lunedì 14 settembre 2020 - Giovanni Greto

Dido and Aeneas di Henry Purcell al Teatro La Fenice

Incontra il gradimento del pubblico il nuovo allestimento del capolavoro del compositore inglese

 

Il commovente episodio dell’Eneide, che narra la tragica vicenda della sfortunata regina cartaginese, ispirò molti librettisti dei secoli XVII° e XVIII°. I melodrammi raccontano l’amore infelice di Didone per Enea, l’eroe troiano destinato a fondare la stirpe italica, sbarcato avventurosamente sui lidi di Cartagine. Un amore che verrà crudamente interrotto dalla partenza di Enea, chiamato al suo destino, e provocherà il suicidio della regina disperata.

Tra i titoli, spicca Dido and Aeneas, opera in tre atti di breve durata (meno di un’ora), considerata il capolavoro di Henry Purcell (Londra, 1658 o 59 – Londra, 21 novembre 1695).

E’ basata su un libretto che un oscuro letterato, Nahun Tate (1652-1715), di lì a poco incoronato “poeta laureato”, trasse dalla propria tragedia Brutus of Alba: or The Enchanted Lovers (1678), la cui fonte è il quarto libro dell’Eneide. In esso, figurano anche personaggi di estrazione tardo-rinascimentale come la Maga (Sorceress) e le due streghe o incantatrici, le quali inducono Enea ad abbandonare Didone, al solo scopo di distruggerne la felicità.

Composta nel 1687 o 88, l’opera, commissionata per una rappresentazione privata, fu probabilmente eseguita per la prima volta nel 1688 o 89, dalle giovani aristocratiche di un collegio femminile di Chelsea, dirette da Josias Priest, celebre ballerino e coreografo. Come si legge nel programma di sala, curato da Maria Giovanna Miggiani, “in Dido and Aeneas Purcell ha scritto un capolavoro di concentrazione espressiva, in cui danze e cori di ascendenza francese, si alternano ad arie di fattura italiana e a recitativi e ariosi di straordinaria intensità drammatica, sfruttando in particolare, con inventività instancabile, le risorse di un procedimento compositivo, il basso ostinato, da lui padroneggiato sopra ogni altro musicista del secolo. In tutte le sue numerose varianti, il basso ostinato purcelliano si presta a rappresentare qualsiasi affetto o evento grazie agli ampi margini di libertà armonica e melodica consentiti dalla staticità dell’impianto formale”. Il basso ostinato (in inglese ground bass), risalente ai tempi della polifonia, è un disegno melodico, solitamente breve e ritmicamente semplice, che si ripete ostinatamente sul basso di un’intera composizione o parte di essa, dando luogo, nella maggioranza dei casi, a un seguito di variazioni.

Tra le arie su basso ostinato, merita una citazione “When I am laid in earth” (quando sarò deposta nella terra), lo stupendo lamento conclusivo di Didone, rivolto alla sorella Belinda, che prelude al suicidio. Questa melodia è evocatrice di un notevole pathos, accentuato dal fatto che le note discendenti dal Sol fino al Re sono semitoni, mentre le armonie cromatiche sono commoventi quanto le più grandi arie tragiche di Bach.

Ancora una volta, nonostante lo scambio di collocazione tra la platea e il palcoscenico, l’acustica è risultata molto confortevole, al punto che erano udibili chiaramente strumenti delicati come la tiorba e l’organo positivo. Sotto la direzione di Tito Ceccherini, acclamato interprete del repertorio moderno, sono apparsi in gran spolvero sia l’Orchestra che il Coro del Teatro, istruito dal Maestro Claudio Marino Moretti.

Scroscianti applausi sono stati tributati ai due personaggi principali : Didone, drammaticamente interpretata dal soprano piacentino Giuseppina Bridelli ; Enea, dal tenore viterbese Antonio Poli, una presenza forte sul palcoscenico.

Meritano l’elogio i quattro giovani danzatori dell’Associazione Deos Danse Ensemble Opera Studio : Melissa Cosseta, Angelica Mattiazzi, Alice Pan e Fabio Caputo.

Delicati e ficcanti, i musicisti impegnati nel continuo : Alessandro Zanardi, violoncello; Dario Pisasale e Francesco Tomasi, tiorba, arciliuto e chitarra barocca ; Luca Oberti, clavicembalo e organo positivo.

Soltanto tre le recite, per un’opera barocca che ne avrebbe meritate di più, nella speranza che la direzione artistica dedichi uno spazio sempre maggiore ai capolavori della musica antica.




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