mercoledì 28 ottobre 2020 - Phastidio

Di pandemie, proiettili d’argento e divoratori di ciliegie

Dopo il Dpcm numero XXII dell'Era Pandemica: dai proiettili d'argento al cherry picking, la fallacia appare come l'ultimo baluardo ansiolitico alla realtà

 

Dopo il ventiduesimo Dpcm della storia italiana di questa pandemia, abbiamo scoperto che i social (non solo italiani, sia chiaro), sono popolati da soggetti dotati di razionalità superiore ed in grado di prevedere azioni e reazioni sino al trentesimo step. La domanda sorgerebbe dunque spontanea: se siamo tutti delle forme intellettive così superiori, come mai questo virus ci prende quotidianamente a calci nelle terga, deridendo le nostre certezze d’argilla e il nostro autocompiacimento? Nuovo piccolo campionario di questa umana fragilità, che riguarda tutti noi.

In primo luogo, la seconda ondata, che poi è una devastante ricaduta, è quella di tipo dichiarativo che ha colpito gli “addetti ai lavori”, che quotidianamente ci spiegano a che punto siamo e cosa possiamo attenderci. Io capisco che ognuno di noi vorrebbe solo certezze dalla scienza, anche senza essere Susanna Tamaro e scriverci sopra un bel temino a sentimento sul primo quotidiano italiano.

Di recente ho scritto di sindemia, di cui l’infodemia è parte integrante e ormai dominante. A tale epidemia temo appartengano anche le esternazioni di virologi, immunologi, microbiologi, epidemiologi, anestesisti che quotidianamente riversano su di noi le loro ipotesi. Ecco, sarebbe utile partire dal concetto che si tratta di ipotesi in attesa di disconferma empirica, e non di scalpellate sulla Tavola della Legge.

Resta la costante di fondo: l’incertezza è intollerabile dalla psicologia umana, e durante un’epidemia si toccano picchi estremi di incertezza. Anche e soprattutto sulle proprie prospettive di sostentamento economico, quello che gli anglosassoni chiamano livelihood. Mi pare quindi del tutto fisiologico attendersi corse e rincorse a rinforzare le proprie credenze e il proprio sistema di valori.

Ho già detto, a questo proposito, della tendenza a prendere la gigantografia del proprio scienziato di riferimento e portarla in processione lungo le vie dei social, difendendola con aggressività dai cortei altrui. Finisce quindi che la scienza viene trasformata da crogiolo del dubbio e della sperimentazione nel suo esatto opposto: un catalizzatore di guerre di religione.

Poiché però lo scienziato è un essere umano, a volte capita che qualcuno soffra il protagonismo dei colleghi e decida quindi di salire in cattedra arrampicandosi sulla sedia dell’ipse dixit e delle proprie credenziali accademiche, meglio se certificate da indici internazionali di produzione scientifica. E qui sono ulteriori dolori, soprattutto quando arrivano di rinforzo colleghi, amici e conoscenti di colui che ha proferito ex cathedra senza fornire evidenze e ti fanno sapere che si tratta di scienziati di valore estremo, con una sorta di invocazione dell’ipse dixit che crea un po’ di disagio. Almeno a me, voi non preoccupatevi.

Perché la discussione non è sulle credenziali scientifiche ma su singole esternazioni, avvenute fuori dal contesto strutturato della ricerca. E questo è un terreno assai scivoloso, soprattutto se percorso da chi, di solito, invoca il rigore del metodo scientifico a supporto di ogni affermazione. Se non vi è chiaro, vi pregherei di usare questo piccolo schema mentale: il “falso esperto” è anche l’esperto che argomenta per autorità e non per evidenze.

Che alternative ci sono, allora, per tutti quelli che rifiutano l’emotività e perseguono l’oggettività? In questo contesto temo ben poche o nessuna, come testimoniano la disperate richieste di evidenze sui singoli contesti di aggregazione umana, che dovrebbero permettere di definire una gerarchia del contagio, su cui agire con chiusure selettive. Personalmente, esco pazzo quando leggo affermazioni del tipo “la scuola è sicura, sono i trasporti”, oppure “i trasporti sono sicuri, è la movida”, che poi diventa “la movida è sicura, sono i ristoranti”.

Mettetevi il cuore in pace: le copie del virus non restano stanziali ed assegnate ad un singolo contesto, come ho già detto. Ma questa è ennesima conferma di come l’ansia e la assai comprensibile posta economica in gioco portino a dividersi per linee “corporative”. Accade ovunque, non solo in Italia, importante sottolineare questo.

Se non mi credete, guardate in Regno Unito il negoziato tra il governo Johnson e l’area metropolitana della Greater Manchester, basato sull’entità dei ristori economici per i settori colpiti dalle chiusure di livello 3, quello più stretto in base alla classificazione operativa britannica. Con le autorità locali a chiedere cassa integrazione con percentuali superiori a quelle offerte dal governo, e il governo a rilanciare con aumento degli indennizzi alle imprese. Alla fine, non potendo trascinare il negoziato troppo a lungo, perché di solito le epidemie non hanno troppa pazienza, la chiusura è arrivata comunque, con qualche contentino aggiuntivo da parte del Cancelliere dello Scacchiere, Rishi Sunak. Trovate un’utile cronologia del negoziato qui.

 

Torniamo all’aspetto di razionalità. Quest’ultima viene attenuata nel negoziato tra portatori di interessi, con grande scorno del popolo dei social, che ha già la risposta al problema e, molto più spesso, ha pronto anche il problema alla risposta. Qui l’unico invito che posso farvi è guardare fuori dal cortile di casa, per rintracciare le stesse dinamiche. Posso anche confermarvi che, da studi approfonditi, emerge che i governanti pro tempore in giro per l’Europa ed il mondo non sono imparentati col premier italiano, in caso vi fossero sorti dubbi circa l’operare di forze oscure dell’irrazionalità. La politica è fatica, la democrazia ancor di più. Le pandemie sono mortali nemiche del negoziato: questione di tempi differenti.

Quello che ho segnalato qui sopra tende ad essere vero praticamente ovunque, perché ovunque vale la tensione tra esigenze sanitarie e quelle economiche. Anche qui, nessun problema (si fa per dire): si fa del cherry picking su casi che pro tempore hanno evidenziato risultati positivi nel contemperare le due dimensioni, e l’ansia cala. In pratica, siamo passati da “e i marò?” a “e la Svezia?”

A proposito di tempi e incoerenze temporali, in questi giorni abbiamo scoperto che l’ennesimo proiettile d’argento è il MES, che se richiesto per tempo avrebbe portato il nostro paese ad essere pressoché vaccinato contro la sorte avversa. I fondi del MES pandemico si fronteggiano con altro fondamentale strumento di risoluzione tribale della crisi, l’utilizzo di debito nostrano, ad esempio il patriottico (e costoso, temo) Btp Futura.

Io farei sommessamente notare che per formare medici specialisti e infermieri serve tempo, prima che soldi. E una cosa chiamata pianificazione. Perché i “letti di rianimazione” non si ordinano all’Ikea; e le terapie intensive edificate in quartieri fieristici a chilometri di distanza da altri complessi ospedalieri urbani, per poter mostrare quanto siamo ganzi a reagire alle avversità, necessitano di squadre di sanitari che vengono spostate da altre strutture urbane, rendendo corta la coperta.

E se volessimo andare oltre, nel ragionamento, potremmo anche dire che siamo sottodimensionati di risorse sanitarie non in assoluto ma rispetto ad un contesto pandemico, che non è un evento ad alta frequenza, da qualche secolo in qua. Abbiamo speso poco e male per la sanità, in questi decenni? Possibile, si può sempre far meglio. Ma se osserviamo la progressione della speranza di vita degli ultimi lustri, diremmo che se avessimo una sanità devastata non vedremmo numeri del genere. Quindi, attenzione alla prospettiva, oltre che alla incoerenza temporale.

Ma, come detto, la pandemia ha prodotto una imponente riconversione produttiva, trasformando fonderie di proiettili d’argento in sterminati campi di ciliegie, da cogliere e soprattutto divorare per il noto effetto di dipendenza tipico di questo frutto. Da cherry picking a cherry eating il passo è stato breve. Purtroppo.

Se siete interessati al grande filone della fallacia logica e ai suoi cascami, trovo utile segnalarvi la Tavola Periodica del Negazionismo, tradotta da Federico Ronchetti, fisico nucleare italiano del CERN. Vedo che in molti l’hanno già erroneamente definita “strumento di repressione del pensiero critico”. Confermando che, se uno il metodo scientifico non ce l’ha, non se lo può dare. E pure la cultura che tale metodo produce, soprattutto.

 

 

 




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