mercoledì 20 giugno 2018 - Oggiscienza

Come si studia la materia oscura?

La nuova protagonista di Trieste Città della Conoscenza è Chiara Di Paolo, ricercatrice della SISSA, che studia la materia oscura partendo dai dati osservativi

Che cos’è la materia oscura? Qualcosa di oscuro di nome e di fatto. La sua storia risale almeno agli anni ’30 del secolo scorso, ma è a partire dagli anni ’70 – come spiega un articolo su Nature Astronomy – che gli scienziati hanno iniziato a considerare questa materia mancante un “problema”.

Anche a Trieste si studia questo mistero dell’universo: succede alla SISSA (Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati) nel gruppo di ricerca coordinato da Paolo Salucci. Ce lo racconta Chiara Di Paolo, che si occupa della materia oscura all’interno delle galassie, enormi insiemi di stelle e di gigantesche nubi di gas e polveri.

Nome: Chiara Di Paolo
Nata a: Chieti (CH)
Lavoro a: SISSA, ricerca astrofisica
Formazione: Laurea in fisica e astrofisica delle particelle elementari, Università di L’Aquila
Cosa ami di più nel tuo lavoro: Ricercare cose misteriose, sperando che in qualche modo siano utili in futuro per la società.
La sfida principale del tuo ambito di ricerca:Scoprire perché l’universo che ci circonda è fatto in un certo modo, o almeno cercare di capire come funziona.

Partiamo dall’inizio: cos’è la materia oscura?

Non si sa cos’è, ed è per questo che la materia oscura è uno dei più grandi misteri dell’Universo. Negli ultimi decenni si è scoperto che deve essere presente perché la sola materia visibile, quella ordinaria, non è sufficiente per spiegare a livello fisico ciò che osserviamo nelle galassie e negli ammassi di galassie. Più in generale, non è sufficiente per spiegare l’evoluzione dell’Universo dal Big Bang fino a oggi.

La materia oscura inoltre non è visibile, viene chiamata oscura anche per questo motivo. L’altro è proprio il fatto che è un mistero per gli scienziati: il nome è un po’ brutto ma non deve far paura. Poiché non possiamo vederla dobbiamo cercare di studiarla attraverso gli effetti che produce a livello gravitazionale, come la forza gravitazionale che esercita sulla materia visibile e che quindi siccome non la possiamo vedere dobbiamo cercare di studiarla attraverso gli effetti che produce a livello gravitazionale con la forza gravitazionale sulla materia visibile – quella su larga scala ovviamente, come le galassie oppure oggetti ancora più grandi – che noi possiamo osservare.

Cosa ti ha portata ad appassionarti allo studio della materia oscura?

Il fatto che costituisca circa l’86% della massa dell’Universo, ma non è né visibile né tangibile né in generale percettibile attraverso i cinque sensi… in altre parole mi affascina perché la trovo misteriosa!

Quali metodi usi per studiare qualcosa di così “oscuro”?

Io mi occupo nello specifico della materia oscura all’interno delle galassie. In pratica elaboro i dati osservativi: attraverso i telescopi si riesce a costruire delle curve di velocità, ovvero a sapere qual è la velocità delle stelle all’interno di una galassia rotante. Te la immagini come se fosse costituita da un disco di materia stellare. Un disco che ruota, fatto di stelle, che a loro volta vi ruotano all’interno. Noi conosciamo le velocità delle varie stelle grazie ai dati osservativi, quindi possiamo ipotizzare che nella galassia ci sia materia stellare disposta in un certo modo. Poi però ti accorgi che, se si considera la sola forza di gravità dovuta alle stelle, la velocità alla quale ruotano – magari 200 chilometri al secondo – non è possibile.

Per capirci meglio: se un’automobile fa una curva troppo rapidamente, a un certo punto uscirà dalla curva. In questo caso può essere l’attrito molto forte a non farla uscire, mentre per le stelle non si tratta di attrito bensì di forza di gravità al centro della galassia, la zona interna. Se le stelle sono poche la forza c’è, ma non è tantissima: una stella che si muove a 200 chilometri al secondo potrebbe uscire dalla galassia come l’auto, ma contemplare la presenza di materia oscura fa sì che ci sia una forza di gravità in più. Materia significa forza di gravità. E quella forza di gravità è ciò che impedisce alla nostra stella di “partire per la tangente”, ciò che la attrae e la mantiene all’interno della galassia. La materia oscura, in pratica, fa tornare i conti.

Noi cerchiamo di produrre esattamente queste curve di rotazione, ipotizzando che le stelle siano disposte proprio come le osserviamo e disponendo la materia oscura in modo sensato. Per rispondere a questa domanda: “come è messa la materia oscura per far sì che le stelle si muovano come si muovono?”.

Di recente avete pubblicato uno studio al riguardo: di che si tratta?

Le galassie più piccole, se osservate con accuratezza, possono essere usate per stabilire la massa minima delle particelle che costituiscono la materia oscura. Ipotizzando che tali particelle siano fermioniche (in altre parole dotate di spin up e down similmente agli elettroni che conosciamo da tempo), dalle osservazioni e dallo studio delle velocità stellari nelle galassie in questione, è possibile scoprire che la massa della particella deve essere superiore a 100 eV, cioè dieci milioni di volte più piccola della massa di un protone.

Oltre a quelli che usi nel tuo lavoro, quali altri metodi consentono di studiare la materia oscura?

Ce ne sono diversi. Troviamo le simulazioni N-body a molti corpi, che simulano l’aggregazione di materia oscura a partire da un plasma, nelle galassie e negli ammassi di galassie. In pratica simulano come si è evoluta in questo senso la materia oscura, dal Big Bang fino al giorno d’oggi. Il punto di partenza è un plasma omogeneo, poi con l’azione della forza di gravità si formano grumi che si addensano sempre di più. Una sorta di “semi”, che daranno origine a galassie e ammassi di galassie.

Un’altra tecnica è il lensing gravitazionale che studiando le singole galassie esamina il movimento delle stelle, cerca di capire perché abbiano quel movimento e soprattutto perché la materia oscura sia distribuita in un certo modo e non in un altro nelle galassie.

Qualcuno ipotizza che le particelle di materia oscura possano decadere, come se si trasformassero in particelle di materia ordinaria. Oppure che si possano annichilare, con due particelle che si scontrano e si trasformano in raggi gamma. Quello che cerchiamo, dunque, è di trovare informazioni sulla particella di materia oscura studiando questi raggi gamma o altre particelle provenienti dai centri delle galassie – o dei cluster di galassie – assumendo che siano le conseguenze di decadimento o annichilazione.

E la ricerca sperimentale?

Quella sperimentale è la ricerca diretta di particelle di materia oscura. Si pensa che, come la materia ordinaria, la materia oscura sia fatta di particelle. Così si prova a capire come sono fatte queste particelle e a descriverne le caratteristiche proprio come facciamo con i protoni e gli elettroni. In genere questa ricerca diretta si fa in laboratori sotterranei come i Laboratori Nazionali del Gran Sasso. Si va alla ricerca dell’interazione della particella di materia oscura con particelle di materia ordinaria attraverso il nuclear recoil, una forza di colpo. È un po’ come se la particella di materia oscura arrivasse e desse un calcio a quella ordinaria: l’obiettivo è calcolare quanto si è mossa. Ma finora non abbiamo trovato nulla di davvero osservabile.

Sempre a livello sperimentale troviamo la ricerca indiretta, che consiste nelle osservazioni di emissioni di raggi gamma o altre particelle visibili (ordinarie) provenienti dai centri delle galassie o dai centri degli ammassi di galassie. Alcune sono isolate, altre sono ammucchiate e si parla di cluster.

Negli acceleratori di particelle come LHC del CERN, invece, le particelle ordinarie vengono accelerate in direzioni opposte e fatte scontrare. Vanno velocissime, si scontrano e da quello scontro possono avvenire delle interazioni nelle quali le particelle ordinarie danno origine a materia oscura.

Pur non osservando niente, ammesso che esista interazione tra particelle di materie oscura o oscura+ordinaria riescono a porre dei limiti nell’interazione. Un’interazione ha una certa probabilità di accadere, ci sono due particelle che possono interagire in modo più forte o meno forte, più o meno probabilità, quindi – sempre ammesso che ci sia – dicono ah la probabilità che si verifichi.

 SAVE THE DATE: Lunedì 25 giugno alle ore 18, presso lo spazio Trieste Città della Conoscenza (stazione ferroviaria di Trieste) si terrà l’incontro “Dai picosatelliti alla materia oscura, come si studia lo spazio dalla Terra”. Chiara Di Paolo (SISSA) interverrà come relatrice insieme ad Anna Gregorio (Università degli Studi di Trieste – PicoSaTs).

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