martedì 9 febbraio 2021 - UAAR - A ragion veduta

Diciamo stop alle mutilazioni genitali femminili

Tra passi avanti e arretramenti (anche a causa della pandemia) prosegue la lotta alle mutilazioni genitali femminili, cui è dedicata l’odierna Giornata internazionale dell’Onu. Se vogliamo eradicare il fenomeno entro questo decennio, come previsto dall’Agenda 2030 per uno sviluppo sostenibile, è necessario il lavoro congiunto di tutti.

Abida, Zahra e Khadija. Sono i nomi di tre sopravvissute alle mutilazioni genitali femminili

Abida, Zahra e Khadija. Sono i nomi di tre sopravvissute alle mutilazioni genitali femminili (mgf), tre donne della regione degli Afar, in Etiopia, che il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (Unfpa) ha scelto come volto e come voce per la campagna A Piece of Me, una delle innumerevoli iniziative lanciate dall’Onu per sensibilizzare sulla questione delle mutilazioni genitali femminili, alla cui lotta è dedicata l’odierna Giornata internazionale dell’Onu.

Tre sopravvissute ma anche tre donne che hanno scelto di essere motore di cambiamento all’interno delle proprie comunità affinché tutte quelle pratiche di violazione dei diritti umani che ogni giorno colpiscono bambine e ragazze (come le mgf, appunto, o i matrimoni precoci) siano presto solo un brutto ricordo.

Se percorsi come il loro si moltiplicassero ovunque nel mondo sarebbe certamente centrato l’obiettivo cui puntano le Nazioni Unite: vale a dire l’eradicamento delle mgf entro questo decennio, come previsto dall’Agenda 2030 per uno sviluppo sostenibile. Il quadro a riguardo è però in chiaroscuro.

Secondo l’edizione 2020 del Rapporto Unfpa sullo stato della popolazione nel mondo (la cui edizione italiana è curata da Aidos-Associazione italiana donne per lo sviluppo), ad oggi, nel mondo, sono circa 200 milioni le donne e ragazze che sono state sottoposte a una qualche forma di mutilazione genitale. E se da un lato la percentuale di quante sottoposte a mutilazioni è complessivamente in calo (la tendenza, estrapolata dai dati relativi a 30 Stati, mostra come alla fine degli anni Ottanta circa una ragazza su due nella fascia di età 15-19 anni fosse sottoposta a mgf; oggi in quegli stessi paesi la proporzione è scesa, secondo le stime, a una su tre) dall’altro, a causa della crescita demografica, il numero di donne e bambine che ne sono colpite è in aumento e potrebbe passare dai 4,1 milioni del 2020 a 4,6 milioni all’anno entro il 2030.

Il problema riguarda in particolare il continente africano

Il problema riguarda in particolare il continente africano: i dati più recenti mostrano che la percentuale di donne nella fascia di età 15-49 sottoposte a mgf va dall’1 per cento di Camerun (dati 2004) e Uganda (2011) fino al 90 per cento e oltre di Gibuti (2006), Egitto (2015), Guinea (2018) e Mali (2018). Ma la pratica è diffusa anche altrove – in Indonesia, per esempio, si stima che il 49 per cento delle bambine entro gli 11 anni conviva con le mgf – e, con le migrazioni, ha da tempo varcato i confini dei Paesi del sud del mondo. Come si legge nel Rapporto Unfpa, negli Usa i Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie hanno calcolato che nel 2012 erano presenti sul territorio statunitense 513.000 donne e bambine che avevano subìto o rischiavano di subire mutilazioni genitali: si tratta di un aumento triplo rispetto alle precedenti stime del 1990. Uno studio condotto nel 2015 dall’Istituto europeo per la parità di genere (Eige) ha calcolato che ben 1.600 ragazze in Irlanda, 1.300 in Portogallo e 11.000 in Svezia possano essere state sottoposte a mgf nel solo 2011. Analogo studio condotto dall’Eige su altri Paesi europei ha rilevato che, nel 2016, in Italia, erano a rischio mgf dal 15 al 24 per cento delle 76.000 ragazze originarie di paesi in la pratica è diffusa (percentuali più alte, ma su numeri più bassi, si registravano in Grecia e a Malta).

In questo frangente desta inoltre preoccupazione anche un altro elemento: a causa della crisi determinata dalla pandemia, molti programmi di istruzione e di contrasto alle mgf sono stati ridotti e ciò, secondo l’Unfpa, potrebbe determinare due milioni di casi di mgf in più nel prossimo decennio che altrimenti avrebbero potuto essere evitati.

Ad aggravare il quadro concorre poi un altro fenomeno denunciato dall’Unfpa: quello della «medicalizzazione» delle mgf. Si calcola che in 52 milioni di casi la pratica sia stata eseguita da medici, infermieri o levatrici. In Paesi come Egitto e Sudan, sarebbero otto su dieci le ragazze sottoposte a mgf in ambulatori o studi di operatori sanitari qualificati (dati 2014). Ma – oltre, ricordiamolo, a non avere alcuna giustificazione terapeutica – nessuna forma di mgf è “sicura” e, anche se eseguite in ambiente ospedaliero da personale medico, permane il rischio di conseguenze immediate e a lungo termine per la salute. Come denuncia l’Unfpa, «eseguire le mgf in uno studio medico serve solo a normalizzare questa pratica e a indebolire gli sforzi per eliminarla».

L’esatto contrario di ciò che siamo chiamati a fare.

Ingrid Colanicchia

 




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