mercoledì 13 aprile 2011 - Giovanni Greto

Con "Munfrà" tornano gli Yo Yo Mundi

YO YO MUNDI, Munfrà (Felmay, distribuzione Egea)

Scorrendo le note introduttive stilate dagli stessi musicisti, ci viene da pensare che è valsa davvero la pena aspettare “il risultato di un lavoro di studio, ricerca, raccolta materiali e composizione, durato 4 anni”, vale a dire ‘Munfrà’(Monferrato), l’ultimo album degli Yo Yo Mundi.

E’ una musica popolare, un suono-memoria cercato nella lingua, diversa di paese in paese, di borgo in borgo, di voce in voce, nei racconti minimi e nei modi di dire scovati tra gli accadimenti della storia. Il disco dura poco più di 53 minuti, contiene 6 brani in dialetto, 7 strumentali e 3 in italiano e si avvale in ognuna delle 16 tracce della presenza di musicisti ospiti che arricchiscono e diversificano la sonorità del gruppo. Eccellente, inoltre, la scelta di strumenti tradizionali, discendenti dall’Occidente medievale come le ghironde o le musette, che danno la sensazione di essere riportati indietro nel tempo, pur nella consapevolezza del momento presente.

Tra le canzoni in italiano non possiamo non citare ‘La ballata del tempo del sogno’, nella quale un pennello ci racconta la leggenda del Monferrato e ci spiega l’origine del nome, “mun”, mattone, “frhà”, ferrato. Protagonista Aleramo, innamorato di Alesia, figlia dell’imperatore Ottone I^, che in soli tre giorni e tre notti marcò a cavallo il territorio che gli sarebbe stato assegnato in proprietà e governo.

Ma il Monferrato è anche un luogo di passaggio, di incontro e di integrazione. Lo apprendiamo da ‘ Tè chi t’ei?’, cantata in italiano da Paolo E.Archetti Maestri degli Yo Yo Mundi, cui fa da controcanto in arabo la voce calda che ti penetra nelle ossa di Nabil Salameh dei Radioderwish. In primo piano il suono malinconico dell’oud di Franco Minelli e i fiati scintillanti di Maurizio Camardi. Geniale infine la ripetizione ritmica del ritornello ‘Tè chi chi che t’èi, te chi t’èi, chi chi che ti che t’èi?’ Si potrebbe pensare alla sillabazione ritmica propria dei musicisti indiani che espongono con la voce quello che poi si svilupperà con le tabla ed il sitar.

Onomatopeica ed introdotta da una filastrocca dedicata alle creature notturne è ‘Rataràura’, “pipistrello”, la cui danza è un gioco musicale che mette a confronto la normalità, intesa come il conservatorismo immobile e immutabile, con le stranezze e i comportamenti bizzarri, tipici di chi vuole collocarsi fuori dell’ordinario, del branco e dar libero sfogo alla fantasia e alla creatività, soffocate appunto nella persona incapace di mutare di un enne il consueto tran tran quotidiano. Curiosa e da tenere in considerazione ‘Rabdomantico’, ovvero il rabdomante romantico, divinità dell’acqua. Il gruppo ha voluto dedicare la canzone alla difesa dell’acqua pubblica, un bene comune che deve rimanere tale, in vista dell’imminente votazione referendaria.

Potremmo continuare nella narrazione brano dopo brano, ma ciò che più conta è che chi introduce il disco nel lettore, ascolterà una musica viva, moderna, ma legata al passato, sia nei testi che nelle melodie. Un viaggio a ritroso, con la consapevolezza dell’oggi e la saggezza di ieri. Strumentalmente, sia il gruppo che i vari musicisti ospiti danno il meglio di sé, dimostrando doti tecniche non fini a sé stesse, ma piuttosto proiettate verso una realizzazione perfettamente ideale. Infine una considerazione. Un disco si deve fare solo quando si ha qualcosa da dire. Meglio evitare dunque tutte quelle serie di uscite banali, prodotti di consumo ‘usa e getta’, od autopromozioni per ottenere magari un tour di concerti più fitto.




Lasciare un commento