martedì 7 agosto 2018 - Antonio Moscato

Cuba tra nuovi problemi e vecchi rimedi

La novità principale dell’ultima sessione plenaria della Assemblea Nazionale del Poder Popular (il parlamento) è stata la trasmissione integrale del dibattito per televisione. I 605 deputati avevano ricevuto una copia del progetto di nuova Costituzione elaborato da una commissione di 33 membri presieduta da Raúl Castro, che continua a essere il capo del partito, e che in un paio di mesi ha effettuato ritocchi alla precedente versione, allo scopo di renderla “adeguata alla nuova realtà nazionale, e a possibili cambiamenti futuri”, come ha dichiarato il nuovo presidente, Miguel Díaz Canel.

 

Ma per il momento le novità sono poche ed erano già state introdotte di fatto molto gradualmente negli ultimi sette anni. Tra esse, inarrestabile, l’ampliamento del settore privato, che aveva già in molti casi allargato la sua incidenza nell’economia, approfittando della riduzione degli ostacoli ai viaggi all’estero e alla compravendita di case e auto, e alla tolleranza rispetto a investitori esteri. Le possibili resistenze di settori più conservatori ottengono una garanzia supplementare che assicura la continuità: il ruolo del partito comunista come “forza dirigente superiore della società e dello Stato” è confermato, e il suo primo segretario (cioè Raúl Castro) rimane la massima autorità del paese in ogni campo, compresa la difesa.

Per questo appare abbastanza propagandistica la fase di consultazione popolare proposta per i prossimi mesi, che è stata anticipata da una discussione del tutto irreggimentata nel Parlamento, in cui uno dopo l’altro molti deputati hanno proposto modifiche del tutto formali, in genere non accolte, o accettate in parte con sufficienza dal segretario del Consiglio di Stato Homero Acosta, senza una vera discussione. Solo una deputata ha insistito nel chiedere una votazione sulla sua proposta (una modifica abbastanza marginale alla formulazione che riconosce l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge), ma senza ottenere che qualche altro deputato appoggiasse la sua proposta. In qualche altro caso, soprattutto sui limiti all’arricchimento personale, sulle riforme da apportare agli organi locali, o sulla creazione di un Primo Ministro, si è avuto qualche accenno di dibattito, ma regolarmente concluso con l’accettazione delle osservazioni di Acosta o di qualche altro membro della commissione che aveva preparato il progetto, senza che venisse registrata la modesta divergenza. Un altro dei segnali di continuità viene dal fatto che il nuovo progetto di Costituzione non era stato ancora diffuso alla cittadinanza, rendendo ancor meno interessante la trasmissione televisiva di questo surrogato di dibattito.

Tuttavia, a parte l’approvazione del matrimonio egualitario (riconosciuto esplicitamente nel progetto) e l’utopistico accenno a un possibile pluripartitismo, contraddetto nello stesso progetto dalla riaffermazione del monopolio politico del Partito comunista, le novità sono poche e per giunta non affrontano il problema delle differenziazioni sociali crescenti: la disuguaglianza aumenta a passi da gigante. Non esistono statistiche ufficiali, ma uno studio condotto dall’università dell’Avana ha rivelato che circa l’85% dei conti bancari appartengono al 13% della popolazione, e che la differenza tra i salari più bassi e quelli più alti nella capitale è oggi di 1 a 30, mentre nel 1989 era di 1 a 4.

Per rispondere alle preoccupazioni espresse da parecchi interventi a questo proposito, il segretario del Consiglio di Stato Homero Acosta ha assicurato che la concentrazione della ricchezza in poche mani non è un problema grave e paragonabile alla concentrazione della proprietà, che è “il grande nemico che dobbiamo fronteggiare”. “Se non c’è concentrazione della proprietà non c’è margine per lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo”, ha aggiunto con una buona dose di ottimismo. Vedremo come proseguirà il dibattito nelle migliaia di assemblee organizzate in tutto il paese, sotto la guida dell’apparato burocratico che fa capo al Consiglio di Stato almeno fino alla prossima sessione dell’Assemblea Nazionale, già prevista per dicembre.

Lo stesso corrispondente da Cuba per l’uruguayano “Brecha”, Amaury Valdivia, da cui ho tratto gran parte dei dati, ha segnalato negli stessi giorni un dato inquietante: un imprevisto cambio della direzione dell’associazione dei giornalisti (UPEC) preceduta dalla chiusura del blog Cartas desde Cuba (Lettere da Cuba) curato dal 2007 dal giornalista uruguayano di sinistra Fernando Ravsberg, che vive a Cuba da quasi trent’anni, sposato a una cubana da cui ha avuto due figli, ovviamente cubani. All’inizio del 2018 il quotidiano di cui Ravsberg era corrispondente aveva inspiegabilmente revocato l’incarico, pur dichiarandosi disposto a pubblicare articoli dell’ex corrispondente fisso, che comunque collaborava con vari altri giornali.

Ma quando Ravsberg ha chiesto di essere accreditato come corrispondente di due pubblicazioni europee, il Centro de Prensa Internacional (l’ente ufficiale cubano incaricato di accettare le richieste di giornalisti stranieri) non ha formalmente rifiutato la domanda ma l’ha rinviata facendo capire che le possibilità di una risposta positiva risultavano perlomeno scarse. Logico pensare che il cambio della guardia all’UPEC sia collegato al tentativo di chiudere una voce critica. D’altra parte nel frattempo è stata annullata la connessione a internet della sua abitazione, che ovviamente ha determinato la chiusura del blog.

A questo proposito rinvio al dettagliato articolo di Valdivia su https://brecha.com.uy/shakespeare-reinterpretado/ che fa anche una comparazione del tutto negativa sul comportamento intollerante del “giovane” presidente Díaz Canel con quella relativamente più aperta di Raúl Castro almeno in un passato recente.

Ma ci ritorneremo: Cuba ha retto a prove durissime anche perché è riuscita a mantenere un rapporto di collaborazione con intellettuali critici ma non ostili, evitando di diventare una brutta copia dell’URSS o della Bulgaria. Se reagisse irrigidendo la censura e la selezione delle persone più o meno “affidabili”, lungi dal rafforzarsi Cuba renderebbe più difficile la solidarietà internazionalista, tanto più necessaria in un periodo in cui il contesto dello schieramento “progressista” in un continente minacciato dal revanscismo di Trump crea nuovi problemi, non certo compensati dalla vittoria di AMLO in Messico.

(a.m.)




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