sabato 2 maggio 2020 - SerFiss

Covid-19 e Lavoro | Primo Maggio, su coraggio

Anche la Festa dei Lavoratori, come la Pasqua ed il XXV aprile, cade sotto la mannaia del coronavirus. Temo però in questo caso che la mannaia non abbia infierito solo sui cortei, ma sull'essenza stessa della festa: il lavoro.

Se già prima della pandemia il termine stava diventando desueto ed antico, con il ritorno alla normalità potrebbe scomparire del tutto. Anche nei dcpm del Governo Conte il lavoro è sempre appendice di investimenti finalizzati ad altri scopi: liquidità e sostegno ad aziende, PMI, artigiani e professionisti, ad esempio, ma mai vero protagonista.
Gli interventi a favore dei lavoratori sono surrogati di retribuzione, come la cassa integrazione in deroga. Necessaria e indispensabile la retribuzione, certo, ma questa non è l'unico elemento che forgia il lavoratore. Ricordo in pomeriggio in cui mio padre tornò a casa dal suo ultimo giorno di lavoro. Io, ancora ragazzo, mi attendevo feste e giubilo per l'arrivato pensionamento ed invece miopadre entrò in casa senza dire una parola ed andò a sedersi sul letto, piangendo come un bambino. Non era finito solo il suo lavoro, si era portato via con sè una parte importante della sua vita.

Anche le altre forme di sussidio alla persona già introdotte o ancora in fase di studio sono finalizzate alla distribuzione di denaro e non di attività lavorativa. A mio avviso ad una nuova minaccia si dovrebbe rispondere con armi nuove e non le vecchie balestre. Durante la crisi del 1929 il Governo Roosevelt tempò di porre rimedio al malessere diffuso non solo aprendo mense sociali, ma inventando nuovi lavori, come ad esempio le guardie ambientali antincendio. Furono innalzate torri di vedetta nei boschi e nelle riserve dove i lavoratori a turno, 24 ore su 24, monitoravano lo spazio circostante armati di radio e binocolo alla ricerca del fil di fumo. Lavoro federale e non privato, socialmente utile ed autofinanziato dal risparmio dei minori spegnimenti. Certo, non lenì il problema, ma era la direzione giusta.

La sensazione che molti provano e che il lockdown servirà come scusa per la chiusura di molte attività produttive. Finanziando settori produttivi che per vari motivi (delocalizzazione, diminuzione della mano d'opera, avvento delle nuove tecnologie ed altro) già scarseggiano di nuove assunzioni significa perdita di risorse destinate all'occupazione, che potrebbero essere destinate invece a nuove professioni rivolte al futuro.

Il ritorno alla normalità non sarà il ritorno al passato ma ad un nuovo modo di vivere, che cambierà non solo negli aspetti più personali ed intimi (a quando il primo abbraccio?) ma anche in quelli sociali e collettivi come la sanità, la scuola, il mondo del lavoro.

Primo maggio? Su, coraggio.




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