martedì 4 febbraio 2020 - Marina Serafini

Come una formica sul bordo del bicchiere

Pochi mesi fa, nel corso di una assolata mattinata estiva, sotto la veranda, all'ombra, mi godevo la colazione comodamente seduta in giardino. 

Ricordo bene la mattinata luminosa e l'aria frizzante delle prime ore, quelle in cui il grigetto brumoso che precede l'alba si lascia sovrastare via via per gradi dall'incendio del sole che sorge.
 E siccome io vivo in campagna, assisto ogni mattina allo spettacolo che sorge tra alberi e colline illuminando i prati umidi, e ne rimango sorpresa e felice, colma di emozioni che é difficile descrivere.
 
Ero lí, dunque, dopo aver tostato del pane scuro e aver predisposto la ghiotta colazione sul tavolo: conserva di prugne selvatiche fatta da me - i frutti dello stesso giardino in questione - , un piatto contenente le fette di pane croccante, il bicchiere del frullatore pieno di spuma densa - un mix di aria, acqua di fonte e una bella dose di melone maturo - , e in disparte, in attesa che arrivasse il suo turno, una tazzina decorata con dentro il caffè. Zucchero, acqua, e un paio di cucchiaini: i necessari strumenti del mestiere.
Che dire? Appetito, profumi, colori e allegria.
 
Davanti ai miei occhi la folta chioma del fico - lo chiamo "Capellone" per la quantità di rami che sovrastano il tronco - , che esibiva con indifferente esuberanza gocce scure di morbidi frutti maturi. In realtà, come ho imparato da poco, non si tratta di frutti ma di fiori, e lo si vede davvero quando, sopravvissuti agli attacchi famelici di altri viventi - umani o pennuti che siano - i fichi si aprono come petali al sole, esibendo a chi ne voglia fruire, le rosse pareti che sono all'interno. 
Proprio come i fiori che siamo normalmente avvezzi a chiamare in quel modo.
 
E dunque, perso lo sguardo tra le foglie verdi e l'azzurro del cielo - percorso da variopinte striature dai colori accecanti - , distratta dal sommesso ronzio di sottofondo di certi mini volatili resi ebbri dal banchetto che avevo allestito, mi godevo il graduale risveglio in quel piccolo paradiso che ormai chiamo casa.
Rimaste pochissime briciole sul piatto svuotato, intanto che la spuma di melone é rimasta un ricordo, mentre sorseggio il caffè , ecco che l'occhio mi cade su qualcosa di veramente curioso: un movimento minimo, un punto nero che si sposta, come danzando, sul bordo del bicchiere lungo, quello con i residui del famoso frullato. 
Mi avvicino per ingrandire l'immagine e renderla più chiara ai miei occhi. 
 
E allora la vedo. 
 
Davanti al mio naso, un contenitore di vetro patinato da una densa sostanza zuccherina dal colore aranciato, il noto profumo della polpa frullata e su, in cima, lungo il bordo - anch'esso imbrattato - un esserino piccino, dal corpo sinuoso, che cammina trascinandosi piano e fermandosi, di volta in volta, in direzione continua. 
Mi accosto ancora di più perché non voglio perdere un passo. Mi sento eccitata come un esploratore in laguna: le piccolissime zampe procedono, poi il corpo si inarca, la testolina si muove all'in sú muovendo le antenne minute, e poi riparte di nuovo, nel suo viaggio attraverso il piacere. 
 
C'é acqua, qui sopra, e delizioso alimento, sparso piacevolmente sul vitreo percorso. E nessun elemento di disturbo, non un ronzio nell'aria vicino, non la mano di quei grossolani individui che non sopportano la vista di minuscoli insetti.
E ancora un passo dopo l'altro, lento e gravoso, ancora una piccola pausa, il tremolio delle piccole antenne, e questo grosso occhio curioso davanti al suo mondo: non é minaccioso, solo la osserva curioso. La polpa é fresca e dolcina, il colore avvolgente... Ancora un pó di strada per godere la fortuna trovata...
 
Ero cosí affascinata, e cosí divertita, da esser rimasta a quel tavolo per diversi minuti oltre il previsto, ho preso quel rettangolo scuro di cui nessuno oggi sembra poter fare a meno, e ho documentato con una serie di click il gravoso percorso del neo-pellegrino.
Trascorso del tempo, dopo che il cibo era stato acquisito in dose che ho ritenuto abbondante - per me quanto per il piccolo ospite - ho ripulito la tavola ed ogni stoviglia. 
 
E la formichina, vi starete chiedendo, hai tolto anche lei? 
 
Ovvio che si, ma nel modo che ho sentito più giusto: ho preso una foglia dal prato, l'ho avvicinata alla piccola amica, ho atteso che salisse sul verde convoglio, e poi l'ho scortata su quello stesso prato da cui proveniva la foglia. E da cui, probabilmente, proveniva essa stessa.
Un sospiro e ho iniziato i rituali per recarmi a lavoro.
 
E adesso ripenso a quella piccola e scura creatura, che avanzava in un fiume di nutrimento gradito, senza ostacoli e senza pericolo alcuno, senza dovere lottare e guardarsi le spalle. Solo uno sguardo, affascinato e curioso, che ne custodiva il passaggio.
E come può essere bello, anche se solo per un breve lasso di tempo, ottenere inatteso ristoro durante le fatiche del giorno. Sia pure da una mano straniera che si protende gentile senza promiscui interessi.



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