mercoledì 20 settembre 2023 - Phastidio

Da SuperBonus a SuperMalus con la piena di debito

Il debito potenziale del Superbonus continua a gonfiarsi, prima di esondare sui conti pubblici nel peggior momento possibile. Un prodotto tipico del pensiero magico italiano.

Domenica 2 settembre è arrivato lo strillo del Corriere: “Superbonus fuori controllo, la spesa sfiora i 100 miliardi – I timori del governo sui conti“. Articolo che segue il grido di dolore della premier, che ha parlato della misura come della “più grande truffa ai danni dello Stato”, con la recente scoperta, comunicata all’esecutivo dall’Agenzia delle Entrate, che i crediti edilizi fittizi ammonterebbero, a fine agosto, a 12,8 miliardi. Dato che, se confermato, richiederebbe una delle famose commissioni parlamentari d’inchiesta che tanto piacciono alla nostra politica quando si tratta di regolare i conti con una ex maggioranza. Il problema col Superbonus, come stiamo per vedere, è che la maggioranza di sostenitori del Superbonus è vastissima e trasversale.

IL BUBBONE S’INGROSSA

Come scrive Mario Sensini, in soli cinque mesi, dalla fine di marzo ad agosto,

I crediti legati ai bonus edilizi che sono stati ceduti o scontati dalle imprese in fattura sono cresciuti da 110 a 146 miliardi di euro. Di questi, solo 23 sono stati già compensati, portandoli a riduzione delle tasse dovute. Gli altri 123 miliardi, che possono essere scontati in un quadriennio, sono in gran parte alla vana ricerca di un compratore. Al conto vanno aggiunti i crediti che i titolari portano direttamente in detrazione dalle imposte, si stima un’altra ventina di miliardi.

I numeri raggelano: il bonus facciate, introdotto nel 2020 con agevolazione al 90%, doveva costare 5,9 miliardi ma il suo cartellino del prezzo è arrivato a 26. Il Superbonus doveva essere rigorosamente circoscritto nel tempo e ad un costo di 35 miliardi ma la sua reiterazione pluriennale lo ha sin qui portato a 93 miliardi di crediti ceduti, fotografati a fine agosto.

A ottobre dello scorso anno l’esborso per il Superbonus era stimato a 61 miliardi, alzato questa primavera a 67. Ora si scopre che serviranno almeno una trentina di miliardi in più, perché quella che viene definita la piena dei vecchi bonus non è ancora passata. Solo per le ristrutturazioni deliberate da febbraio il governo Meloni, dopo la presa di posizione di Eurostat sulla contabilizzazione dei bonus, ha deciso di vietare cessione e sconto in fattura.

“NON CAUSA DEBITO” MA UCCIDE I NEURONI

Ricorderete all’epoca gli strepiti dei difensori del Superbonus d’oro in fondo all’arcobaleno, scanditi dalla surreale e ossessiva reiterazione della frase “il Superbonus non causa debito!” Una manifestazione di devastante ignoranza e/o di cinismo politico. In realtà, Eurostat ha precisato che i crediti d’imposta edilizi non diventavano immediatamente debito ma, costruiti a quel modo, costituivano deficit immediato. Non sarebbe difficile da capire eppure siamo riusciti a leggere cose del tipo “Eurostat esclude che il Superbonus impatti sul debito”.

Al termine del percorso di cessione, i crediti d’imposta si compensano con i debiti d’imposta e il gettito netto per lo Stato scende, generando buchi di cassa che vanno coperti. Ogni anno, per alcuni anni, bisognerà “prenotare” risorse aggiuntive destinate ad accogliere i crediti da bonus edilizi che arrivano al capolinea. Per dare la misura: una cinquantina di miliardi di buco imprevisto, spalmati su un triennio, necessitano di un fabbisogno aggiuntivo annuo di circa l’1% del Pil. Una agognata rata di PNRR.

Da qui le sconsolate considerazioni del ministro dell’Economia e Finanze, Giancarlo Giorgetti, secondo cui il Superbonus “ingessa il bilancio pubblico lasciando margini ridotti agli altri interventi e ha provocato un pernicioso effetto spiazzamento sugli investimenti pubblici anche del Pnrr”, nel senso che impegna le imprese su altro.

Questo eclatante scostamento tra previsioni e realtà sullo stock di crediti ceduti, implica che “qualcuno” ha clamorosamente sbagliato le previsioni. Quel “qualcuno” è la Ragioneria Generale dello Stato, e questa è una sciagura nella sciagura. Perché se la RGS finisse nel mirino della politica, le conseguenze sarebbero comunque potenzialmente disastrose.

ARRIVA IL DEBITO, NEL MOMENTO PEGGIORE

Il nuovo iceberg di debito si forma nel momento peggiore, cioè con i tassi ai massimi da lustri a questa parte. Se a questa situazione sommiamo il rischio recessivo, cioè di una crescita del Pil nominale inferiore al costo medio dello stock di debito (l’effetto “palla di neve“, che per l’Italia tende ad avvenire anche lontano dalle recessioni), ecco che abbiamo un mix micidiale per lo spread e per il paese. In sostanza, l’Italia corre il rischio di aprire il 2024 con un deficit contenuto ma di assistere alla successiva lievitazione del debito. Ne ho parlato nel podcast di sabato ma è opportuno ribadire il concetto e ampliare l’analisi.

Con buona pace di tutti gli scienziati che hanno difeso il Superbonus come misura di puro keynesismo per affrontare il Covid ma andare anche oltre, mettendo una enorme carica di dinamite sotto i conti dello stato.

Che fare, quindi? Ad oggi, di questi 146 miliardi di crediti d’imposta accertati per bonus edilizi, solo 23 miliardi sono stati compensati, trasformandosi in minori tasse. Il governo sarà costretto a cercare di calciare il debito potenziale più in là, per declassare l’uragano a tempesta. Che tuttavia arriverà, costringendo ad alzare il profilo temporale dell’indebitamento. Nel frattempo, imprese e professionisti rischiano di saltare per inesigibilità di quei crediti.

Quindi, delle due l’una: o un’impennata di nuovo debito, che si può solo tentare di spalmare nel tempo (con effetti collaterali non lievi per i creditori cessionari), oppure un fortissimo impatto sociale ed economico in caso i crediti, per qualsivoglia motivo, non si potessero compensare entro il quadriennio previsto.

UNA MISURA FIGLIA DELLA CULTURA DEL PAESE

Eppure il Superbonus ha goduto di una enorme popolarità trasversale agli schieramenti politici, imprenditoriali e mediatici italiani. Abbiamo letto “analisi” in cui il moto perpetuo dominava, scritte da soggetti in palese conflitto d’interesse. O da gente che, per dolo o ignoranza, scambia il valore della produzione per il valore aggiunto; che somma gli incassi Iva di tutte le fasi della catena, ignorando che l’Iva si compensa “giù per li rami” sin quando arriva a colpire il consumatore finale. E che mette queste entrate dopate al numeratore, per illudersi di sovrastare il Pil al denominatore.

Non so se, come scrive Luciano Capone, questo sostanziale unanimismo (a parte quattro gatti, tra cui chi scrive) sia frutto del fallimento della democrazia italiana. A me pare soprattutto il trionfo del pensiero magico, del rifiuto di accettare l’esistenza dei vincoli di realtà, dell’ostinazione di credere che il moto perpetuo esista e che le leggi della termodinamica siano un complotto anti-italiano. Avendo in odio ancestrale il concetto di tradeoff, non intendiamo comprendere che, per ristrutturare gratuitamente case, villette e condomini di gente che potrebbe pagarsi il costo, tra non molto potremmo scoprire che ci siamo pressoché fottuti il servizio sanitario nazionale. Ad esempio.

Che questa dirompente ignoranza sia oggettivamente una minaccia per la democrazia, nel senso che quando arriva la catastrofe economica si diventa tutti (o quasi) meno sensibili a pesi, contrappesi e garanzie, è verosimile o più propriamente vero.

Mettiamola così: col Superbonus abbiamo scritto un capitolo del libro di storia di questo paese. Che poi si tratti dell’ennesima storia di fallimento e autolesionismo, è altro discorso.




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