lunedì 9 maggio 2016 - Fabio Della Pergola

Come l’Occidente definì se stesso

«Lo storico britannico Denys Hay - ce lo ha ricordato domenica Robert Kaplan su La Stampa  - in un brillante benché misconosciuto libro pubblicato nel 1957, Europe: The Emergence of an Idea, sostiene che l’unità dell’Europa cominciò con il concetto (esemplificato dalla Canzone di Orlando) di una Cristianità in “inevitabile opposizione” all’Islam». Una concezione culminata infine, logica conclusione, nelle Crociate.

Ma questa idea che definiva l’identità europea fu ancor meglio specificata dall’intellettuale palestinese Edward Said che «si spinse oltre, scrivendo nel suo libro Orientalismo, uscito nel 1978, che l’Islam ha definito culturalmente l’Europa, mostrandole ciò a cui era contraria. In altre parole la vera identità europea fu costruita, in larga misura, su un senso di superiorità rispetto al mondo arabo musulmano ai suoi confini».

Una definizione di sé non in positivo - io sono ciò che sono - ma al negativo: ciò a cui sono contrario è ciò che mi definisce.

Un’identità creata per viam negationis, insomma, che molto deve alla presunta superiorità del razionalismo greco rispetto a tutto ciò che non è o non era razionale.

Indubbiamente una tesi molto forte che peraltro ha trovato affermazione simile ed estremamente articolata in un libro molto recente dello storico americano David Nirenberg, pubblicato quest’anno in Italia dalle edizioni Viella con il titolo Antisemitismo. La tradizione occidentale.

Un testo di non facile lettura, abilmente recensito sulle pagine de La Stampa da Serena Di Nepi, che non si limita a ricordare gli annosi pregiudizi o gli atti di ostilità contro gli ebrei, che fondano l'aspetto noto dell'antigiudaismo cristiano o dell'antisemitismo razziale, ma in cui si sviluppa la tesi che l’antiebraismo sarebbe stato «una delle modalità fondamentali con cui il pensiero occidentale ha definito se stesso e il proprio modo di interpretare il mondo in contrapposizione a una tradizione diversa».

Non so se l’autore debba qualcosa alla lettura di Edward Said, ma si direbbe che l’impostazione metodologica ne ricalchi in qualche modo la tesi, spostando la definizione “al negativo” della tradizione occidentale dalla diversità islamica a quella precedente del giudaismo. Ed anzi coinvolgendo l’islam stesso nello stesso processo di definizione di sé in opposizione alla tradizione culturale giudaica.

Ovviamente, dal momento che le scritture ebraiche sono le più antiche, chi è venuto dopo pur affondando le proprie radici, poco o molto che fosse, in quel complesso scritturale, ha dovuto sostenere che la propria interpretazione era quella giusta tanto quanto quella ebraica era sbagliata. È nel confronto-opposizione con il giudaismo che le culture successive andarono via via definendo se stesse.

Di fatto, per definire il cattivo cristiano o il cattivo musulmano si ricorreva spesso, scrive Nirenberg, all’accusa di essere un “giudaizzante”. Qualcuno che manteneva in vigore ciò contro il quale la nuova cultura si andava formando.

Un percorso di analisi storica molto complesso, e forse non sempre condivisibile, ma con elementi indubbiamente interessanti, capaci di gettare nuova luce su un inquietante fenomeno millenario che rivela aspetti sorprendenti se ci si immerge, senza pregiudizi, nei passaggi più antichi dell'ostilità antiebraica.

 

 

 

 




Lasciare un commento