lunedì 29 agosto 2011 - Marcello Frigeri

Contro il dispotismo dell’uguaglianza e della libertà

Deve il mondo intero occidentalizzarsi, assumere gli schemi mentali, la cultura, le tradizioni, le istituzioni, la prassi dell’Occidente?

A questo aveva già trovato risposta Stuart Mill, che nel volume On Liberty scrisse: “non ritengo che una comunità qualsiasi abbia il diritto di civilizzare le altre con la forza. A meno che le vittime di cattive leggi non invochino la protezione delle altre comunità, io non posso accettare che persone del tutto estranee intervengano perché si metta fine a uno stato di cose ritenuto soddisfacente da tutti gli interessati, solo perché tale stato di cose suscita scandalo in persone che distano migliaia di miglia e che non hanno nessuna parte e nessun interesse nella vicenda”.

Nel pensiero utilitarista di Mill troviamo la formula elementare della verità relativa. Che sta a significare: non per forza il nostro “mondo”, termine con il quale intendo la parte di esso con cui l’individuo entra in contatto – il suo partito, la sua setta ecc. – ha oggettivamente in tasca la verità assoluta delle questioni.

Essendo il mondo un luogo popolato da numerose verità relative l’una all’altra, nessuno può arrogarsi il diritto di imporre la propria e i propri ideali soltanto perché ritenuti dal suo stesso partito i migliori.

Locke diceva: “Supponiamo che a Costantinopoli ci siano due Chiese, una di Cristiani e l’altra di Anticristiani. Si potrà dire che a una delle due Chiese spetti il diritto di privare i dissenzienti dell’altra Chiesa delle libertà o dei beni o di punirli con l’esilio o con la pena capitale perché hanno credenze e riti diversi? Ma se una di queste Chiese ha il potere di perseguitare l’altra, chiedo quale delle due ha questo potere e in base a quale diritto. Si risponderà senza dubbio che la Chiesa ortodossa ha questo diritto nei confronti di quella che erra, o che è eretica. Ma questo è non dir nulla con parole grandi e appariscenti. Ogni Chiesa è ortodossa per se stessa ed erronea ed eretica per gli altri: ogni Chiesa crede che sia vero tutto ciò che è difforme da quello che crede”.

L’esportazione della democrazia, che oggi si manifesta con la potenza militare occidentale e la sua economia globalizzante, può essere analizzata su due livelli: è un male o un bene? Secondo: è un diritto?

Sul primo punto abbiamo già avuto modo di discutere: soltanto perché riteniamo la democrazia “il migliore dei mondi possibili” non vuol dire che lo sia anche per gli altri. Sarebbe come esportare la verità occidentale al prezzo di distruggere quella degli altri, che per quanto turpe e lontana dall’Occidente possa essere, ha comunque lo stesso diritto di esistere. Non è dunque l’Occidente, come un professore di verità, a dover dire al “diverso” cosa è giusto e cosa non lo è.

Ma poi, anche ammesso che l’esportazione della democrazia si dimostrasse un bene per la società mondiale; anche ammesso che i governi mondiali smettessero di farsi la guerra perché, come di fatto è nella realtà, e fino a prova contraria, tra democrazie non si guerreggia, esportare la democrazia con le cattive non è forse equiparabile al diritto del più forte sul più debole? In 10 anni (10 anni!) di guerra in Afghanistan l'attacco più riuscito che i guerriglieri talebani hanno portato a termine contro l’alleanza atlantica è stato l’abbattimento di un elicottero: 38 i morti. Le perdite nemiche sono invece state più di 60 mila, di cui le vittime civili sarebbero fra le 15 e le 34 mila, mentre i restanti sarebbero talebani o guerriglieri; tutti uccisi dalla Nato.

Se la forza è una potenza fisica, allora cedere al più forte diventa un atto di necessità, non di volontà. Se poi è la forza a determinare il diritto, e il diritto del più forte a determinare la verità, allora l’effetto cambia sempre insieme alla causa: ogni forza che superi quella occidentale la sostituisce nel suo diritto.

E inoltre, anche ammesso che esportare la cultura occidentale in un mondo popolato da tiranni imprimi alle altre società il concetto di libertà individuale e di democrazia, con quale diritto possiamo noi imporre per mezzo della forza la libertà Occidentale alle culture tiranniche, lontane per storia e tradizione? Anzitutto non è detto che una società non democratica sia comunque dispotica, ma anche ammesso che l’obiettivo sia quello di neutralizzare i dispotismi mondiali rimpiazzandoli con governi liberaldemocratici, l’azione compiuta sarà quella di supplire un dispotismo con un altro, quello della libertà.

Infatti un liberale che impone a tutti di esserlo, non è un liberale: è un fascista.

L’esempio più lampante lo ritroviamo negli anni successivi la Rivoluzione francese, quando la Convenzione, pur di esportare i sacrosanti principi liberali dell’uguaglianza e della libertà, uccise i suoi dissidenti, e dichiarò guerra a mezza Europa. Ma una libertà che si definisce tale deve poter dare libera cittadinanza anche all’opposizione più illiberale.

Infine l’omologazioneTrasformare il diverso nell’uguale, significa pretendere che il Mondo abbia un’unica storia e tiri diritto verso un’unica direzione. A ben guardare noteremmo che non esiste individualità nell’uguaglianza; la libertà non sarà più quella dell’essere diverso dagli altri, ma è quella che si genera in un meccanismo tutto interno all’omologazione stessa: si è liberi finché si è uguali, e la libertà non finirebbe più dove inizia quella altrui, ma dove comincia la diversità.

Mentre prima la discriminazione passava per il concetto di inferiorità di razza, dunque la diversità non era combattuta ma anzi si tendeva a preservarla, oggi il diverso è discriminato proprio perché non è uguale. È una sorta di razzismo al contrario. Ed è questo che è inaccettabile. Combattere l’omologazione equivale a preservare la propria identità. Se penso ad un mondo di tutti uguali, infatti, mi viene da pensare ad un mondo di schiavi.




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