martedì 19 luglio 2016 - Antonella Policastrese

Crotone e il racconto delle Fate Ignoranti

Dopo circa quindici anni dall’inclusione dell’area deindustrializzata di Crotone nell’elenco dei siti soggetti a bonifica, secondo un decreto ministeriale del 2002, la sky-line di quella zona appare trasformata e in lenta evoluzione.

Ma è vero anche che la bonifica, per come la si è intesa (o fraintesa) all’indomani dalla entrata in vigore di quel decreto, rimane e addirittura si rafforza come miraggio occupazionale e ipotesi di sviluppo economico del territorio. Frattanto che degli operai invisibili buttano giù capannoni e impianti arrugginiti; spianano piazzali e stendono ciminiere. In sostanza l’operazione di smantellamento dell’ex area industriale di Crotone procede alacremente. Un enorme braccio meccanico, in questi giorni, sta demolendo una ciminiera a imbuto, pezzo dopo pezzo. In pochi giorni , circa un anno addietro, è stata appiattita nella polvere una enorme struttura ad arco che, se riutilizzata, avrebbe potuto contenere due campi di calcio completamente coperti.

Per non parlare della operazione di recupero dei materiali ferrosi che di solito implicano dei ricavi se venduti alle fonderie. In altre parole, la bonifica è uno dei tanti treni che stanno passando da queste parti e di essa rimarrà la fase più difficile, onerosa e praticamente impossibile da realizzare alla perfezione: la decontaminazione dei terreni e delle falde acquifere. Dovranno intervenire ditte altamente specializzate; ci vorrà tempo e denaro, tanto denaro, a fronte di ricadute economiche per la città pressoché inesistenti, almeno nella fase di attuazione, Dopo, soltanto dopo, Crotone avrà restituiti quei suoi duemila ettari di terra, tra porto e campagna, che hanno ospitato il suo passato industriale. Ci sarà da decidere come riutilizzarli, ma non è difficile prevedere che, quand’anche ci vorranno altri venti anni per vedere quel giorno, in quei luoghi si riverserà una alluvione di cemento mai vista prima, nonostante uno dei grandi problemi di quella zona che va dal “Papaniciaro” a “Passo vecchio” sia la mole enorme di volumi sottoutilizzati e addirittura inutilizzati, tra capannoni e costruzioni; tra officine e impianti industriali dimessi, tra i quali spicca l’ex “Cellulosa calabra”.

Un consumo del territorio smodato che è andato avanti per anni, la cui destinazione d’uso attuale più congrua, sembra essere quella dell’ospitalità per migranti. E dunque, anche, soprattutto, la bonifica è un esempio eclatante di narrazione sbagliata, includendovi quel capitolo a parte che riguarda la riesumazione della cosiddetta “Antica Krtoton”. Quindici anni vissuti inutilmente, durante i quali si è totalmente ignorata la bellezza di alcune strutture industriali che qui giacevano morenti eppure decisamente artistiche, interessanti, ardite e particolari. Non è accaduto a Crotone ciò che avvenne per le aree industriali dimesse del nord dove si cercò, trovandole, valide alternative alla demolizione di alcune strutture industriali, comprendendo l’importanza storica, culturale e artistica di certe costruzioni.

Il territorio italiano è costellato di esempi in tal senso: dal “Lingotto” di Torino al “Villaggio di Crespi d’Adda” attualmente protetto dall’Unesco; passando per l’area industriale della “Bovisa”, a Milano, che ha lasciato in eredità le proprie strutture al Politecnico. E se proprio si fosse voluto e saputo prevedere un riutilizzo futuro dell’area industriale di Crotone per destinazione residenziale; l’esempio poteva essere l’ex zuccherificio di Cecina. Ma qui nessuno ha mai pensato di chiamare i grandi architetti che avrebbero potuto trasformare in opportunità la grande calamità che si era abbattuta sulla ex “Milano del Sud”. La storia di una grande realtà al suo crepuscolo, lasciava il posto alla infinita narrazione di fiabesche vicende, come avveniva davanti al focolare nelle buie notti d’inverno. Però adesso è troppo tardi, chi doveva smantellare l’ex area industriale di Crotone, lo sta facendo, ed ha quasi finito, poi rimarrà un deserto contaminato e nulla di più.

C’è da sperare che la grande narrazione che dura da un quarto di secolo (la deindustrializzazione prima e la bonifica successivamente) abbia fine anche essa; ma sarà difficile per chiunque; qui manca la materia prima: le idee.




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