martedì 11 giugno 2013 - Aldo Giannuli

Come al solito è difficile parlare del M5s

Grillo e la sua creatura politica suscitano simpatie ed antipatie feroci ed è sempre difficile mantenere un atteggiamento pacato. Tuttavia non rinuncio a tentare un confronto razionale fuori dal tifo calcistico.

1 - Elezioni.

La recente sconfitta elettorale è stata variamente commentata dallo stesso Grillo: prima “è colpa degli italiani”, dopo: “Ma veramente abbiamo vinto: passiamo da 400 ad 800 consiglieri”. Se la logica non è un’opinione, dunque, gli italiani hanno la colpa di aver fatto vincere il M5s. Oppure ho capito male? La prima reazione è una sciocchezza, la seconda un pietoso tentativo di consolarsi.

La prima è una sciocchezza perché è l’eterno ritornello dei politici che non vogliono ammettere di essersi sbagliati e rovesciano le cose dicendo che sono gli elettori ad essersi sbagliati. Come se Marchionne dicesse “Io faccio le macchine migliori e più belle, se non vendo abbastanza la colpa è di quegli stronzi dei consumatori che non le comprano”. Dopo di che sarebbe necessario l’intervento dell’astanteria psichiatrica. O no?!

La seconda è una pietosa bugia perché, con questo criterio, se il M5s avesse preso tre consiglieri in più, si potrebbe dire che, comunque, ha vinto avendo preso più consiglieri della volta precedente. Anche questo espediente del raffronto con le elezioni meno recenti ma più affini è vecchio come le barzellette di Berlusconi. Quando in tre mesi sei elettori e mezzo su dieci non ti votano non puoi cavartela dicendo “ma cinque anni fa non avevamo nemmeno quei tre voti e mezzo che ci sono rimasti”.

C’è un problema politico, così come il fatto che la gente voti il M5s nelle politiche e poi non lo voti nelle amministrative, non è il frutto di una congiuntura astrale, ma il fatto che a quel livello il movimento non è convincente, forse per i candidati e per il modo con cui sono scelti, forse per i programmi un po’ affrettati, non so, ma di certo questo è un altro problema politico da affrontare e risolvere.

Ugualmente errato mi sembra l’atteggiamento di quanti, pur collocandosi in opposizione a questa orrenda classe politica, sperano che questa sconfitta significhi l’inizio della fine del M5s e ne gioiscono. Posizione sbagliata per due motivi: primo perché non mi pare il caso di vendere la pelle dell’Orso che, per quanto ferito, è ancora vivo e grosso ed ha ottime chances di rimontare. Secondo perché una scomparsa del M5s sarebbe un fatto altamente negativo che, nell’immediato, ci riporterebbe indietro di cinque anni, al tempo dello sterile bipolarismo Pdl-Pd, ed, in prospettiva, potrebbe regalarci sorprese molto sgradevoli: ve la sentite di escludere del tutto la comparsa di un movimento di protesta dichiaratamente antidemocratico e di destra?

Nonostante i suoi errori e pasticci - che non sono pochi - il M5s sin qui ha incanalato la protesta contro questo sistema mantenendola su un terreno democratico. Magari il passaggio dalla protesta al progetto è ancora tutto da fare, siamo d’accordo, ma non mi pare che quanto è stato fatto sin qui sia da sottovalutare.

Posso capire la frustrazione di molti compagni che vedono le formazioni come Rivoluzione Civile esclusa dalla rappresentanza o come Sel ridotte a dimensioni molto modeste, ma questo è anche il prodotto degli errori fatti e, comunque, la sinistra antisistema ha tutto l’interesse alla maturazione del M5s non alla sua scomparsa. In un prossimo intervento dirò qualcosa sul rapporto sinistra-M5s.

2 - La balla del Governo con Bersani.

C’è un ritornello dei sostenitori del M5s (anche nei post seguiti ad uno dei miei precedenti interventi): “Non è vero che il M5s abbia sbagliato nella fase iniziale della legislatura, rigettando le offerte di Bersani perché non c’erano le condizioni per un governo M5s-Pd e Bersani stava solo cercando di raggirare il M5s senza offrire niente di concreto”.

In primo luogo nessuno ha mai parlato di un governo Pd-M5s: Bersani non ha mai proposto un governo ai M5s ma ha sondato una loro disponibilità generica a dare i voti necessari al Senato per far nascere il governo Pd e proponeva otto punti di programma per confrontarsi. Fra questi otto punti ce ne erano alcuni che coincidevano, almeno in parte e sulla carta, con alcuni dei 20 punti del programma del M5s (ad esempio: taglio delle retribuzioni a parlamentari e consiglieri locali, legge sulla corruzione e sul falso in bilancio, legge sul conflitto di interesse, impulso all’economia verde).

Peraltro, non era neppure necessario che il M5s votasse a favore del governo, poteva anche limitarsi a fare uscire dall’aula i suoi senatori al momento del voto, applicando una sorta di “sospensione di giudizio”, per cui il governo poteva formarsi e realizzare almeno alcune delle riforme promesse. E ciò con l’evidente condizione del passaggio al voto contrario (ed alla conseguente caduta del governo) nel caso in cui Bersani non avesse attuato le proposte concordate o avesse assunto decisioni ritenute inaccettabili dal M5s.

Naturalmente, gli otto punti di Bersani potevano essere solo uno specchietto per le allodole e poi, alla prova dei contenuti, rivelarsi solo un bluff. Possibilissimo. Ma nel poker, come nella vita, c’è un solo modo per sapere se uno sta bluffando: dire “vedo”, che è quello che il M5s non ha fatto, chiudendosi in un rifiuto pregiudiziale totalmente sterile. Se avesse detto “vedo”, magari sarebbe venuto fuori che qualcosa da prendere c’era e si poteva decidere se era abbastanza per una “sospensione di giudizio” come quella descritta o meno, se, invece, fosse stato scoperto il bluff questo sarebbe diventato un argomento a favore del M5s che avrebbe potuto ben motivare il suo rifiuto.

Temo che, in questa assurda rigidità tattica, abbiano giocato due fattori: una ingessatura ideologica (il M5s è molto più ideologico di quanto non sia disposto ad ammettere) e la molta inesperienza.

3 - Il ruolo di Grillo e l’aggressività.

Come già si è detto in altra occasione, Grillo pecca per due cose: l’eccessivo presenzialismo ed i toni permanentemente urlati. E sono due peccati che possono costargli molto cari: in una società come la nostra, dove il bombardamento di notizie è continuo, i miti e le mode si consumano presto. Quel che oggi va per la maggiore sarà desueto fra sei mesi e totalmente dimenticato fra nove. Quanti “leader carismatici” si sono avvicendati in questi anni finendo nel nulla o quasi? Chi si ricorda più di Segni e Occhetto? E di Fini e Bertinotti? E Di Pietro chi è? Anche Monti non è che sia durato granchè.

La super esposizione accelera il consumo di un personaggio e durare diventa sempre più difficile se non si hanno una serie di “spalle” capaci di reggere la scena e di consentire al protagonista di riprendere fiato dietro le scene. Non comparse ma veri comprimari, sia chiaro. E le cose di aggravano se la comunicazione conosce un solo registro vocale: quello dell’urlo continuato. La “sparata” attira l’attenzione se ha un carattere in qualche modo eccezionale, serve se è un “alzare la voce” per significare la reazione a qualcosa di particolarmente grave. Ma se gridi sempre, anche per ordinare un cappuccino, si perde quell’effetto particolare che attrae l’attenzione e diventa un rumore di fondo. E tutto diventa prevedibilissimo teatro di cattiva qualità.

In gioventù ho fatto molti comizi, e mi dicevano che me la cavavo abbastanza bene, ma fare comizi non mi è mai piaciuto, proprio perché è un tipo di comunicazione monocorde, che deve essere gridato, soprattutto nelle conclusioni. La cosa, però, mi è servita a capire perché questo non è efficace. Mi trovavo più a mio agio negli interventi in assemblea, dove c’era l’esigenza di una maggiore modulazione che poteva passare dalla argomentazione pacata alla denuncia gridata, in base alle esigenze del momento e senza un registro standard che appiattiva tutto e diventava solo pessimo teatro.

Grillo dice di frequente cose giuste, ma quasi sempre nel modo più sbagliato, irritante e, soprattutto, inefficace. Per di più, con il suo presenzialismo quotidiano ed i suoi divieti di andare in Tv e dare interviste, sta ingessando i suoi deputati e senatori e soffocando il suo Movimento. Ma, soprattutto, impedisce che possano affermarsi quei comprimari che gli sarebbero necessari per durare. Faccia pure come crede, ma temo che a breve si accorgerà di quale errore stia facendo. Ovviamente, può benissimo darsi che sia io quello che si sbaglia ma alcuni precedenti (come Pannella) per ora mi danno ragione.

4 - I dissensi.

Ovviamente, la scelta di dare via libera alla discussione, permettendo a tutti i parlamentari di esprimersi liberamente, comporta molti rischi (soprattutto in considerazione della fragilità del movimento) e, a giudicare da quello che abbiamo visto nella presentazione dei neo parlamentari, verrà fuori una sinfonia di fesserie al cui confronto il coro delle oche del Campidoglio sembrerà un simposio scientifico di alto livello.

Non importa: è lo scotto che si deve pagare all’inesperienza, all’impreparazione ed anche all’ingenuità. Dopo le prime solenni scivolate, impareranno anche loro e sono convinto che verranno fuori anche teste politiche di buon livello. È un passaggio fisiologico che bisogna attraversare se si vuole trasformare questo minestrone di malumori in un soggetto politico efficiente. Continuare a tenere il bavaglio può avere un effetto molto negativo: dirigere il malcontento verso l’interno.

Naturalmente, liberi di esprimersi, i parlamentari diranno cose molto diverse fra loro ed in dissenso anche con Grillo. Ma questo non è affatto negativo: i dissensi - anche quelli sbagliati - non sono una manifestazione di debolezza, ma di vitalità di una forza politica.

Temo che il M5s stia raccogliendo una delle peggiori eredità del Pci, nel quale dissentire era sinonimo di tradire, in una mentalità di “stato d’assedio”. E, per la verità, sin che lo stato d’assedio ci fu (diciamo sino al primi anni sessanta, quando la morsa dell’anticomunismo iniziò gradualmente ad allentarsi) tutto questo poteva avere qualche giustificazione, anche se ci furono errori bestiali come l’espulsione di Cucchi e Magnani o l’infelicissima epurazione del 1956. Ma, a lungo andare, i dirigenti ci presero gusto e la caccia all’eretico diventò costume usuale. Il, risultato fu quello di esaltare lo spirito di caserma, scoraggiare ogni spirito di iniziativa, coltivare lo spirito gregario più imbecille e promuovere i mediocri ed i peggiori yesmen. Alla fine, l’”ufficio quadri” preposto alla selezione dei dirigenti, divenne l’”Ufficio per la promozione del cretino”. E i risultati possiamo gustarli ancora oggi vedendo cosa ci ha lasciato in eredità il vecchio apparato del Pci.

L’intolleranza verso il dissenso è il migliore attrattore di tutti i fanatici ed i cretini del circondario. Spero che Grillo non voglia ripetere questa esperienza. Il guaio è che lui è convinto di stare correndo i 100 metri, mentre qui si tratta della maratona, e questo spiega molte cose.




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