venerdì 19 ottobre 2012 - Antonio Moscato

Cosa cambia a Cuba

Avevo già osservato - anche discutendo con cubani che si lamentavano per la legislazione che rendeva difficile ai più i viaggi all’estero - che la difficoltà maggiore derivava dal fatto di essere un paese del cosiddetto “Terzo Mondo”: più che dagli ostacoli frapposti dalla burocrazia locale, in un paese europeo come l’Italia i cubani (meglio dire “le cubane”) potevano entrare solo se c’era un invito, e qualcuno che pagava il viaggio e il mantenimento. I divieti potevano riguardare soprattutto, e quasi esclusivamente, i “dissidenti”, cioè una percentuale minima della popolazione. Tuttavia, i cubani ci tenevano molto ad ottenere questo diritto formale, che appariva loro limitato solo dall’arbitrio dei loro governanti.

Ora saranno soddisfatti: Raúl Castro ha annunciato che d’ora in poi non ci saranno ostacoli ai viaggi all’estero. Vediamo in concreto cosa è stato deciso:

“Nel quadro del lavoro che si sta realizzando per migliorare la politica migratoria attualmente vigente, adeguandola alle condizioni del presente e del futuro prevedibile, il Governo cubano, nell’esercizio della sua sovranità, ha deciso di eliminare il meccanismo della richiesta del Permesso di Uscita per i viaggi all’estero, rendendo non necessaria una Lettera di Invito. Quindi, a partire dal 14 gennaio 2013 si richiederà solo la presentazione del passaporto in vigore attualizzato e del visto per il paese di destinazione, se richiesto”.

In realtà la condizione del visto non è trascurabile: solo in pochi paesi non è richiesto. Ad esempio in America Latina solo in Ecuador, paese di fortissima emigrazione. Nell’Europa premiata con il Nobel per la pace, sappiamo bene come vengono accolti gli immigrati provenienti dall’esterno della comunità, e a volte anche degli europei dei paesi più poveri o di certe etnie discriminate.

Ma c’è dell’altro. Non tutti a Cuba hanno già un passaporto, e chi ce l’ha dovrà “attualizzarlo”. Infatti “avranno diritto al passaporto i cittadini cubani che abbiano tutti requisiti stabiliti dalla Legge di Emigrazione, che è stata a sua volta attualizzata in accordo con le decisioni prese ed entrerà in vigore novanta giorni dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale”.

Per giunta “i titolari di passaporti vigenti, concessi prima dell’entrata in vigore di questa decisione, dovranno sollecitare la sua attualizzazione senza nessuna spesa”. Ma il problema maggiore non è la spesa, è che non si sa in che cosa consisterà esattamente la sua “attualizzazione”. Di “attualizzazione della politica migratoria” parla il comunicato poco dopo, precisando che deve “tenere in conto il diritto dello Stato rivoluzionario di difendersi dai piani di ingerenza e sovversione del governo nordamericano e dei suoi alleati. Per questo motivo si manterranno le misure per preservare il capitale umano creato dalla rivoluzione dal furto di talenti da parte dei potenti”.

Questo, in parole povere, significa che il passaporto (e quindi il diritto di uscire dal paese) può essere negato a scienzati, medici, ingegneri e altri tecnici, oltre che a militari. Esclusi anche i responsabili civili, chi ha obblighi statali, chi deve ancora svolgere il servizio militare o ha carichi pendenti con la Giustizia. Più in generale, dice il decreto, "la forza di lavoro qualificata per lo sviluppo economico, sociale e tecnico-scientifico del Paese" resta esclusa dalle nuove norme. Insomma non sono molti quelli che ne beneficeranno, anche per il costo dei biglietti aerei, e tenuto conto che i visti nei paesi europei o anche americani, possono essere negati più facilmente alla manodopera non qualificata.

In cambio, e questo è bene, la durata della permanenza all’estero è ammessa per due anni rinnovabili e non più solo per 11 mesi, come era attualmente, e con il rischio della perdita della cittadinanza e dei beni posseduti nell’isola in caso di mancato rientro alla scadenza. Ma anche questa è una mezza novità: di fatto era possibile prorogare la permanenza per impegni di lavoro, come ho verificato nel caso di artisti con un contratto di lavoro all’estero, ad esempio. E molti cubani – evidentemente in buoni rapporti con il regime e la sua Seguridad – potevano fermarsi all’estero per periodi ben più lunghi, senza perdere nessun diritto.

Questa misura, insomma, come quasi tutte quelle annunciate da Raúl Castro negli ultimi tempi, si presta a interpretazioni ottimistiche e viene presentata all’estero come un segnale di svolta radicale, ma in definitiva riguarderà una cerchia piuttosto limitata di persone, che avranno potuto in qualche modo (difficilmente legittimo) procurarsi i dollari necessari per pagare il biglietto ed avranno in qualche paese una sponda che – senza che si chiami formalmente Lettera di invito – fornisca loro le garanzie necessarie per poter ottenere un visto di ingresso.

Una cerchia limitata e già privilegiata, in attesa di una ulteriore legittimazione, come quella che ha potuto beneficiare dell’eliminazione delle norme restrittive che impedivano l’acquisto di computer, automobili e case. E gli altri cubani?




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