giovedì 10 febbraio 2022 - La bottega del Barbieri

Da Facebook a Meta: la guerra sui tuoi dati non la combatti tu

Anche se non ci sono i buoni in questa vicenda del crollo di Meta-Facebook in borsa, il piacere sottile di uno stop a Facebook/Meta è incondizionato. Business è e business rimane, ma la causa dei problemi di Zuckerberg, la Apple, dopo anni di dominio incontrollato di facebook sui dati degli utenti ha introdotto un bastone d’acciaio nell’oleato meccanismo di rapina dei dati personali. 

Apple ha inserito nel suo iPhone un comando in cui è l’utente a decidere se vuole o meno essere tracciato da Facebook. Da quando Apple ha introdotto la funzione, la stragrande maggioranza degli utenti di iPhone ha deciso di bloccare il monitoraggio. Solo il 24% degli utenti di iPhone in tutto il mondo ha acconsentito a essere tracciato dagli inserzionisti.

Risultato: I prezzi delle azioni di Meta sono crollati, la perdita ha toccato il 26%. La guerra con Apple è soltanto l’inizio dei problemi per Fb/Meta in quanto si affianca alle nuove normative europee sulla privacy, formando una nuova tendenza che porta alla fine del monopolio sui dati che alimentano il mercato pubblicitario di questi ultimi venti anni. La notizia in realtà è che Meta non può più fare tutto ciò che vuole con i dati degli utenti come è stato fin qui. E per correre ai ripari dopo aver perso la guerra con Apple, ora sta tentando di spaventare i piccoli investitori pubblicitari aumentando i prezzi e dando la colpa ad Apple, la cui politica, dice Meta, impedisce alle piccole imprese di raggiungere nuovi clienti con la pubblicità che prima era assicurata dall’impossibilità per l’utente di scegliere.

Gli analisti di Meta sostengono che da quando Apple ha introdotto questa funzione la società ha perso 10 miliardi di dollari. Per gli esperti di marketing conoscere i dati degli utenti per indirizzare gli annunci e misurarne l’efficacia è diventato sinonimo di una schedatura di massa dell’utenza mondiale, su cui poggia l’intero assetto pubblicitario. Come abbiamo detto non ci sono buoni in questa vicenda, perchè a beneficiare di questo scontro sembra essere Google, l’altro colosso digitale che vive intorno ai dati dei suoi utenti, o almeno a beneficiare delle modifiche alla privacy degli utenti introdotte da Apple. Il piano di Google di eliminare i cookie entro la fine del prossimo anno rappresenta un altro cambiamento potenzialmente enorme per la pubblicità digitale: non è chiaro se il nuovo metodo preserverà la privacy degli utenti o sarà maggiormente sbilanciato in favore degli inserzionisti, che nei piani di Google – pure pressata dalle nuove normative europee in materia di privacy – potranno rivolgersi a gruppi di utenti anziché a singoli individui.

Di certo la pagina che si sta scrivendo in questi giorni è destinata a mutare per i prossimi anni i meccanismi di raccolta pubblicitaria. Colpisce come una materia così importante non sia oggetto di alcuna discussione politica e nemmeno fra gli utenti digitali siano molto dibattute normative che diventano la proiezione contemporanea delle Costituzioni degli Stati. La pubblicità sui social e il posizionamento sui motori di ricerca costituiscono il modello attuale di business per buona parte del giornalismo, tanto per fare un esempio di come raccolta pubblicitaria e spazi democratici siano due argomenti che marciano paralleli.

Va dato atto alla tanto bistrattata Unione Europea di aver contribuito enormemente in questi anni al formarsi di una coscienza critica del consumatore digitale, ponendo paletti sempre più precisi al tracciamento dei dati dei cittadini europei. Alla fine questi paletti sono stati adottati anche dagli altri mercati meno attenti alla privacy, grazie allo scandalo Cambridge Analytica, che come ha rivelato il Wall Street Journal ha visto interi partiti politici mutare le loro politiche in risposta ai cambiamenti nell’algoritmo dei feed di notizie che privilegiava contenuti più polarizzanti.

Siamo di fronte a un momento in cui i cambiamenti che verranno sono destinati a riscrivere il conflitto fra l’invio di pubblicità mirate e la privacy degli utenti. Non si tratta di una discussione tecnica, come potrebbe sembrare e come viene presentata dall’ignoranza dei media italiani, fermi a modelli d’impresa “primitiv”i rispetto al digitale. E non si tratta semplicemente dell’andamento in Borsa della società in posizione di predominio sul mercato pubblicitario. A rischio non c’è l’utilizzo indiscriminato delle tue foto e dei tuoi picnic, di cui non importa nulla a nessuno se non per ciò che consumi in quelle foto, dal cibo al vestiario agli accessori. In gioco c’è la libertà della comunicazione, in cui il conflitto non è fra la tua libertà o meno di scrivere quel che pensi e la possibilità d’impedirtelo di Meta, ma il tipo di aggressione pubblicitaria intorno a quel che comunichi, ovvero il costo della libertà per esprimere il tuo pensiero. E se a questo i “padri costituenti” non avevano ovviamente pensato, siamo però comunque di fronte alla nuova frontiera della democrazia.




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