martedì 17 maggio 2022 - Armando Michel Patacchiola

Cosa c’è veramente dietro al veto alla Nato a Finlandia e Svezia da parte di Erdogan

C'è di mezzo la questione curda, ma anche questioni militari come i caccia F35, gli F-16, la crisi economica turca ma anche l'avventurismo estero del leader del Partito della Giustizia e dello Sviluppo.

Venerdì 13 giugno il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha messo in dubbio il potenziale ingresso alla Nato da parte della Finlandia e Svezia. Non si tratterebbe di un veto ininfluente, visto che per accedere alla Nato occorre l’unanimità di tutti i suoi attuali 30 membri, pena il rigetto della candidatura. I malumori turchi stanno complicando non poco il mosaico in vista del summit di giugno a Madrid dei leader della Nato in cui si valuterà effettivamente nel suo stato embrionale la candidatura. Nel frattempo sabato questo week-end si è tenuto un vertice informale a Berlino, in cui ci sono state delle aperture, e che ha visto protagonisti i ministri degli Esteri Nato assieme anche ai due scandinavi, quello finlandese e quello svedese. La posizione turca è disomogenea rispetto alla maggior parte dei leader dell’organizzazione nord Atlantica, che vedono positivamente e all’unanimità, seppur ufficiosamente, l’adesione di Helsinki e Stoccolma alla Nato, giudicata complessivamente come un rafforzamento dell’alleanza. L’adesione rappresenta un brutto colpo per la Russia, che ha giudicato «un errore» e ha intrapreso rappresaglie in campo energetico contro la Finlandia, con cui condivide 1340 km di confine. Tra i motivi che hanno condotto il presidente della Russia Vladimir Putin ad attaccare l’Ucraina c’è stato proprio il potenziale accerchiamento che sarebbe scaturito dall’ormai improbabile adesione dell’Ucraina alla Nato, in un periodo giudicato di decadimento per l’alleanza, soprattutto per il disimpegno voluto dall’allora Presidente degli Stati Uniti Donald J. Trump. L’asse aveva perso infatti smalto e vigore, tanto da essere definita dal presidente francese Emmanuel Macron «brain dead». Il nuovo conflitto però, a pochi mesi dal disimpegno in Afghanistan, ha fatto scattare una nuova necessità di rinforzare le proprie difese contro la Russia. Con buona pace delle intenzioni di Putin.

La Finlandia ha dato il suo assenso ufficiale al lungo processo di adesione al patto di mutua difesa nord Atlantico giovedì 12 maggio, mentre la richiesta ufficiale di adesione alla Nato della Svezia è atteso per martedì 17 maggio in quello che il “Washington Post” ha definito un «terremoto geopolitico dopo decadi in cui i paesi sono rimasti risolutamente neutrali». Si tratta di un processo di ingresso abbastanza lungo, ma che nel caso specifico di Svezia e Finlandia si potrebbe concludere in pochi mesi. Da qui ad allora seguiranno voti parlamentari, quando necessari come nel caso dell’Italia, altri summit, riforme strutturali e impegni formali. Un lasso di tempo comunque molto inferiore rispetto al decennio che ha impegnato paesi come la Macedonia del Nord e il Montenegro. Si tratta inoltre di un cambiamento ampiamente condiviso, visto che dopo l’invasione dell’Ucraina orientale dello scorso 24 febbraio il clima politico nei due paesi è cambiato. Oggi infatti larga parte della popolazione, il 52 percento in Svezia, quasi il doppio rispetto a prima del conflitto russo-ucraino, e l’80 percento tra i finnici, quadruplicato rispetto al 20 percento prima della guerra russo-ucraina, vede con favore l’abbandono della neutralità.

Come sottolineano gli esperti, la collaborazione tra la Nato e l’Occidente è forte visto che dopo la dissoluzione dell’Urss la Svezia e la Finlandia si sono mossi verso l’Occidente, prima aderendo all’Ue (1992) e poi aderendo alla partnership per il mantenimento della Nato (1994) seppur rimanendo militarmente non allineati. Tra i due paesi scandinavi e la Nato il rapporto è forte, visto che i due fanno esercitazioni militari congiunte e condividono alcune informazioni comuni. Seppur non tutelata dal articolo 5 del trattato, caposaldo che prevede che un attacco armato in Europa o nell'America settentrionale venga considerato come un attacco diretto contro tutte le parti, facendo scattare l’impegno a «intraprendere l’azione necessaria» da parte degli stati membri Nato. Svezia e Finlandia, in quanto membri Ue, sono però tutelate dall’articolo 42.7, che impegna i paesi comunitari, ma anche la Turchia in quanto paese Nato, a fornire «aiuto e assistenza» a un altro stato membro che abbia formato oggetto di un’aggressione armata nel suo territorio, anche se in modo concordato e non automatico. Si tratta di una difesa importante per due paesi come detto neutrali e con forze difensive esigue. Oggi infatti, secondo alcune stime, Stoccolma avrebbe appena 24 mila soldati attivi, questo perché la Svezia, dopo la cacciata russa dall’isola di Gotland (1808) e il collasso dell’Urss (1991) ha progressivamente smantellato il suo arsenale bellico, pur essendo uno dei maggiori produttori di armi pro-capite al mondo.

Ufficialmente Erdogan, dodicesimo presidente della Turchia, e attuale vertice politico del paese, nonché principale mediatore del conflitto russo-ucraino, ha giustificato la sua opposizione al loro ingresso dichiarando che la Turchia sta «seguendo gli sviluppi con Svezia e Finlandia ma non abbiamo pensieri positivi» visto che i due paesi scandinavi sarebbero «casa di troppe organizzazioni terroristiche». Il leader turco ha inoltre aggiunto che non vuole che si «ripeta lo stesso errore» commesso con l’ adesione della Grecia, acerrimo nemico turco, avvenuta nel 1952. Il problema principale, almeno da quanto si desume dalle dichiarazioni ufficiali, è che gli svedesi si sarebbero macchiati di aver dato supporto durante il conflitto in Siria a uno dei peggiori rivali in patria per il leader del Partito della Giustizia e dello Sviluppo, i curdi appunto. Oltre all’appoggio ai miliziani curdi dell’Unità di Protezione Popolare (YPG) il braccio armato in Siria del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), un’organizzazione ritenuta terroristica anche dagli Stati Uniti oltre che da Ankara e Unione Europea, la Svezia avrebbe sei curdi tra i 349 membri attualmente in carica in seno al Riksdag, il Parlamento unicamerale del Regno. In particolare tra le fila del partito liberale, del partito Svedesi Democratici e del Partito della Sinistra, partito quest’ultimo che assieme ai Verdi sarebbe ancora oggi avverso all’annessione alla Nato.

Non sarebbe nemmeno la prima volta, inoltre, che per ottenere concessioni il leader turco rende preponderanti le scelte politiche interne condizionando le questioni in seno alla Nato. Come annunciato da uno dei consiglieri di Erdogan alla Reuters, «non ha chiuso la porta a Svezia e Finlandia». Una di queste potrebbe riguardare proprio il disimpegno degli Stati Uniti nel sostegno ai curdi in Siria, diventati fondamentali alleati per sovvertire le sorti del conflitto, scoppiato nel 2011, e con cui gli Stati Uniti sono particolarmente attivi in queste settimane per favorire il dialogo e apportare investimenti nell’area curdo-siriana, come dimostra il recente alleggerimento delle sanzioni sugli investimenti esteri sulle aree della Siria settentrionale non detenute dal regime di Bashar al-Assad. Un fattore inviso a Erdogan, ma che difficilmente verrà condizionato dalle pressioni turche.

Non solo, comunque, la lotta al PKK, uno spettro bellico lungo ben 36 anni e anche per questo molto sentito dalla popolazione turca, ad influenzare le scelte di Erdogan. Secondo i bene informati dietro al no a Svezia e Finlandia ci potrebbero essere calcoli politici, visto che nel giugno del 2023 ci saranno le elezioni presidenziali e legislative. Va detto che anche se la congiuntura economica dovuta anche agli effetti del Covid-19, l’inflazione galoppante giunta al +70 percento su base annua, e la scarsa incisività delle tavole rotonde dei sei maggiori partiti di opposizione, sarebbero fattori che non starebbero mettendo in discussione la riconferma di Erdogan, che nelle elezioni presidenziali godrebbe di oltre 20 punti percentuali di vantaggio sui principali oppositori, secondo alcuni sondaggi di Optimar del marzo scorso.

Il rapporto tra Stati Uniti e Turchia starebbe comunque subendo un disgelo, soprattutto dopo l’appoggio fornito all’Ucraina nel conflitto contro la Russia. Kiev sta infatti giovando delle tecnologie militari turche, soprattutto dei temibili droni Bayraktar TB2, considerati una delle ragioni del successo della resistenza ucraina, assieme ai missili anticarro britannici Javelin. Ma le parti rimangono comunque distanti anche perché Ankara mantiene un rapporto ambiguo con Mosca, motivo che negli anni scorsi ha scatenato delle tensioni tra i due paesi. Uno dei barometri di questo rapporto rimane l’impedimento all’acquisto dei caccia F-35, di produzione americana, che di fatto impedisce l’ammodernamento dell’arsenale aereo turco alle più moderne tecnologie. Questo provvedimento, voluto dall’allora presidente Trump a seguito dell’acquisto nel 2017 da parte della Turchia del sistema anti-missilistico russo S-400, pagato 2.5 miliardi di dollari e in dote dal 2019, potrebbe essere un altro fattore che potrebbe sbloccare il veto all’ingresso nella Nato di Svezia e Finlandia. Oltre a proseguire sulla strada della «nuova energia nei legami» recentemente rinvigorita tra Ankara e Washington, già anticipata dal sottosegretario agli affari politici del Dipartimento di Stato americano Victoria Nuland, dopo aver incontrato funzionari del ministero degli esteri e della presidenza turchi. A questa nuova linfa c’è da aggiungere quella conseguente l’arrivo del nuovo ambasciatore americano ad Ankara Jeff Flakes, un senatore repubblicano moderato a detta degli addetti ai lavori entusiasta di rinvigorire i legami tra i due vecchi alleati. Manca comunque un incontro tra il presidente americano Joe Biden ed Erdogan, che al momento non è in programma, e che invece è stato schivato da Biden lo scorso 24 marzo, proprio per il rifiuto turco di sbarazzarsi del sistema missilistico S-400, che rappresenterebbe una minaccia all’intelligence militare dell’alleanza. La Turchia è comunque fiduciosa di poterla spuntare su qualche fronte: attualmente il paese anatolico è in trattativa per modernizzare la sua flotta aerea F-16, un modello considerato ancora valido ma certamente lontano dai top gamma F-35, ed è fiduciosa di poter far fruttare, o al contrario ottenere un rimborso, dei 1.4 miliardi di dollari pagati per la consegna mai avvenuta degli F-35 prodotti dalla Lockheed Martin ma mai concessi.

La Turchia ha da sempre nella sua storia l’obiettivo di ergersi a protagonista nello scacchiere internazionale. Molti esperti hanno sottolineato come la carta del veto a Finlandia e Svezia possa essere un modo per rafforzare il suo ruolo, sulla scia di quanto avvenuto in Libia e in Afghanistan, proprio grazie al vuoto lasciato dagli Stati Uniti. L’avventurismo turco in politica internazionale, a seconda degli esperti, potrebbe essere un modo per distogliere il paese dal disastro economico che il Paese sta vivendo, una crisi giudicata tra le più gravi degli ultimi venti anni, e che di fatto la espone ad avere un rapporto di dipendenza dalla Russia, come dimostra il suo diniego alle sanzioni anti-russe. Ankara ha forti legami commerciali con Mosca in campo energetico e turistico. La Turchia non può però permettersi ulteriori vulnus economici derivanti dalle sanzioni, visto che, per esempio solo nel 2021 la lira turca ha perso il 44 percento del valore rispetto al dollaro statunitense, e quest'anno ha perso il 15 percento. Un fattore, quello economico che ha incrementato l’ambiguità dei rapporti con la Russia. Erdogan, come accennato, ha finora intrapreso politiche bivalenti: da un lato infatti il leader turco ha condannato in modo inequivocabile la Russia per aver invaso l'Ucraina, fornendo droni da combattimento all'aviazione ucraina e bloccando lo stretto del Bosforo e quello dei Dardanelli a tutte le navi militari russe. Il sultano di Ankara non ha però aderito alle sanzioni europee e americane contro la Russia, mantenendo al contempo aperti i suoi cieli agli aerei russi, rendendolo quindi un'alternativa fondamentale per i voli militari e commerciali russi.




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