venerdì 8 ottobre 2010 - Voltaire

Contro il Federalismo in salsa padana

La Lega Nord ha fatto della sua ragion d’essere l’approvazione del Federalismo in Italia.

Veicolando il malcontento presente nelle regioni del Nord, contro lo Stato romano centrico, la Lega è riuscita sin dal 1990 ad imporre alla politica italiana la propria agenda di proposte e iniziative. Essendo un tassello indispensabile nella creazione di alleanze di governo, e con un forte appeal mediatico, il partito padano ha insinuato nell’immaginario collettivo e nella classe dirigente l’idea che l’Italia federalista fosse una scelta necessaria ed inevitabile.

Ma siamo sicuri che il federalismo sia l’unica risposta a tutti i mali italiani? Siamo sicuri che dobbiamo affidare il rinnovamento del nostro assetto statale ad una forza politica che vede nel federalismo il passo propedeutico alla secessione, vero obiettivo leghista?

Vogliamo veramente affidare questa riforma ad una classe politica come quella leghista, ignara di ogni minimo dettame costituzionale, e soprattutto al ministro Roberto Calderoli, che annovera tra i suoi risultati quello di aver scritto la famigerata legge elettorale “porcata”?

Norma che ha tolto di fatto la possibilità ai cittadini italiani di eleggere liberamente i propri rappresentanti al parlamento,affidando la propria nomina ai soli capipartito.

Chi ha deturpato il diritto di voto in italia, dovrebbe rimodellare l'ambito istituzionale italiano? Ma per favore, No!

Una domanda essenziale andrebbe posta a coloro che stanno scrivendo la riforma federale: “Siete sicuri che uno stato centrale pienamente funzionante ed efficiente sia peggio di uno stato federale come quello che ci volete proporre?”

Prima di abbandonare l’assetto attuale che ha retto l’Italia per 60 anni tutte le verifiche possibili andrebbero messe in atto.

Noi pensiamo che una riforma vera dello Stato passi per un pieno ed efficiente funzionamento dell’amministrazione centrale, piuttosto che dalla frammentazione caotica e fuori controllo in venti piccole entità come quelle regionali.

La riprova si ha nel fatto che la riforma del Titolo V della Costituzione avvenuta del 2001, comportando il passaggio incontrollato di molte competenze dallo Stato alle regioni, ha generato un aumento vertiginoso delle spese in molti settori, soprattutto nel campo della sanità pubblica.

Invece di moltiplicare le competenze amministrative dei governi regionali e quindi gli assessorati, gli assessori, le auto blu, le spese, le consulenze, le clientele (la penetazione pervasiva della politica nei settori pubblici) sarebbe meglio concentrare tutti gli sforzi ad un pieno e compiuto funzionamento dell'apparato amministrativo centrale.

L’attuale classe dirigente dovrebbe mirare al consolidamento di uno Stato, snello, forte, funzionale alle esigenze dei cittadini, presente sul territorio (con i mezzi informatici odierni ora è possibile) che sia coadiuvato dal controllo di istituzioni terze ed indipendenti.

Un centralismo compiuto e ponderato costituisce l’unico vero antitodo all’“individualismo territoriale” tipico dell’ Italia, che se non tenuto sotto controllo porterebbe alla disgregazione lenta del nostro paese, di cui ora avvertiamo solamente i primi sintomi.

Non abbiamo paura di essere tacciati di passatismo, perché siamo convinti che il sistema attuale voglia imporre questo federalismo sulla base di una analisi superficiale della realtà italiana. La riforma che viene discussa in queste ore e’ il frutto del pensiero debole leghista e berlusconiano, che vuole cambiare tutto per non cambiare niente.

Invece di innescare dei processi centrifughi che minino, la stabilità del nostro assetto statale, scimmiottando il modello di stato tedesco e statunitense, giustamente non previsto dai nostri padri costituenti, per la peculiarità della realtà italiana, dovremmo imporre l’unica riforma che ha senso di attuare nel nostro paese, quella del merito e dell’efficienza.




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