martedì 3 marzo 2020 - UAAR - A ragion veduta

Concordato Stato-Chiesa: facile fare la carità con i soldi degli altri

Viviamo in un paese con problemi di bilancio. È quindi ovvio che da anni il Parlamento, la politica e la stampa si interessino del contenimento della spesa pubblica. Ciò che desta stupore è la quantità impressionante di tempo, risorse, parole dedicati a uno specifico possibile risparmio di 80 milioni quando ne esiste uno che porterebbe a risparmiarne 3.000 di milioni. Che se attuato sanerebbe pure ingiustizie che ci portiamo dietro dal Ventennio.

Sono entrambe questioni impegnative per le forze parlamentari, visto che impattano sulla Costituzione. Sia la prima, il taglio dei parlamentari, che la seconda, l’abolizione del Concordato. Si badi, il punto non è se la riduzione del numero di parlamentari sia una causa da sostenere o da respingere: si svolga il dibattito e si decida, i nostri rappresentanti sono lì per quello. È un termine di paragone come potrebbe esserlo l’abolizione del Cnel, se l’abolizione del Cnel avesse occupato il dibattito politico per anni. Il punto è che a parità di sforzo necessario – avere i numeri in Parlamento per far passare una modifica costituzionale – i fatti ci dicono che c’è stata e ci sarà attività politica straordinariamente intensa per risparmiare 80 milioni, mentre c’è il vuoto pneumatico per risparmiare quaranta volte tanto.

Se sull’aritmetica non c’è storia, l’obiezione potrebbe esserci sul merito. Andiamo quindi a vedere se i 3 miliardi di costi diretti e indiretti che gravano ogni anno sui contribuenti italiani a causa del Concordato Stato-Chiesa sono tutto sommato un sacrificio di cui essere soddisfatti in una democrazia liberale. E la risposta è no, perché come anticipato ci troviamo di fronte a ingiustizie che non a caso hanno origine in epoca fascista, quando l’11 febbraio 1929 Mussolini firmò i Patti Lateranensi con la Santa Sede.

Le cifre meno rilevanti sono per certi versi le più odiose: possibile che nel terzo millennio si debbano pagare 5 milioni l’anno per le bollette di acqua e luce del Vaticano? O che gli assistenti religiosi cattolici negli ospedali (costo 35 milioni), i cappellani nelle Forze Armate (20), nella Polizia (9), nei cimiteri (6) e nelle carceri (8) siano a libro paga dello Stato? Le voci più importanti sono le più note: l’Otto per mille, col suo impianto ingannevole e palesemente discriminatorio per chi non appartiene alle selezionate confessioni religiose con cui i governi hanno scelto di stipulare l’Intesa, nel riparto 2019 ha assegnato alla Chiesa cattolica 1.131.196.216 euro. Gli approssimati rendiconti sull’utilizzo che ne viene fatto mostrano che la parte più rilevante viene destinata al sostentamento del clero, al culto e alla catechesi, mentre una parte minoritaria per interventi caritativi. Carità con i soldi degli altri, quindi, quando invece lo Stato potrebbe utilizzarli per politiche di welfare e la Chiesa potrebbe raccoglierli tra i fedeli.

Veniamo alla spesa più importante: 1,25 miliardi per l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole. È proprio il protocollo addizionale del Concordato del 1984 a stabilire che debba essere impartito «in conformità alla dottrina della Chiesa» e «da insegnanti che siano riconosciuti idonei dall’autorità ecclesiastica». Un sistema che prevede quindi un insegnamento dottrinale e che causa discriminazione infantile tra i banchi di scuola, con alunni divisi dalla più tenera età in base alle scelte religiose dei loro genitori, privilegiando nei fatti quelli che resteranno con il docente con la Bibbia in mano. Non solo, è il più grande sistema clientelare d’Italia: quali altri posti pubblici sono assegnati in base a nominativi comunicati da una persona esterna, in questo caso il vescovo? E su criteri incompatibili col principio di uguaglianza, come avere un «comportamento pubblico e notorio contrastante con la morale cattolica», come deliberato dalla Cei? Hanno sempre a che fare con la scuola altri appigli di natura concordataria che fanno salire il conto a carico dei contribuenti oltre i 3 miliardi l’anno. Alle scuole private cattoliche il Concordato assicura, all’art.29, «piena libertà, ed ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni delle scuole dello Stato». Una leva, quest’ultima, che è stata utilizzata in maniera forzosa per eludere il dettato costituzionale, che invece è chiarissimo quando all’art.33 prevede che le scuole private devono essere «senza oneri per lo Stato». E così si aggiungono altri 930 milioni per finanziamenti alle scuole cattoliche, 430 a carico dello Stato e 500 dalle amministrazioni locali.

Tutte le cifre elencate sono stime prudenziali e doverosamente argomentate nell’inchiesta sui costi della Chiesa condotta dall’Uaar e che l’11 febbraio scorso, in occasione dell’anniversario della firma del Patti lateranensi, ha pubblicato sulla piattaforma icostidellachiesa.it in versione completamente rinnovata e più accessibile. L’inchiesta, oltre a quelle già citate legate al Concordato, documenta un’altra quarantina di voci, che portano il totale annuo dei costi pubblici della Chiesa alla ragguardevole cifra di 6,7 miliardi. Lo sappiamo, i diritti non piovono dal cielo, né tantomeno le modifiche costituzionali. Ma fornendo argomenti, mostrando le ingiustizie e diffondendo i dati anche una classe politica che finora non ha voluto nemmeno fare commenti sull’abolizione del Concordato potrebbe avviare una fase che porti alla sostituzione degli articoli 7 e 8 della Costituzione con l’affermazione esplicita del principio di laicità dello Stato. Sì, non sarà affatto facile, ma proprio per questo bisogna impegnarsi in ogni modo.

Roberto Grendene

Articolo pubblicato su Left del 21 febbraio 2020

Foto di Markus Baumeler da Pixabay 

 




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