martedì 18 giugno - Phastidio

Cos’è il pentagenio: lavorare meno, sussidiare tutti

Il moto perpetuo pentastellato in purezza: un rutilante schema di sussidi che causano felicità che causa produttività che causa...esuberi. Ma nulla che un altro buon sussidio non possa risolvere

Il programma per le elezioni europee del M5S è il più corposo, assommando a un centinaio di pagine: roba da fermare anche le porte più assertive. Mentre rimando gli interessati alla sua lettura integrale, mi preme segnalarvi una proposta, che appare davvero rivoluzionaria: la riduzione della settimana lavorativa a parità di retribuzione. Tutto qui?, direte voi tra gli sbadigli. Sì ma anche no, perché a essere realmente dirompenti sono le motivazioni e i flussi causali ad esse sottesi. Seguitemi.

In pratica, si chiede una “direttiva sulla settimana corta”, che già espresso in questi termini è piuttosto esilarante. Per avanzare questa richiesta, che essendo su base europea dovrebbe interessare ben ventisette paesi, si parte dall’analisi della situazione italiana. Dinamica che è un classico delle proposte dei nostri partiti: si analizza una tipica patologia economica italiana e si chiede “all’Europa” di risolverla con una direttiva o un regolamento da calare in testa agli altri paesi. L’ombelico italiano regna sovrano.

ITALIANI IMPRODUTTIVI CAUSA SETTIMANA LUNGA

Si cita, ovviamente senza averne capito nulla, la sperimentazione della 4DayWeek, che è –incredibile dictu– una sperimentazione, appunto, dove gli stati nazionali non mettono becco né legge, e si lascia il tutto (per ora) all’autonomia negoziale delle parti sociali aziendali. A partire da questo fraintendimento, che perpetua l’analfabetismo (dis)funzionale italiano già visto in occasione della direttiva sul salario minimo, si formula il preambolo che segue:

In Italia non esiste una legge sulla settimana corta e questo ha avuto effetti negativi sulla produttività delle aziende (tra il 1995 e il 2022 solo +0,4% contro una media UE-27 del +1,5%) così come sull’aumento dei salari (-2,9% fra il 1990 e il 2020). In molti Paesi europei la settimana corta è già realtà, in altri si sono avviate sperimentazioni che hanno dato ottimi risultati.

Avete colto il flusso causale? In Italia (ombelico d’Europa), la produttività è depressa e deprimente perché non abbiamo una legge sulla settimana corta. Spoiler: non ce l’hanno neppure nei paesi che in questi lustri hanno segnato forti incrementi di produttività. Ma transeat. “In molti paesi c’è già, perché le sperimentazioni hanno dato ottimi risultati”. Ah ecco, vedi?

E anche no. Le sperimentazioni sono, appunto, sperimentazioni: restano numericamente molto limitate, ad oggi non risulta che siano state trasposte in legislazione nazionale erga omnes, e comunque nulla ci azzeccano coi dati di produttività degli ultimi lustri. Quando il Signore o chi per esso distribuiva la logica, i pentastellati erano impegnati a scrivere programmi elettorali. Ma proseguiamo:

Pertanto, l’Unione europea deve approvare una direttiva e concedere pari diritti a tutti i lavoratori europei.

“Pertanto”? Nel senso che, secondo gli estensori di questa proposta, le sperimentazioni della 4DayWeek impongono alla Ue di estenderla a tutti i paesi della regione, anche se in nessuno di essi esiste una legge che sancisca la settimana di quattro giorni e trentadue ore. Ma da dove potremmo partire?

La sperimentazione di questa misura può partire dai settori a più alta intensità tecnologica, mettendo a disposizione anche i fondi europei così com’è avvenuto per la prima volta nel 2020 con il Fondo Nuove Competenze, istituito dal governo Conte II.

Eh beh, il governo Conte II tracciò il solco, e la Ue deve adeguarsi. In altri termini, serve una direttiva che imponga ai paesi dell’Unione la settimana corta a salario invariato, e serve di conseguenza trovare i fondi per tenere in piedi l’accrocchio, sussidiando aziende e dipendenti. Ora, il punto è che, se un’azienda ha un aumento di produttività tale da permettersi, tramite negoziato interno, di redistribuirla ai lavoratori o di generarne di aggiuntiva grazie alla felicità che tale orario induce nei lavoratori medesimi, un sussidio non serve. Questo è il senso della 4DayWeek.

PIÙ SUSSIDIO, PIÙ ASSUNZIONI

Segue fallacia mica da ridere, anzi da sghignazzare:

Il nostro obiettivo è quello di garantire che le persone possano lavorare meno senza subire tagli salariali e avere un migliore equilibrio tra lavoro e vita privata. Allo stesso tempo, ciò consentirebbe la creazione di nuovi posti di lavoro per sostituire coloro che optano per un orario ridotto, anche attraverso incentivi per gli imprenditori.

Eh? Cos’è, il moto perpetuo? Sussidio l’azienda per dare l’orario ridotto ai suoi dipendenti, e l’azienda con quel sussidio assume lavoratori per le ore venute a mancare? Ma se l’incremento di produttività da riduzione di orario è tale da tenere in equilibrio economico l’azienda, per quale motivo la medesima dovrebbe assumere altra gente “per sostituire coloro che optano per un orario ridotto”? Siete sicuri di aver capito quale è l’obiettivo strategico della sperimentazione della 4DayWeek? No, vero? O forse sì, lo scrivono pure:

In questo contesto l’efficienza del lavoro crescerebbe, la produttività migliorerebbe, e il benessere dei lavoratori aumenterebbe, in un circolo virtuoso che porterebbe maggiore produttività nelle aziende.

Capite? Meno ore, più felicità, più produttività. Ma allora, ribadisco: se la produttività s’impenna gioiosamente, per quale diavolo di motivo scrivere che “ciò consentirebbe la creazione di nuovi posti di lavoro per sostituire coloro che optano per un orario ridotto”?

Il mistero si risolve in questo passaggio:

Nel concreto la proposta andrebbe a ridurre gli orari di lavoro fino a 32 ore settimanali (4 giorni a settimana) e sarebbe articolata concedendo ai lavoratori strumenti di welfare aziendale di valore pari alla quota di lavoro a cui hanno rinunciato (8 ore) in voucher validi per l’acquisto di beni (buoni pasto e buoni spesa) e servizi (come, ad esempio, gli asili nido). Cosicché il salario complessivo rimarrebbe costante. Le aziende sarebbero aiutate in una prima fase prevedendo la defiscalizzazione della quota del salario versata sotto forma di welfare aziendale. L’UE e gli Stati membri devono fare la loro parte mettendo a disposizione rispettivamente i fondi europei e i contributi figurativi dei lavoratori per la parte di salario ricevuta sotto forma di welfare aziendale.

Quindi, riepilogo: le aziende vengono sussidiate dalla Ue per tagliare di otto ore a settimana l’orario di lavoro; i lavoratori vengono pagati -dai contribuenti- per quelle otto ore in meno con buoni pasto e voucher di welfare. Le aziende, che si trovano con un immediato buco di ore lavorate e un corrispondente taglio del costo del lavoro, assumono per colmare la differenza. E tuttavia, attenzione: i lavoratori già in azienda, al settimo cielo per avere lo stipendio pieno ma otto ore di lavoro in meno, diventano talmente produttivi da colmare il buco iniziale di produzione. Incarta e porta a casa, marmotta lilla di Milka.

ESUBERI DA FELICITÀ

L’azienda, confusa e felice, si trova a quel punto a dover gestire l’esubero di personale che ha assunto per colmare un gap di ore che si è invece colmato spontaneamente, causa felicità dei lavoratori preesistenti. A quel punto, il M5S e i suoi reggicoda del Pd lanciano una proposta di direttiva per pagare un sussidio ai lavoratori sedotti e licenziati. E vissero tutti felici e contenti.

È il moto perpetuo pentastellato, bellezza. Voglio anch’io quello che hanno preso loro. Il Movimento, lanciato da un comico, riesce ancora a seguire il solco della stand-up comedy. Innovazione nella tradizione, in pratica.

P.S. Questa proposta è l’adattamento in chiave europea di quella italiana, a prima firma Giuseppe Conte, con la quale si chiede di sussidiare sino a ottomila euro annui la decontribuzione di otto ore a settimana, stanziando 250 milioni annui per un triennio di sperimentazione. Il genio pentastellato è come il maiale: di esso non si butta via nulla.

Programma Elettorale Europe… by Mario Seminerio




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