedese Staffan De Mistura, inviato speciale per la Siria dal Luglio 2014. Anche se l’esercito di Assad (affiancato dalle milizie iraniane e Hezbollah) ha riconquistato oltre il 60% del territorio attraverso una strategia congiunta con i russi (assedio/bombardamento/evacuazione tramite corridoi dei civili sopravvissuti/resa o trasferimento dei ribelli a Idlib con consegna delle armi pesanti), in ultimo la riconquista del governatorato meridionale di Daraa e in queste ore anche di Quneitra al confine con Israele, le campagne dovrebbero ora venire sospese essendo rimasta una sola porzione di territorio in mano ai ribelli e a Tahrir al-Sham (ex al-Qaeda), ossia il governatorato di Idlib al confine nord-occidentale con la Turchia, che però è zona di de-escalation grazie all’accordo tripartito di Astana fra Russia, Turchia e Iran i cui osservatori militari sono circolarmente schierati per evitare violazioni ai fronti. Mentre nel territorio nord-est in mano alle forze curde del YPG affiancate dai Marines americani sono in corso le battaglie contro le ultime sacche del Daesh (preferibile acronimo arabo di ISIS) in Siria e difficilmente il presidente americano Trump permetterà che vi siano ulteriori scontri con le forze fedeli al regime prima che la sua guerra al sedicente califfato termini definitivamente (e probabilmente nell’incontro di Lunedì scorso col presidente russo Putin si è chiarita la necessità di non far aprire un nuovo fronte di guerra e far decollare il processo per la soluzione politica alla crisi siriana e garantire le condizioni per il rientro dei rifugiati dai paesi di confine ospitanti).

Ma a scapito dei principali paesi protagonisti nelle vicende della disastrosa guerra siriana, pare essersi fatta largo anche l’Italia.

Secondo una notizia del quotidiano libanese Al-Akhbar del 26 Febbraio 2018 ripresa poi dal quotidiano francese Le Monde il 28 Marzo, il generale Ali Mamlouk, direttore dell’Ufficio per la Sicurezza Nazionale che si occupa del coordinamento delle 4 agenzie siriane di intelligence (l’equivalente del nostro DIS) chiamate genericamente Mukhabarat, sarebbe venuto su invito a Gennaio a far visita a Roma al dott. Alberto Manenti, direttore del servizio segreto estero italiano AISE, affiancato dall’allora Ministro dell’Interno Marco Minniti.

Mamlouk sarebbe arrivato con un aereo privato fornito da Roma e partito da Damasco.

Le trattative preliminari per l’organizzazione dell’incontro sarebbero state mediate naturalmente dal gen. Abbas Ibrahim, direttore del servizio libanese con cui abbiamo ottimi rapporti, che dovette far fronte alle divergenze iniziali rispetto al rifiuto da parte siriana di farsi rappresentare da una persona diversa che non rientrasse nella blacklist dell’UE, come richiesto dalla controparte (l’idea iniziale era quella di riaprire il dialogo con il regime attraverso Federica Mogherini, alto rappresentante dell’UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza, che però non avrebbe altrettanto accettato un incontro col sanzionato Mamlouk).

Viene riferito inoltre che non sarebbe la prima visita di un funzionario siriano in Italia: già nel 2015 sarebbe venuto anche il capo del servizio di intelligence generale, Mohammed Dib Zaitoun a cui seguì l’anno successivo la visita ricambiata di Manenti a Damasco. Gli argomenti discussi con entrambi i siriani riguardavano l’antiterrorismo e la questione dei migranti siriani, ma si è trattato soprattutto per il regime siriano di rompere l’isolamento con l’Europa e tornare ad essere considerato come il vecchio fidato partner con il quale collaborare per arginare il rischio terroristico cresciuto con il fenomeno Daesh, in cambio però di un allentamento delle sanzioni imposte a Damasco.

Ma chi è esattamente Ali Mamlouk? Questo signore di 72 anni è uno dei pilastri del regime, nonché fidato consigliere del Raìs e da qualche anno suo ambasciatore segreto: avrebbe straordinariamente viaggiato anche in paesi che ufficialmente sono nemici di Assad, quali Giordania e Arabia Saudita nel tentativo di trovare una soluzione ragionevole al conflitto, dopo che tutta la comunità internazionale ha espresso la volontà di non estromettere militarmente il regime (nel Maggio 2015 è stato anche ipotizzato un suo temporaneo arresto per volontà iraniana per alcuni viaggi e incontri di troppo che hanno fatto sospettare un tentativo di golpe, smentito nei fatti).

Ma rimane pur sempre la persona al terzo posto nella lista nera subito dietro a Bashar e il fratello Maher. Come mai? Come le autorità italiane dovrebbero sapere, è stato senz’altro il protagonista della repressione di questi anni dall’alto delle sue posizioni ai vertici della catena di comando siriana. Sparizioni forzate (spesso senza restituzione delle spoglie), firme di condanne a morte, ordini di aprire il fuoco sulle proteste sono tutte questioni passate dal suo tavolo anche prima del conflitto.

Le sue doti diplomatiche erano già note agli americani che nel Febbraio 2010 vennero sorpresi dal suo arrivo all’incontro a Damasco tra il vice ministro degli esteri siriano Faisal al-Miqdad e il coordinatore per l’antiterrorismo del dipartimento di stato americano Daniel Benjamin. L’obiettivo era quello di lanciare un segnale alla nuova amministrazione Obama offrendo la cooperazione sul piano antiterroristico e della Intelligence sharing in cambio di una normalizzazione dei rapporti bilaterali. Ma il generale fece anche un’ammissione non da poco, spiegando che il suo modo di trattare con i jihadisti era “pratico e non teorico” ovvero non venivano attaccati o uccisi nell’immediato, ma venivano infiltrati e solo al momento opportuno si agiva. Il che fornisce una delle tante prove sulla collaborazione fra il regime e il terrorismo qaedista iracheno da cui trae origine Daesh. Ricordando a Benjamin del passaggio dei militanti in Iraq attraverso la Siria, dove in 8 anni di occupazione gli USA hanno perso 4.497 uomini, quella mano tesa era un’offerta che non si poteva rifiutare. E’ più che probabile che la stessa offerta di tipo mafioso sia stata posta ai nostri servizi, il cui compito è di proteggere a qualsiasi costo la nostra sicurezza.

Ma la domanda è: anche a costo di fare patti con chi sarebbe dovuto essere arrestato al suo arrivo in territorio europeo e poi processato alla Corte Penale Internazionale dell’Aia? Il nemico è il terrorismo o chi pare averne il reale controllo? Ciò che è chiaro è che la mancanza di una politica comune sulla Siria ha portato alla situazione in cui dopo una guerra di oltre 7 anni che ha causato 511.000 morti e iniziata dai reparti di sicurezza di Assad, ci ritroviamo a dover collaborare con questi ultimi tradendo i siriani che hanno tentato di ristabilire in Siria i valori su cui si fonda la nostra stessa repubblica. Ma sembra ormai chiaro che di loro, in fondo, poco ci importi.

S.A.




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