Di Maio a Porta a Porta | Giggino e il vincolo di mandato con l’elastico
Si fatica a comprendere lo stupore ed i febbrili lanci d’agenzia quando, durante la registrazione di Porta a porta, il candidato premier del M5S, Luigi Di Maio, ha ribadito il concetto: “Non credo che per l’Italia sia più il momento di uscire dall’euro”, anche perché per l’Italia “ci sarà più spazio”, visto che “l’asse franco-tedesco non è più forte come prima”. Che c’è di inedito?
Ma tutto cosa? Non certo quello che Di Maio segnala, a livello di governi europei. Quella è la motivazione ad usum gonzini. Vi diciamo noi quello che è accaduto. È accaduto che i nostri eroi pentastellati hanno commissionato dei sondaggi, ed hanno visto che gli italiani rigettano l’idea di uscire dall’euro. E quindi, ad evitare di fare la fine di Marine le Pen, meglio dirottare l’affabulazione sull”andare in Europa” a battere i pugnetti sul tavolo, e a chiedere, nelle parole di Di Maio, di superare il deficit-Pil al 3% e fare “investimenti ad alto deficit”. Ha detto proprio così, riferiscono le agenzie di stampa, “investimenti ad alto deficit”, nemmeno “ad alto impatto moltiplicativo”, come invece è scritto nel manuale del piccolo keynesiano. Si sarà confuso, o forse il training di Rocco Casalino aveva una sbavatura, chissà.
Nel frattempo, segnaliamo che la Spagna e la Francia quest’anno scenderanno sotto il 3% dei deficit-Pil, mentre il Portogallo è ormai sotto il 2%, anche perché pare sia in atto una crescita molto robusta, in giro per il mondo e per l’Europa. Però, come disse Giggino ‘O Keynesiano, è “chiaro” che senza superare il 3% non si riesce a risanare, come dimostra la grama esistenza dei crucchi.
Altro punto toccato da Di Maio è quello relativo all’apertura a “volti esterni”, “le migliori menti” che vorranno correre col M5S per cambiare i destini delle corse nell’uninominale, dove ad oggi i ragazzotti non sono messi benissimo. In attesa che le “migliori menti” accorrano a salvare il paese, mescolandosi alla carica dei signori nessuno a reddito zero che sono la testimonianza vivente di come in Italia l’ascensore sociale si sia rimesso in moto grazie ai pentastellati, non temete per la purezza ideologico-giudiziaria dei candidati: Di Maio, in persona personalmente, vaglierà le candidature, per “evitare malintenzionati”, cioè prenderà il ruolo di gatekeeper che fu di Grillo, nella gerarchia iranian-maoista che caratterizza il MoVimento. E peraltro, cosa c’è di meglio che mettere un candidato di sinistra in un collegio di sinistra, e viceversa con la destra? Basta con le ideologie, entrino i camaleonti ed ognuno di voi scelga il colore che preferisce.
Altra interessante evoluzione pentastellata è quella sul vincolo di mandato: che come noto i nostri eroi tenteranno di estirpare dalla Costituzione, dopo aver applicato le famose multe che non valgono la carta del contratto su cui sono scritte. Ma Di Maio è lungimirante, ecumenico ed inclusivo. La sera delle elezioni, in caso di mancato raggiungimento della soglia di autosufficienza del 40%, Di Maio ha pronta la soluzione: “il mio appello si rivolgerà ai gruppi”. In pratica, una forma di scoutingbersaniano riveduto e corretto, ma soprattutto in cui Di Maio chiederà ai neo-parlamentari degli altri gruppi di non applicare a sé quel vincolo di mandato che i grillini vorrebbero costituzionalizzare. Perché bisogna fare di necessità virtù, e i principi devono applicarsi ai nemici ed interpretarsi per gli amici.
Alla fine, la “ricetta segreta” resta quella: commissionare dei sondaggi, vedere la risposta ai quesiti, e modulare la posizione politica su quelli. Parlare alla pancia del paese, si chiama. E sappiamo bene quale è il contenuto intestinale, no? Ai prossimi sondaggi.