mercoledì 15 marzo 2023 - Phastidio

Concessioni demaniali: il luna park dei convertiti da spiaggia

Dopo il richiamo del capo dello Stato, il governo pare pronto all'ennesima retromarcia. La domanda sorge spontanea: quale Meloni avete votato?

Dopo il richiamo del capo dello Stato sulla disciplina delle concessioni balneari l’esecutivo, per bocca del ministro agli Affari europei, Raffaele Fitto, ha fatto sapere che “terrà conto del richiamo del presidente Sergio Mattarella, lavoreremo in modo compatto per valutare le soluzioni migliori e più opportune”. E fin qui, tutto molto bello. O meglio, lo sarebbe stato se quella sciagurata proroga non fosse mai stata inserita nel Milleproroghe, vero prodotto tipico italiano.

Ma tant’è. Narra la vulgata che Forza Italia e Lega hanno puntato i piedini, spinti dalle associazioni di categoria, che non è chiaro cosa vogliano fare da grandi (posto che lo status quo non è sostenibile), e che la premier Giorgia Meloni abbia quindi fatto buon viso a cattivo gioco, assecondandoli. Questa versione non mi suona genuina, viste anche le reiterate prese di posizione delle gemelle Meloni negli ultimi anni e mesi. Anche della gemella “istituzionale” (se non vogliamo chiamarla “buona”), che comunque aveva scolpito che serviva una “soluzione strutturale”, dopo consultazione con gli interessati, “per mettere in sicurezza questi imprenditori”.

Ora, io sarò pedante ma credo sarebbe utile, preliminarmente, “mettere in sicurezza” i contribuenti italiani, una specie peraltro in via di estinzione, assicurando loro che il patrimonio demaniale dato in concessione abbia adeguata remunerazione, ed evitando di usarlo impropriamente come forma di welfare ferocemente regressivo ad uso dei pochi fortunati concessionari.

MAPPARE L’IGNOTO MANGIANDO SPAGHETTI ALLE VONGOLE

Vorrei anche sorvolare sulla miriade di scuse, tra il patetico e il grottesco, che sentiamo da anni su questo tema. Le più recenti, a buoi ampiamente fuggiti dalla spiaggia, sono un campionario che sarebbe piaciuto a Flaiano, Dino Risi e Mario Monicelli. Ad esempio, la messa a gara solo delle concessioni assegnate dopo il 2010, anno di entrata in vigore della Direttiva Bolkestein. A parte che quelle ante 2010 sono l’ampia maggioranza, questa pare una forma di usucapione da repubblica delle banane. Scurdammoce ‘o passato come vero inno nazionale.

Seguono altre motivazioni, sempre più demenziali, come la difesa dalle multinazionali con tante zeta, che vogliono fuggire all’estero con la nostra sabbia e le nostre papere di gomma. O ancora, la difesa delle nostre “peculiarità” culinarie. Venite in Italia? E noi vi ficcheremo giù per la strozza i nostri piatti, per dio. Niente cheeseburger in spiaggia tra i paletti delle gare, ha suggerito il governatore della Liguria, Giovanni Toti. E non si capisce se questa gente si esprima così per farsi capire dal volgo, contribuendo ad analfabetizzarlo, oppure se abbia proprio nella testolina questi concetti.

Diciamo e dico da sempre che gli eletti sono lo specchio degli elettori. E se ne fossero lo specchio deformato e deformante, in realtà? Anche per scelta razionale dei primi, intendo. Pensate quanto sono generoso e neo-umanista.

O ancora, la difficoltà insormontabile di “mappare le coste”. Le vedete, queste coste senza fine che conducono ad altre coste, di cui si ignorava l’esistenza, dalle cui insenature si dipartono nuove coste e via così? La vertigine. O anche “ci sono ancora litorali non assegnati in concessione, quindi non serve la messa a gara”. E rimuoviamo da queste spiagge incustodite, a mezzo di concessione, i rifiuti materiali e umani che le popolano, come direbbe qualcuno. Praticamente, la tragedia dei beni comuni declinata in tipica farsa (argomentativa) Italiana.

E poi gli imponenti “investimenti”, soprattutto in “capitale umano”. Vorremo mica incenerirli a questo modo, oppure “svendere le spiagge italiane a cinesi e tedeschi, come hanno fatto in Grecia”? Eh? Eh?

Un paese di intermediari scambiati per “produttori” produce tipicamente questi dibattiti, quando uno degli strati di intermediazione è minacciato. Pensateci: non è per nulla un caso se in questo paese ascoltiamo spesso la canzoncina “il mio debito è la tua ricchezza di creditore” e la sua variante “la tua spesa è il mio reddito”. Esattamente perché siamo un paese di intermediari, veri e aspiranti tali. Che è la seconda aspirazione nazionale, dopo quella al pensionamento. Va da sé che, quando il “reddito” risulta insufficiente per tenere in piedi il tendone del circo intermediato, partono gli strepiti.

QUALE MELONI AVETE VOTATO?

Ma torniamo al governo Meloni, o meglio alla premier. Ribadisco quello che sostengo ormai da mesi: per quanto tempo questa persona potrà rimangiarsi le promesse che sono parte integrante della sua storia politica e personale, prima che qualcuno la accusi di essere una abusiva del potere, essendo persona diversa da quella che è stata premiata alle urne? E se quel qualcuno fossero i suoi cosiddetti alleati di maggioranza? Questo è il punto, e scusate se è poco.

Sino a quando questa Meloni “buona” (i.e. “realista”) e istituzionale reggerà alla memoria della Meloni barricadera da borgata? Quante altre somatizzazioni serviranno, anche considerando che andiamo verso la bella stagione e le malattie da raffreddamento sono fatalmente destinate a ridursi, a meno di indebolimento del sistema immunitario per opera dello stress?

Sino a quando questa Meloni ultra-atlantista con la Casa Bianca ai Democratici potrà reggere l’assalto della Meloni trumpiana neo-isolazionista? Sino a quando l’attuale Meloni, quella che “vede” il prossimo anno il takeover conservatore sul Partito Popolare europeo in una Ue dove la borsa della spesa non è in comune, impedirà il ritorno di quella che vuole la “demolizione controllata della zona euro” (cit.)?

Perché, vedete, a me l’attuale Meloni potrebbe anche cominciare ad andare a genio (un enorme condizionale, occhio), ma non sono sicuro che lo stesso possa valere per molti tra quanti hanno votato l'”altra”. Servirà chiarire anche chi sono questi che vogliono “fare” e che non bisogna “disturbare”, e da cui ci si fanno scrivere programmi elettorali e iniziative legislative. Forse si tratta di soggetti che ambiscono a vivere di rendita (i.e. sussidi) ed asserragliarsi tra le mura della nazione con l’aiuto del governo di turno? Fatecelo sapere.

Se Parigi valeva bene una messa, allora Roma val bene una retromarcia senza fine? Vorrei soprattutto ricordare (“sommessamente”, come ama ripetere in modo piuttosto stucchevole la premier), che il paese in cui si fa campagna elettorale da rivoluzionari/piromani e si governa da democristiani/pompieri, magari perché nel frattempo si è aperto qualche libro di storia e geografia, è un paese fallito. Non ci servono figure alla Giggino Di Maio che, dopo proficuo studio nella cameretta della Farnesina, diventano studenti modello che vergano pensierini istituzionali in attesa di lasciare i box e tornare in pista. Pare che le nostre radici cristiane siano soprattutto rivolte alla figura di Paolo di Tarso. Il quale però si è convertito una volta sola.

Queste figure sono i marcatori dello smarrimento di un paese. A meno che gli elettori non ne ratifichino la conversione, mantenendo e in caso ampliando il consenso. Sarebbe, penso, la prova finale che siamo e restiamo un grande luna park.

Foto di Matthias Böckel da Pixabay

 




Lasciare un commento