venerdì 26 aprile 2013 - UAAR - A ragion veduta

Dawkins, il buon giornalismo e i cavalli alati

Se la critica alla religione dà fastidio, la critica di alcune credenze religiose ne dà ancora di più. Capita che alcuni fedeli vip si vergognino un po’ delle proprie convinzioni. E che per rispondere scelgano la strada della scorrettezza o del vittimismo.

Indicativo di questo clima l’ultima querelle che riguarda Richard Dawkins. Il noto biologo ateo, molto attivo dal suo profilo Twitter sul quale non risparmia commenti pungenti, ha osato criticare Mehdi Hasan, direttore politico di Huffington Post UK e musulmano. “Ammette di credere che Maometto è volato in cielo su un cavallo alato”, scrive nel tweet Dawkins, “E il New Statesman lo considera degno di pubblicazione come giornalista serio”. Dawkins commentava così l’intervista con Hasan andata in onda lo scorso dicembre su Al Jazeera su religione ed esistenza di Dio. Hasan, che si era mostrato un giornalista tutt’altro che imparziale, interessato piuttosto a provocare Dawkins, ha parlato del confronto anche sul New Statesman.

L’uscita tranchant del biologo ha scatenato le critiche di diversi altri utenti. Una reazione che appare spropositata, visto che lo stesso Hasan ha prontamente strumentalizzato le frasi di Dawkins per passare da vittima, oggetto di razzismo, islamofobia e chi più ne ha più ne metta. Pur auspicando che il confronto sia sempre rispettoso, sosteniamo che la critica alla religione deve essere sempre libera di esprimersi, al pari delle critiche mosse dalle religioni.

Il biologo britannico ha cercato di chiarire il suo pensiero, facendo notare — e ci mancherebbe — che non contestava il diritto di espressione di Hasan: “Di certo il New Statesman è libero di pubblicare il cavallo alato di Mehdi Hasan. Non mettevo in discussione il suo diritto ma il loro giudizio”. Ai successivi attacchi e distorsioni, ha insistito: “Oh, per l’amor di Dio, non ho detto che un musulmano non può fare il giornalista. Ho messo in discussione la credibilità di un uomo che crede nei cavalli volanti”.

D’altronde il doppiopesismo, secondo cui è un tabù contestare la religione islamica mentre va benissimo farlo con altre forme di fede, è diffuso perché alimentato dal malinteso di apparire “razzisti” se si osa criticare l’islam. Dawkins ha sintetizzato questo atteggiamento con l’ennesimo tweet: “A crede nelle fate. B crede nei cavalli alati. Critica A e sei razionale. Critica B e sei un bigotto razzista islamofobo”.

Sul sito della Richard Dawkins Foundation, l’evoluzionista ha voluto mettere a confronto proprio questo doppio registro, prendendo spunto dalla storia di Arthur Conan Doyle. Il noto scrittore, dalla cui penna sono usciti personaggi razionali come l’investigatore Sherlock Holmes e il professor Challenger, si era lasciato però ingannare da alcune foto false e ha creduto quindi nell’esistenza delle fate. Sull’onda dello spiritismo ottocentesco, anche altri personaggi noti credevano nelle fate.

Dawkins accosta il credere nelle fate al credere che Maometto sia volato in paradiso su un cavallo alato, giudicandole entrambe idee “ridicole”. Secondo la tradizione islamica, il profeta ha proprio cavalcato Buraq, destriero dai poteri sovrannaturali prestato nientemeno che dall’arcangelo Gabriele, per un volo notturno dalla Mecca a Gerusalemme, per visitare l’inferno (dove i peccatori e non credenti subiscono atroci supplizi col fuoco) e raggiungere in cielo Allah, dal quale ricevere istruzioni sul modo di pregare.

Il biologo riconosce a Hasan di essere un “giornalista e redattore politico molto bravo, che scrive articoli acuti e sensati”, ma che mette in pausa le sue capacità critiche quando si tratta di credere in dogmi di fede. E il suo sarcastico commento su Twitter, così sintetico da essere considerato offensivo, vuole cogliere proprio questa discrasia. “Non posso negare che sia suonato orribilmente come un appello al New Statesman per licenziarlo”, ammette, “e non sorprende che sia stato inteso in questo modo, tanto da farne una controversa faccenda di libertà d’espressione”. “Peggio ancora, alcuni corrispondenti sono andati oltre e hanno pensato dicessi che nessun islamico dovrebbe essere assunto come giornalista, o che nessuna persona credente dovrebbe essere mai assunta come giornalista”, aggiunge. “Di certo non ho mai inteso dire alcuna di queste interpretazioni”, chiarisce Dawkins, spiegando che è il limite di caratteri di Twitter a peggiorare il fraintendimento. Si scusa e ammette: “Non posso negare che le mie parole siano state scelte in maniera superficiale”.

Non smette però di stupirsi del fatto che una persona assennata in certi campi possa credere in assurdità su altri fronti. La differenza rispetto alla fede nelle fate è che la convinzione di Hasan “nasce da un diffuso credo religioso ed è per questa ragione che viene trattata con una dose di rispetto fin troppo generosa”. Se una persona può farsi due risate e dare dello “svitato” a chi come Conan Doyle crede nelle fate, “sono guai” se si osa fare lo stesso per chi crede in un cavallo alato (o chiosa, per chi crede che l’acqua si trasformi miracolosamente in vino). Questo “diffuso doppio standard”, conclude Dawkins, è applicato “con particolare livore” anche “da chi si dichiara ateo ma si fa in quattro per ‘mettere a proprio agio’ la fede religiosa”. La differenza è che quella di Doyle non è una credenza “protetta dallo scudo del privilegio religioso”.

L’episodio è significativo del montare di un atteggiamento di ipersensibilità dettata dallo spettro della cosiddetta “islamofobia, per cui se sei ateo e osi criticare l’islam passi da razzista e intollerante. Ci giocano diversi musulmani che così evitano di doversi confrontare seriamente con l’intento di mantenere uno status di intoccabilità simile a quello garantito nei paesi teocratici, dove ogni critica viene criminalizzata e chi osa fare commenti molto meno pungenti di quelli di Dawkins finisce in prigione. Ma non è indenne anche una fetta di non credenti, gli stessi che non hanno alcun problema a criticare il cristianesimo, i dogmi della Chiesa o credenze irrazionali bislacche.

Fare giornalismo, così come fare l’idraulico, non è in contraddizione con l’avere determinate credenze. Ma ci sono casi in cui l’essere un fervente credente e ostentarlo nel lavoro condiziona a tal punto il proprio mestiere giornalistico da minare pesantemente la professionalità. È noto come questo vizio sia abbastanza diffuso anche nel nostro giornalismo, dove su testate e televisioni nazionali trovano spazio figure imbarazzanti di bigotti cattolici, che fanno scadere pesantemente la qualità dell’informazione e la pilotano ad maiorem dei gloriam. C’è da aspettarsi problemi simili quando inizieranno ad avere spazio sui giornali italiani gli integralisti islamici.

Con buona pace dell’affezionatissimo Stephen Jay Gould, capita non raramente che scienza e religione siano talvolta magisteri sovrapponibili e che la seconda debba cedere il passo alla prima. Mehdi Hasan non è un giornalista scientifico né evidentemente ambisce ad esserlo, per cui nessun problema. Essere permalosi non è certo reato. Ed è peraltro un atteggiamento diffuso, sia tra i giornalisti, sia ancor di più tra i devoti. Ma voler passare per vittime oggetto di persecuzione al solo fine di negare qualsiasi diritto di critica alla controparte, demonizzandola ad arte, significa operare una strumentalizzazione che difficilmente si accorda con la corretta informazione o la deontologia professionale.




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