giovedì 30 giugno 2022 - Pino Mario De Stefano

Cosa è davvero in gioco oggi?

I "filosofi consiglieri", per definizione, hanno fretta: pensano di contribuire alla riforma dello Stato, ma vogliono farlo nel minor tempo possibile. Quindi, dal momento che in quanto filosofi non sono dotati di eccezionale pazienza politica, i "filosofi consiglieri" tendono a rivolgersi di preferenza ai tiranni, piuttosto che a un leader democratico. 

In effetti, tutti i filosofi che hanno preteso di intervenire e agire nel "presente politico", o influire sulla politica corrente, sono stati, in ogni epoca, attratti dalla tirannide.

Penso che non ci sia niente che ci aiuti meglio a contestualizzare il curioso moltiplicarsi di filosofi consiglieri, nella presente fase drammatica e decisiva della storia europea, delle riflessioni del grande Alexandre Kojève, riportate sopra. Non c'è parimenti niente di meglio e di più puntuale, che spieghi anche l'effettivo schierarsi di tanti "filosofi" consiglieri, dalla parte di governanti autoritari o dittatoriali, magari con il dichiarato proposito di "comprendere" le ragioni dell'altro, attraverso un ambiguo "dialogo". 

Come se il filosofo fosse una specie di terapista dei conflitti di coppia, o come se la politica, interna o internazionale, invece che un complesso equilibrio di forze, fosse una questione di mediazione familiare!

Dal momento che questi propositi di riforme politiche, da parte dei filosofi, spesso falliscono, di solito si tende a scaricare tali fallimenti sulla volontà e responsabilità dei tiranni o degli uomini di Stato in generale.

Tuttavia, se possiamo dar credito alla storia dei ripetuti viaggi di Platone a Siracusa, fatti proprio con lo scopo di spingere Dionisio I e Dionisio II alle riforme politiche, potremmo anche fare qualche ipotesi diversa sui ripetuti fallimenti del filosofo Platone nella politica concreta.

Infatti, come suggerisce Kojève, se Platone ritornò a Siracusa nonostante il proprio fallimento, potremmo anche pensare che in Platone fosse sorto il dubbio che la responsabilità dei fallimenti potesse anche essere sua. E cioè che, al di là della responsabilità dei governanti di Siracusa, qualcosa non aveva funzionato nel ruolo che egli, come filosofo, aveva voluto assumere. Fino a rendersi conto, alla fine, che il suo ruolo specifico come filosofo avrebbe dovuto essere di altro genere. Il che poi è testimoniato anche dal seguito della sua opera.

In realtà, sottolinea Alexandre Kojève (Il silenzio della tirannide), il tiranno, e ancor più un governante non "tirannico", hanno e avranno sempre delle buone ragioni per non applicare i consigli dei filosofi.

Quali ragioni? 

L'uomo di Stato, a dire il vero, chiunque egli sia, non può materialmente seguire consigli "utopistici": dovendo agire egli nel presente, non può prendere in considerazione le idee prive di un legame diretto con una situazione concreta data.

Del resto, se volesse mantenere un legame effettivo con la situazione politica data, il filosofo dovrebbe poter seguire gli affari correnti dedicandovi tutto il proprio tempo. Il che comporterebbe però l'abbandono di quella ricerca mai esauribile della verità, e di quell'investigazione del senso profondo della storia, in cui consiste il suo compio specifico di filosofo.

È quello che, del resto, pensava Hegel, annotando con un po' di ironia: quando la filosofia dipinge il grigio sul grigio, una forma di vita è invecchiata e non si lascia ringiovanire dal grigio sul grigio: si lascia solo conoscere. La nottola di Minerva prende il volo solo al crepuscolo.

Il ruolo e l'impegno del "filosofo" dovrebbero tradursi perciò essenzialmente nel conoscere e capire il senso di ciò che avviene o è avvenuto, tentando di individuare e rispondere alle grandi domande e questioni che emergono dalle pieghe del tempo e della storia. 

Perciò non abbiamo bisogno di filosofi che pretendano di dare consigli agli uomini di Stato. I filosofi sono appunto solo "filo-sofi", umili e infaticabili ricercatori della saggezza; i filosofi non sono saggi, dispensatori di consigli e segreti della vita. 

Di saggi, cel resto, la storia del mondo è molto avara, nota giustamente Kojève: è quasi impossibile trovarli anche a cercarli con il lanternino.

Se i filo-sofi vogliono fare il loro mestiere, possono solo, sempre di nuovo, e senza nessuna pretesa di offrire soluzioni, cercare qualche orizzonte di senso, che accompagni, rischiarandolo in parte, il tortuoso cammino, spesso solo pragmatistico, delle vicende e azioni umane.

Infatti, senza rendersi conto della presenza di problemi di fondo, senza conoscere e capire il senso e la direzione di ciò che avviene sotto i nostri occhi, è pressoché impossibile riconoscere che cosa è in gioco, nei vari momenti della vicenda umana, individuale e collettiva, ed è altrettanto impossibile rispondere all'appello che i tempi rivolgono a ciascuno di noi.

 Ebbene, cosa è davvero in gioco oggi? 

Credo, prima di tutto l'Europa. L'Europa come realtà e come idea.

L'Europa, piattaforma mobile e autopoietica, di sperimentazione dell’umano, la cui intera storia, pur con tutte le sue contraddizioni, è stata ed è un dispositivo generatore di senso.

Forse per questo, l'Europa, è stata e rimane, con tutta evidenza, polo di attrazione per popoli e individui.

Per questo l'esistenza stessa dell'Europa, come realtà culturale e politica, e come serbatoio di memoria storica, destabilizza, non da oggi, le fondamenta di potenze e forme statali autoritarie e illiberali, che recentemente tentano con varie modalità di disgregarla, frammentarla e interrompere il suo percorso e processo formativo.

È abbastanza comprensibile che l’Europa, luogo di coltura naturale, e plurale, della democrazia e delle libertà personali e individuali, faccia paura a molti: sia a potenze grandi o piccole all’esterno, sia a forze e movimenti all’interno della stessa area europea.

È, infatti, evidente che, oggi, sia la democrazia che le libertà individuali e personali sono sotto attacco, da parte di potenze statali e forze di varia natura e ispirazione, per le quali la democrazia e le libertà individuali sono opzioni non necessarie o addirittura superate, come viene sostenuto e teorizzato, oggi apertamente, anche su organi di informazione ufficiali delle grandi potenze illiberali.

E, non è inutile, qui, notare che il numero di paesi non democratici, autoritari o dittatoriali nel mondo, è più alto di quello dei paesi dove vige un ordine liberale, o liberal-democratico.

Ecco forse i filosofi dovrebbero aiutarci a "pensare" tutto questo, a capire gli attuali movimenti delle onde sismiche e delle placche tettoniche della storia, come le chiama Michel Serres.

Perché un fatto, oggi, è abbastanza certo. Proiettati sul fare, scontiamo a tutti i livelli, nonostante le apparenze, un diffuso deficit di conoscenza e di interpretazione del mondo, dei suoi movimenti e del suo senso di marcia. 




Lasciare un commento