giovedì 18 gennaio 2018 - Alessandro Bonafede

Colombia: la costruzione del megaprogetto del molo di Taganga minaccia una comunità intera

di Alessandro Bonafede

Taganga è un piccolo quartiere periferico di Santamarta. Ci si arriva percorrendo una piccola strada molto lunga. L’ultimo quartiere di Santamarta è a 1 km e si chiama Pescaito. Famoso perché lì viveva il padre del pibe Valderrama, giocatore famoso di calcio. A Taganga non è raro vedere durante il giorno Valderrama che fa footing ed esercizi fisici sempre circondato dai bambini del villaggio. E’ un piccolo quartiere Taganga che vive di pesca e turismo, fra l’altro recentemente finito al centro di uno scandalo di prostituzione internazionale. Forte e attiva è la comunità israeliana e forte la loro presenza. Non è raro incontrare giovanissimi colombiani afro discendenti o più probabilmente indigeni che parlano ebraico. La comunità israelita infatti ha forti interessi nell’aerea: 2 ostelli, 1 discoteca. Poi c’è la discoteca colombiana Sensation, lustro e onore della comunità colombiana nativa: i pescatori sono abituati agli alti volumi: le notti di Taganga sono a base di puro reggae ton elettronico: Taganga, il paradiso della tanga, scherzano le persone che la conoscono. Tutte, dal lunedì al sabato.

La mattina si svegliano i pescatori che vanno in mare a pescare per poter rifornire i ristorantini artigianali tradizionali dove si mangia buon pesce a soli 3 euro a pasto. Se si vuole si può mangiare cucina mediterranea a 5. Il piccolo paradiso Taganga dove i Samari di Santa Marta vanno a mangiare pesce.

Ora questa comunità già flagellata dal problema storico di mancanza di acqua potabile rischia di scomparire per far posto a cemento e navi mercantili industriali. Un vero e proprio “desplazamiento” di una numerosa comunità, che è famosa in tutto il mondo e rischia di scomparire per sempre: già è arrivata la proposta istituzionale dell’acquisto di tutte le case da parte del comune e del governo e della sostituzione con altre in collina, gratuitamente. Infatti il molo dovrebbe servire a far attraccare navi che portano niente di meno che idrocarburi, petrolio e sopratutto olio di palma.

Parliamo di un business di miliardi di euro, il problema non sono certo le precarie casette di calcestruzzo senza fondamenta e senza acqua corrente. La comunità si approvvigiona infatti di acqua tramite autocisterne che scaricano l’acqua nei serbatoi sotterranei che immagazzinano l’acqua portata a domicilio dalle autobotti, a pagamento ovviamente. Un sistema che dura da forse 100 anni. Sullo sfondo le meraviglie dell’enorme parco Tayrona, di cui Taganga è la bandierina che segna la frontiera. A volte gli abitanti hanno anche visto qualche paramilitare, non molti, 4 o 5 che credendo di non essere riconosciuti, si avventuravano nel parco Tayrona per vigilare affinché l’ormai ex guerrilla delle FARC (Fuerzas Alternativas Revolucionarias del Comun) o la guerrilla dell’ELN (Esercito di liberazione nazionale), non facessero capolino o si installassero o si potenziassero nell’area. Ma in 50 anni sulla costa caraibica sono morti solo 2 stranieri, un ragazzo tedesco suicida e una giovane ragazza straniera vittima di stupro. La stessa comunità si incarica infatti della sicurezza dei turisti e del controllo dell’uso di droghe leggere o pesanti.

“Sei mal informato – mi dicono gli amici italiani e tagangueri – Alessandro caro: Taganga è un villaggio indigeno e non ci faremo certo cacciare via”! Tutti lo speriamo e così sarà. Speriamo. Il business del petrolio del carbone e dell’olio di palma potrebbe infatti facilmente concludersi con il rapido ed imminente desplazamento (sfollamento) di comunità storiche intere. La multinazionale Las Americas, proprietà della famiglia XXXX, infatti ha già presentato richiesta di autorizzazione e valutazione di impatto ambientale. Politici locali sostengono che c’è il requisito necessario: il consenso previo della comunità. “ 

I tagangueri non vogliono il molo e non sono mai stati consultati”, riferisce un attivista locale, ripetendo il coro unanime della comunità che è tutt’altro che rassegnata a essere mandata via da casa propria, dove già vivevano i bisnonni. La società portuaria de Las Americas ha però sollecitato l’autorizzazione lo scorso 30 agosto e la ANI (Agenzia Nazionale delle Infrastrutture) è pronta a dare il via libera al mega progetto, che cancellerebbe per sempre una comunità la cui presenza è centenaria.




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