giovedì 5 marzo 2020 - Ettore Scamarcia

Come muore un 15enne

Morire di morte violenta a 15 anni è un insulto alla società tutta. E' successo a Napoli, ma non importa dove sia successo. 

Hai voglia a dire che era un rapinatore, che aveva una pistola (giocattolo) con cui andava a fare i "pezzi", a creare il mostro per espellerlo dal consesso civile a cui in teoria noialtri apparterremmo. Qualcuno per alzare ancora di più le barriere ha voluto paragonare la sua uccisione con quella di Annalisa Durante, lei sì vittima innocente, uccisa a 14 anni in un conflitto a fuoco. D'altronde il profilo Fb di Ugo Russo (questo è il nome del 15enne ucciso) lo condanna senz'appello: pose da duro, sguardo senza anima, atteggiamento da boss in erba e commenti in stile Gomorra. Per questo adolescente morto senza la possibilità di una redenzione non riesco che a provare sconforto, e una tristezza infinita. Pudore suggerirebbe di rimanere in silenzio in questi casi, ma ormai questo sentimento appartiene ad un'età arcaica, completamente dissolto dinanzi alle migliaia di commenti sui social che si sono susseguiti nell'immediatezza del fatto: chi sceglie oggi di rimanere in silenzio appare poco più di un codardo, di uno snob. Se le cose stanno così, tanto vale provare a spendere qualche parola che non abbia il sapore del rancore o del ragionamento scontato. 

Partiamo da un'osservazione banale e quasi irrispettosa. Ugo Russo non era l'unico della sua età a commettere reati predatori. Se fosse stato così, il problema non si sarebbe neanche posto. Ed invece ce ne sono tanti, troppi come Ugo. Sarei curioso di prendere i registri nelle scuole, sfogliare le pagelle, i voti, le bocciature, esaminare i tassi di evasione scolastica, scendere in quegli inferi dove le istituzioni latitano per precisa scelta. A quali storie avremmo accesso? Un ragazzino subisce tre bocciature, a casa non ci vuole stare perché i suoi genitori fanno continuo uso di droghe; un altro bambino ha la mamma che si prostituisce in casa; qualcun altro i genitori li ha persi per i più svariati motivi, tanti possono vederli solo dietro una cella di protezione. La loro vita è segnata, l'ingresso nel mondo della malavita per molti è quasi scontata, inutile girarci intorno o dire che "se sei onesto non lo fai". Le cose non funzionano così. Già negli anni '50 la presunta irredimibilità di quel lumpenproletariat napoletano spingeva l'area stalinista del PCI ad inorridire dinanzi alla sola idea di stabilire un contatto con quel mondo dei vicoli legato da articolazioni di ogni genere, oppressi da una coltre asfissiante di conformismo. Un atteggiamento che spianò la strada all'arcinemico Achille Lauro nella conquista della città, i cui effetti nefasti sono ancora oggi visibili.

In questa situazione chiedere oggi alla scuola di fare di più è quasi utopico, più di come lo era appena una decina d'anni fa. In fondo la scuola non è mai riuscita a giocare un ruolo davvero decisivo nel recupero di un'infanzia difficile. La lucida analisi degli alunni della scuola di Barbiana animata da don Lorenzo Milani sta lì come monito a ricordarcelo, a distanza di cinquant'anni dalla stesura del libro "Lettere ad una professoressa": la scuola cura i sani, non gli ammalati. Qualcuno dirà che i tempi son cambiati, che accanirsi oggi contro la scuola è come sparare alla Croce Rossa, che durante il boom economico era possibile muovere critiche e pretendere di più, mentre oggi che siamo tornati a livelli di prestazione da dopoguerra bisogna responsabilizzare le famiglie affinché si incarichino ulteriormente dei propri figli, provvedendo da sé a colmare le lacune della scuola, e se questi figli escono disgraziati è perché questi genitori non sono capaci di assolvere ai propri compiti. Si ripropone in chiave moderna il principio per cui le colpe dei padri ricadono sui figli. Insomma bisogna che ognuno si pianga i suoi guai da solo, e dati alla mano ciò è drammaticamente vero. E dunque basta così poco per lavarsi la coscienza? Per gli utenti del web 3.0 le cose stanno così, fanculo la Costituzione e i suoi commi sulla parità di accesso ai diritti e alle opportunità, fanculo l'idea di collettività: oggi vale il si salvi chi può.

Questi utenti incalzano, dicono che hanno assaltato un pronto soccorso, ne hanno devastato le suppellettili, hanno spintonato i familiari di una povera ragazza ricoverata e morta proprio in quei frangenti a causa delle botte subite dal compagno, qualcuno è andato pure a sparare contro la facciata del comando provinciale dei carabinieri per vendetta, perché l'assassino di Ugo è uno sbirro infame. Tutto ciò è vero. Così com'è vera l'ira dei parenti e degli amici più stretti, il loro atavico odio verso le divise e tutto ciò che ha il sapore di "istituzionale", come gli ospedali e il loro interminabile iter burocratico per accedere alle cure; frangenti in cui tutto ciò che viene avvertito come "altro da sé" diventa nemico, dove lo Stato è il nemico, quel Leviatano hobbesiano che dinanzi alle manifestazioni di violenza del contropotere ci appare sempre con le armi spuntate, perché chi ne manovra le leve sa che in fondo con questo contropotere bisogna scendere a patti di reciproca convenienza.

Ed è proprio sulla natura di questo contropotere, e dei suoi rapporti con il potere costituito, che bisognerebbe interrogarsi in maniera incessante, prendendo spunto anche da questo episodio così drammatico e apparentemente lontano. A Napoli si dice spesso che "gli ospedali stanno in mano alla camorra", le cronache giudiziarie più recenti sembrano d'altronde confermarlo: il nosocomio San Giovanni Bosco era del tutto asservito alle logiche del clan Contini, tanto che quest'ultimo decideva quali reparti aprire e quali chiudere. Le imprese di pulizia e sanificazione legate al clan Lo Russo si sono ritagliate una fetta di mercato talmente grande a livello nazionale che qualche anno fa l'Antitrust le multò, insieme ad altri colossi del settore, per aver posto in essere comportamenti collusivi volti ad alterare la leale concorrenza attraverso il regime di oligopolio che avevano costituito. Qualcuno si è interrogato sui nessi e sulle contraddizioni che certe manifestazioni del contropotere sembrano assumere? In tempi di emergenza Coronavirus soffiare sul fuoco potrebbe essere una strategia vincente, colpire dove in questa fase lo Stato è più debole, magari approfittando della morte di un 15enne. Proprio il giorno prima dell'omicidio un vecchio boss dei Quartieri Spagnoli, Ciro Mariano, in un'intervista al Mattino, dichiarava:

A Napoli, la camorra non esiste più. Non c'è più, come dico io, la malavita. Ci sono bande di ragazzi che fanno sciocchezze e a volte per questo diventano pericolosi, perché possono fare vittime anche tra persone estranee al sistema. Fanno le stese, che sono solo tarantelle per fare bordello, per apparire, senza alcun senso».

E ancora

I quartierini si conoscono tutti e si rispettano, la gente mi vuole bene anche se ogni tanto è venuto qualche ragazzo qui sotto a fare tarantelle inutili. Io voglio stare tranquillo, sono fuori. Cerco di spiegare che possono guadagnare di più lavorando onestamente, mentre si sbattono per due-tre grammi di droga. Se fanno sciocchezze, rischiano di allontanare i turisti che sono comparsi anche ai Quartieri e portano guadagni».

"Bande di ragazzi che fanno sciocchezze", che tradotto vuol dire: ragazzi non irreggimentati e non disciplinati secondo le ferree logiche dei clan camorristici del passato, che fanno rapine solo per procurarsi i soldi per una serata in discoteca. Profetico l'ex boss. E altrettanto pronta è stata la reazione a queste parole, ironia del destino proveniente dal ventre di quei Quartieri Spagnoli che in passato sono stati il suo dominio incontrastato, ottenuto con pesanti tributi di sangue. Chi ha dato il via libera a quella reazione, approfittando della rabbia incontenibile del popolo che abita i vicoli, ha saputo così conquistarsi il loro consenso e i loro cuori. La loro irredimibilità è ancora una volta confermata.

Se dunque il quadro è questo, voi cosa farete? Certo procederete a contestare l'art. 419 del codice penale agli autori del raid al Vecchio Pellegrini, ossia devastazione e saccheggio, con pene che variano dagli 8 ai 15 anni. La mossa si rende necessaria perché l'eco mediatica è stata forte, e la fase storica è molto delicata. Ma questo, è chiaro, avverrà nell'immediato. Qualcuno di voi in fondo è gia pronto a sedersi al tavolo delle trattative, a negoziare con i nuovi padroni del territorio, con questo contropotere che - come evidenziato dallo stesso Ciro Mariano - ha ormai perso la fisionomia delle tradizionali organizzazioni criminali, anch'esso terribilmente liquido ma anche in grado di raggrumarsi con estrema rapidità intorno al ras di turno. Un contropotere spaccato tra il gotha dei grandi cartelli camorristici che dominano la città, completamente proiettati negli affari economici, e la manovalanza che spinge per ritagliarsi nuovi spazi di potere, s'intende sempre e solo nella cornice sancita dai primi. Cosa gli prometterete? Nuovi appalti, nuove assunzioni? Una quota nella gestione dell'emergenza Coronavirus? Chi lo sa.

Le mie sono solo illazioni, sia chiaro, fantasie e morbosi pensieri di chi non ha il polso della situazione, che davanti all'uccisione di un 15enne si è lasciato andare a considerazioni che esulano dal fatto di sangue in sé. Ma in fondo non è sempre così? Il giovanissimo rapinatore e il giovane carabiniere fuori servizio sono al contempo vittime e carnefici di un complicato meccanismo che di tanto in tanto va in frizione in alcuni punti dei suoi ingraggi. Ed è così che si polarizzano i due fronti, si dà voce al rancore sociale, tutto per far sì che nulla cambi, in attesa dei prossimi Mario Cerciello Rega da un lato e degli Ugo Russo dall'altro.

Al netto di tutto, il 1° marzo notte un 15enne è stato ucciso a Napoli con tre colpi di pistola. E voi non cambierete di una virgola.




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