martedì 3 settembre 2013 - angelo umana

Die Wand: un ottimo film per pensare

Un film di Julian Poelsler. 

Una donna che va con una coppia di amici in una baita delle alpi austriache, gli amici che la lasciano sola per andare al villaggio, ma non tornano più.

Forse le hanno voluto procurare la solitudine, o segregarla, perché Martina (Gedeck) scopre il mattino dopo di essere circondata da pareti di vetro, racchiusa in un’area dalla quale non può più uscire. Già il viaggio in auto lungo i tornanti e poi le pareti di vetro inquietanti rimandavano la mente a Shining.

L’area è però grande abbastanza, un paesaggio alpino magnifico e un alpeggio dove porta la mucca (Bella) trovata e divenuta sua amica, la definisce “sorella”, e il vitellino nato successivamente, il cane Luchs, “fantasma amichevole”, il gatto che li aspetta nella baita e il corvo bianco, evitato dal gruppo di corvi normali e appartato come la protagonista, che va a “visitare” e da lei riceve cibo.

Per Luchs era come se “starmi accanto lo rendesse felice” ma forse, aggiunge, è la megalomania di noi umani a farci sentire importanti nell’attendere ad animali. È bucolica e confortante la scena dove Martina mangia nella baita, coi suoi animali, con la musica dolcissima degli spartiti di Bach che accompagnano il film.

La sorte l’ha voluta confinare in un angolo bello e molto in alto del mondo, che dapprima per lei è un mondo di difficoltà e solitudine, di incubi notturni, “mi aggrappavo ai miseri resti di un ordine umano”, poi ne fa il suo ambiente, taglia il fieno, caccia cervi per nutrirsi, il bosco diventa suo e si rende conto di essere “l’unica creatura che può far bene o male nel bosco”.

Evidentemente la natura non procura il male, come può l’uomo, tutto ciò che in essa avviene ha un ordine previsto, giustificato, che la conserva.

Accade che Martina delimita molto bene i confini di sé stessa, “il vecchio io”, il passato, “il mio nuovo io”, un nuovo ordine dove è difficile avere un “io appartato”, dove le è diventato più naturale dire “noi”, lei e la natura, con la montagna e i suoi animali, di cui si sente responsabile. Può accadere nell’età matura, come attorno ai 50 anni della protagonista.

Dimentica Die Wand, la parete di vetro che la reclude in un ampio territorio, ormai non più segno di isolamento e prigionia, quanto delimitazione di un mondo tutto suo dove per due anni ha scritto, ché le era “necessario” (il film è tratto dal libro omonimo di Marlen Haushofer), di una vita silenziosa e forse paga. Un contatto fortuito e imprevisto con un essere umano avviene, ma è violento e terribile.

Un’intensa e assorta, come al solito, Martina Gedeck (Treno di notte per Lisbona, Le vite degli altri), un ottimo film (di Julian Poelsler) per pensare, naturalmente soli con sé stessi, meglio se tra le montagne.

1set




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